20 Febbraio 2025

Ho 47 anni e ho le rughe

Manuela Sydney • 0 commenti

Ho 47 anni e sì, ho le rughe. Ho 47 anni e non mi sveglio più fresca e riposata come una rosa. Ci sono giorni in cui odio osservare il mio viso allo specchio. Le occhiaie più pronunciate, gli occhi incavati, l’espressione corrucciata. Più cellulite, capelli meno lucidi, più pancia

Cosa ci posso fare? Mangio sano, mi muovo, presto cura alla mia persona. Cerco di vestire bene, ho una routine ottima di cura della pelle. Dovrei fare di più? Ecco… qui il mio pensiero si incrina.

Superati i quarant’anni, il tempo inizia a manifestarsi con segni più evidenti. Più si fanno visibili, più cresce la tentazione di cancellarli – come se fossero errori da correggere, quasi come se fosse una colpa averli. D’altra parte, le soluzioni sono numerose: filler, botox, lifting, PRP, collagene, vitamine, ginnastica facciale. Entro in confusione solo ad elencare tutti i trattamenti di cui sento parlare, figuriamoci sceglierli.

Mi sembra un loop senza fine. Fallo e ripeti, fallo e ripeti, prova le ultime proposte, striscia la carta. Fino a quando basterà? È facile essere sedotte dalla promessa di un viso senza età, ma a quale costo? Fino a che punto possiamo camuffarci? Fino a che punto è giusto? Quando è cura verso il nostro corpo e quando diventa non accettazione? Forse la risposta facile non esiste…

Da piccola i volti che amavo di più erano quelli dei vecchi e delle vecchie. Ero rapita dalle rughe, dalla pelle indurita dal tempo e dal sole. Mi piaceva osservare i capelli dei miei nonni imbiancarsi. Mi piace ancora osservare il tempo attraverso le nostre facce, mi piace vedere mio marito incanutirsi e i miei figli crescere. Ma allora, perché? Quando è che abbiamo smesso di amare lo sfiorire? Dove sono le nonne della nostra infanzia?

Viviamo in un’epoca che esalta la giovinezza come se fosse l’unico periodo della vita degno di essere vissuto apertamente. O almeno cosi sembra a me. Tante donne penso si possano sentire oppresse dalla lotta contro ogni nuova ruga, contro le ginocchia cadenti, contro le macchie della pelle, contro la possibilità economica di affrontare nuove spese legate all’estetica.

La pressione è ovunque: sui social, nei film, nei commenti, talvolta poco innocenti, degli amici. “Ti sei dimenticata la tinta?” mi è stato detto più di una volta … e mi sono sentita giudicata non solo sulla mia apparenza, ma sulla mia competenza nel gestire me stessa.

C’è una linea sottile, spesso invisibile, tra prendersi cura di sé e perdere sé stesse nel tentativo di aderire a un ideale inarrivabile. Quando mio marito una sera mi ha detto: “Accompagnalo questo invecchiamento, non combatterlo”, ha toccato una corda profonda e delicata dentro di me, sollecitandomi riflessioni sul rapporto con l’invecchiamento e l’autostima.

Come posso bilanciare il desiderio di sentirmi bene con la mia immagine senza cadere nella trappola di diventare una grottesca caricatura? Vorrei che la mia routine di bellezza fosse un gesto di rispetto verso me stessa, non una ricerca disperata della perfezione.

Vestire bene, mangiare sano e mantenere un’attività fisica, vorrei che fossero modi per onorare il mio corpo, non per forzarlo in una forma che non riconosco più come mia.

Quanto del mio sforzo è per me stessa, e quanto è per soddisfare uno standard esterno che ci vuole belli, performanti, giovani e lavoratori?

È un equilibrio difficile da mantenere, e spesso mi chiedo se sto facendo abbastanza, o se sto facendo troppo.

Invecchiare con grazia non significa rifiutare ogni aiuto, però dovrebbe significare accompagnare il viaggio e non remargli contro. Dovrebbe significare imparare ad amare le storie che il nostro viso racconta, anche quelle che arrivano dalle rughe e dall’incavatura degli occhi.

Dovrebbe significare trovare pace nella persona che diventiamo, non solo in quella che eravamo.
È un impegno a vivere autenticamente, a rispettare il fluire naturale della vita, con tutte le sue imperfezioni e la sua bellezza che è tale e irripetibile in ogni stagione.

Quale è, secondo voi, il vero atto di cura? Io forse una risposta non l’ho ancora trovata.

Manuela, Sydney

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