15 Maggio 2025

Tra la voglia di restare e quella di andare

Monica Scillieri • 0 commenti

Schopenhauer diceva che la vita è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia.

Io, invece, l’ho sempre vista oscillare tra la routine e il cambiamento.
E se avessi dovuto scegliere, e l’ho fatto tante volte, mi sarei sempre posizionata, senza esitazione, dalla parte del cambiamento.

In passato, dopo due anni nello stesso posto, riaffiorava sempre quella sensazione: la voglia inesorabile di andare via.

Non per scappare, no. Forse per respirare meglio.

O solo per non fare sempre la stessa strada per andare nello stesso posto, allo stesso centro, allo stesso ufficio, alle stesse cene.

Credo c’entri con il mio essere, nei fatti, un po’ solitaria. Un po’ selvatica.

Tengo a distanza la maggioranza delle persone, con naturalezza.

Scelgo con accurattezza le persone della mia cerchia, che non è mai chiusa, anzi si espande costantemente, ma è molto selezionata. Come quando scegli i frutti da un albero: ce ne sono tanti, ma io mi prendo solo quelli che mi parlano.

Ho passato diciotto anni all’estero, poi siamo tornati. La pandemia ha avuto le sue ragioni.

Destinati a stare un po’.

Sono passati quattro anni. Abbiamo comprato casa.

È una sensazione strana, perché comunque la metti, compri una consuetudine.

Un punto di riferimento. Un’idea di fondamenta.

E ora come va?

Va.

Va bene.

Sto riscoprendo la facilità della vita prevedibile.

Conoscere la cultura, la geografia, le usanze.

Sapere persino prevedere le reazioni, i toni, le parole. Ha i suoi vantaggi.

Anche se poi mi accorgo che certi modi di fare non mi appartengono.

Forse non mi sono mai appartenuti.

Dal cibo al meteo, dal vestiario allo small talk: la penso spesso diversamente.

Ma so riconoscere le consuetudini di questo posto, di questo luogo dove sono cresciuta. E dove ora crescono i miei figli.

Li osservo.

Prendono accenti regionali che non hanno mai avuto.

Riconoscono consuetudini fuori casa che in casa nostra arrivavano solo a tratti.

Le portano dentro con una naturalezza che mi spiazza.

Come se le avessero respirate, senza accorgersene.

E mi chiedo: è giusto sentirmi a mio agio in questa comodità che per tanto tempo ho rifiutato?

Mi chiedo: sarei ancora capace di cambiare?

La risposta, a volte, arriva quando parlo con mia figlia maggiore, che vive all’estero.

Mi chiama con un cielo diverso alle spalle, un clima diverso, una cena diversa davanti.

Lei è l’emigrata, adesso. Studia in Olanda. E a me fa un effetto strano.

Intanto, ora sto innegabilmente bene.

Mi godo questa fase, con questo pendolo interiore che ogni tanto mi dice che non va bene sentirsi bene troppo a lungo nello stesso posto.

Ma poi mi dico che va bene così.

Ma se la vedo come una fase, allora mi va bene così.

Forse è questo che impari dopo tanti anni vissuti altrove: che ogni fase ha il suo ritmo, il suo sapore, il suo insegnamento.

Che non serve sempre muoversi per sentirsi in cammino.

Che anche la quiete, ogni tanto, può avere il suono di una scelta.

E che il pendolo, alla fine, non smette mai di oscillare , ma siamo noi a decidere da quale parte vogliamo stare anche solo per un po’.

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