8 Maggio 2025

Qualità della vita: che cosa stiamo davvero misurando?

Manuela Sydney • 0 commenti

Cosa significa davvero “qualità della vita”? È il tempo libero, il lavoro stabile, l’aria pulita, l’accesso alla sanità? O è qualcosa che sfugge ai parametri, che vive nelle sfumature, nelle abitudini collettive, nei silenzi e nei pranzi della domenica?

Da quando vivo in Australia, questa espressione mi rimbalza nella testa. Mi succede ogni volta che torno in Italia, ogni volta che leggo una classifica internazionale, ogni volta che ascolto qualcuno raccontare con entusiasmo o con frustrazione la propria quotidianità altrove. Ma cosa stiamo confrontando quando confrontiamo?

Si tende a pensare alla qualità della vita come a una somma di condizioni oggettive: efficienza dei servizi, sicurezza, pulizia, tempo per sé. Eppure c’è qualcosa che sfugge, un’eccedenza che non si lascia calcolare. È quel margine di esperienza che ha a che fare con il modo in cui il mondo ci tocca, ci accoglie o ci respinge. Con l’intimità che si crea – o non si crea – tra noi e ciò che ci circonda.

C’è un benessere che si costruisce nell’ordine e nella prevedibilità, nella rassicurazione di sapere cosa aspettarsi, e c’è un altro benessere che si manifesta nell’imprevisto, nell’eccezione, nella piega inaspettata delle cose. Sono contrari, ma forse non sono inconciliabili, chissà.

Ci sono luoghi dove si è più protetti, e luoghi dove ci si sente più vivi. Dove il tempo è scandito e rispettato, e dove invece si dilata, si interrompe, si confonde con la relazione, con il corpo, con il piacere. Ma anche il piacere ha una sua disciplina, e la libertà può essere una forma di stanchezza se non è contenuta da un limite.

A volte si confonde la qualità della vita con la comodità. Ma ciò che è comodo non è sempre ciò che è desiderabile. A volte si confonde con la calma, altre volte ancora si cerca la qualità nel controllo, e si finisce per addomesticare anche l’entusiasmo.

E allora viene il dubbio che la qualità della vita non sia né qui né lì, ma nella soglia. In quel punto mobile dove l’eccesso di regola incontra il bisogno di respiro, dove il caos si fa racconto, dove l’adattamento non è rinuncia ma trasformazione. Forse non è un luogo ma una condizione dell’anima: la capacità di sentire che si è nel tempo giusto, anche solo per poco.

Nessuna classifica potrà misurare quel momento in cui ti senti esattamente dove dovresti essere. Non perché tutto funzioni, ma perché tutto – anche quello che non funziona – ti parla.

Ci vuole tempo anche per accordarsi su cosa chiamiamo benessere. Perché non tutto ciò che produce comfort genera senso. Non tutto ciò che è efficiente è anche giusto. E non tutto ciò che ci semplifica la vita la rende più viva.

Nel lessico contemporaneo, la qualità della vita si è fatta parola d’ordine, slogan, promessa politica, parametro comparativo. Ma più si usa, più sfuma. Cosa misuriamo davvero? La facilità o la profondità dell’esistenza? Il diritto alla sicurezza o la possibilità di cambiare? L’accesso ai servizi o l’accesso al mistero?

La qualità della vita ha a che fare con la salute, con il tempo libero, con il verde urbano.
Ma ha anche a che fare con l’intensità delle relazioni, con la possibilità di sentirsi parte, con il diritto di rallentare.

Spesso, dove c’è regola, si perde flusso. Dove c’è protezione, si perde rischio. Dove tutto funziona, a volte manca qualcosa che non sappiamo nominare. E dove niente funziona, a volte c’è un calore che ci tiene in piedi.

Forse la qualità della vita non è un insieme di vantaggi, ma un equilibrio dinamico tra forze divergenti.
Non un punto d’arrivo, ma una soglia mobile. Una tensione continua tra prevedibilità e sorpresa, tra cura e disordine, tra norma ed eccezione.

C’è una qualità della vita che si costruisce nei dettagli invisibili: nel suono di una lingua intorno a un tavolo, nell’odore di un mercato, nell’aria che cambia dopo una pioggia estiva.
E c’è una qualità della vita che si stabilisce nei codici invisibili di una società: nel modo in cui si gestisce l’errore, si accoglie il conflitto, si concepisce il tempo che non produce.

In una cultura, il tempo libero è pausa.
In un’altra, è sospensione creativa.
In una, è vuoto da riempire.
In un’altra, è pienezza già in sé.
Nessuna di queste visioni è migliore, ma ciascuna disegna un diverso modo di essere nel mondo.

Allora forse la qualità della vita non coincide mai con un’unica forma, ma dipende dalla nostra capacità di abitare con consapevolezza il contesto in cui siamo immersi. Dalla possibilità di riconoscere quando stiamo vivendo, e non solo quando stiamo funzionando.

Ma per arrivare a questa consapevolezza, serve una cosa che nessuna classifica può misurare: il tempo necessario per capire cosa conta davvero. E questo tempo, oggi, ci è spesso negato.
Nella fretta di scegliere, di confrontare, di ottimizzare, perdiamo l’occasione di chiederci se ciò che desideriamo coincide con ciò che ci fa bene.

Forse, in fondo, la qualità della vita è la possibilità di rimettere in discussione l’idea che ci siamo fatti. Di ridefinirla, di spostarla, di farle spazio.Non per eleggere un sistema a modello, ma per continuare a domandarsi che cos’è, davvero, una vita di qualità.

Manuela, Sydney

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