Ho vissuto, come sapete, in vari paesi del mondo, dall’Estremo al Medio Oriente, atterrando (per ora) in Marocco.
Puntuale, talvolta, è stata la domanda di qualche conoscente: “Ma come fate a vivere lì? Io non potrei mai!”. Per fortuna a me non è successo spesso, ma leggo e sento amici e amiche a cui questa domanda viene posta davvero di frequente. Solitamente, al seguito di qualche piccola lamentela, o confronto. A volte semplicemente mentre si sta raccontando la propria realtà e quotidianità, e si fa riferimento a qualche usanza o aspetto culturale molto lontano dal nostro, italiano o europeo che sia.
“Ma come fate a vivere lì?” spesso arriva insieme al celebre “perchè non tornate?“, come se fosse semplice lasciare una casa, un lavoro, un conto in banca, la scuola dei propri figli per tornare…a casa? Molti expat non hanno neppure più casa nel proprio paese di origine. Pensate sia fattibile, arrivare con figli, valigie e scatoloni e rimanere per mesi in casa di genitori, nonni o zii?
Ecco, questo mio post vorrebbe spiegarlo, come facciamo a vivere qui, o lì, o laggiú.
Anzitutto, nessun paese è perfetto. Immagino (e vedo) anche gli Italiani lamentarsi di una pratica che ha avuto ritardo, di uno sciopero dei treni, di un codice fiscale che non arriva o di una qualsiasi difficoltà nel viver quotidiano che del nostro paese non ci piace. E allora perchè io dovrei mentire, raccontando che la Cina, il Qatar o il Marocco sono paesi perfetti, meravigliosi, dove io vivo tra unicorni e arcobaleni magici?
E perchè non torno allora?
E come faccio a vivere lì?
E allora ecco l’espatrio, spiegato semplice: in un posto si va per lavorare. A quel punto, le ragioni possono essere (solitamente) due: quel paese ti piace moltissimo e viverci ti rende più sereno rispetto a vivere nel tuo. Oppure, per un ritorno economico.
Certamente, per espatriare servono flessibilità, intelligenza emotiva, coraggio. Sicuramente traslocare ogni due o tre anni o adattarsi a culture spesso lontane dalla nostra (o riuscire a vivere serenamente restando ai margini di una cultura nella quale non riusciamo proprio ad integrarci) non è semplice, non è per tutti.
Ma una volta consolidata la scelta di vita di un’esistenza all’estero per un certo numero di anni, l’accettare o meno di spostarsi in un determinato paese per quanto mi riguarda segue una serie di regole, un misto di preferenze personali e buon senso.
- nessuna guerra in corso, e analisi attenta della sicurezza interna del luogo
- presenza di strutture ospedaliere di buona qualità (partendo dal presupposto che in caso di situazioni molto gravi rientrerei in Europa), e infrastrutture funzionanti
- presenza di scuole adeguate al cursus dei miei figli
Una volta confermati i punti di cui sopra, ovviamente ci sono i gusti personali: per me ad esempio, fra le tante, no atolli o arcipelaghi di isole dove ci siano solo resort e turisti, ad esempio. No ad alcuni paesi che non amo particolarmente. E via dicendo.
Ma, attenzione: i tre punti di cui sopra sono ovviamente non negoziabili, ma qualora l’offerta lavorativa fosse estremamente conveniente o in caso di necessità economica o di altro tipo, potremmo anche “piegarci” e partire.
Io non vivo in Marocco perchè mi piace. Il Marocco mi piace moltissimo incidentalmente, con i suoi pregi e con i suoi difetti, ma non sono atterrata qui perchè lo amassi e, come è già capitato altre volte, prima di arrivarci a vivere non ci avevo mai neppure messo piede. Io vivo in Marocco perchè qui lavoriamo.
Insomma, le variabili sono moltissime e il futuro dell’espatriato sempre incerto, ma il motivo per cui io e molte altre persone viviamo in un determinato paese è spesso la convenienza (non per forza e non solo economica, ribadisco).
Qualcuno dirà che in un certo senso gli espatriati sono un po’ dei mercenari, che partono alla ricerca di condizioni migliori di vita, lasciando indietro il proprio paese e i propri affetti, a differenza dei movimenti migratori del secolo scorso, in cui si partiva a causa dell’estrema povertà del nostro Paese e dunque davvero per necessità.
Io dirò che non è cosi (e qualora per qualcuno lo fosse, non sarebbe un problema): ci sono moltissime persone che per gli stessi motivi scelgono di non andarsene, anche se lo desidererebbero. Molti sono trattenuti nel proprio paese, città da un lavoro che non possono cambiare, da un mutuo, da questioni familiari, dalla presenza della propria cerchia di persone di supporto.
Insomma, la scelta rimane personalissima, veicolata a mille variabili a volte prevedibili, a volte meno. Mille leggi a volte fisse, a volte no. Ma spero almeno di aver spiegato “come faccio a vivere qui”!
Veronica, Marocco