Vivere all’estero è sempre un viaggio che va oltre il semplice cambio di residenza: è un’immersione quotidiana in una cultura nuova, a volte profondamente diversa dalla nostra. Quando ci si trasferisce in un paese a maggioranza musulmana, come è successo a me (Qatar prima, Marocco ora) una delle prime cose che si notano è quanto la religione sia parte integrante della vita pubblica e privata. Per chi, come me, è cristiana, questo può inizialmente spiazzare, ma col tempo diventa un’opportunità preziosa di crescita personale e spirituale.
Probabilmente perchè “essere cristiani” viene da noi legato ad un concetto privato, ad una scelta intima, della cui osservanza o meno di alcune regole, del cui discutere o meno di alcuni precetti è cosa totalmente personale.
Nel mio caso poi, la mia spiritualità è sempre stata presente, ma preda di momenti di crisi, di domande, di grandi gioie e grandi arrabbiature. Forse è anche questo che mi ha permesso di essere attenta osservatrice della Fede altrui, e il dialogo interreligioso mi affascina da sempre.
Essere cristiani in un contesto musulmano non significa nascondere la propria fede, ma viverla con discrezione, rispetto e consapevolezza. In molti paesi musulmani, le religioni monoteiste sono riconosciute e rispettate, ma è importante ricordare che si è ospiti in una cultura dove l’islam è molto più di una religione: è un modo di vivere, un’identità profonda e condivisa.
A questo proposito, quando discuto di questo argomento con altre persone, ci tengo sempre a sottolineare come ci siano molte più chiese in paesi islamici che moschee in paesi cristiani: tranne alcune rare eccezioni, potrete trovare chiese e libertà di culto in quasi tutti i paesi a maggioranza islamica. L’unica cosa fermamente proibita è il fare proselitismo: ma non è mia abitudine cercare di convertire qualcuno!
Mia figlia ha ricevuto la sua Prima Comunione poco tempo fa qui a Marrakech, dove la Parrocchia dei Santi Martiri è gestita con amore, allegria e grande organizzazione dai Francescani, che hanno una lunga storia di presenza sul territorio e tramite volontari gestiscono una Caritas molto attiva.
Per me è un’emozione grande, mentre sono sul mio banco, in Chiesa, sentire il canto del Muezzin che proviene dalla Moschea di fronte, e i custodi della parrocchia stendono i loro tappetini per unirsi alla preghiera del pomeriggio.
Ho imparato presto a mettere da parte i pregiudizi. Le mie conoscenti musulmane mi hanno insegnato cosa significhi pregare con costanza, donare con sincerità, osservare il digiuno del Ramadan con disciplina e fede. In quel contesto, anche la mia fede cristiana ha assunto una nuova intensità. Ho iniziato a riscoprire le mie tradizioni, a pregare con maggiore consapevolezza, a sentirmi parte di qualcosa di più grande.
Essere cristiani in un paese musulmano significa anche costruire ponti. Ho condiviso la tavola dell’Iftar, ho partecipato a discussioni sul significato della preghiera, ho imparato a spiegare la mia fede con parole semplici, senza cercare di convincere nessuno, ma solo raccontando la mia esperienza. E questo, alla fine, è il dono più grande: scoprire che il dialogo interreligioso non è fatto di grandi conferenze, ma di piccoli incontri quotidiani, di rispetto reciproco, di sorrisi sinceri.
Nessuno, nessuno mai mi ha criticato o ostacolato nelle mie scelte: e vedere l’Imam e il Prete pregare insieme per benedire una scuola ricostruita grazie a fondi provenienti dalla Caritas e dalle associazioni cristiane dopo il grande terremoto del Settembre 2023 ha scaldato il mio cuore. Questo è uno dei tanti motivi per cui il Marocco e la sua accoglienza sono entrati per sempre nel mio cuore: la storia della convivenza religiosa in questo paese è incredibile e affonda le sue radici nella notte dei tempi.
Se c’è una cosa che questa esperienza mi ha insegnato, è che la fede non ha bisogno di essere gridata per essere forte. A volte, la testimonianza più autentica è quella silenziosa, fatta di gesti, di coerenza e di amore. Anche — e forse soprattutto — quando sei l’unica a farlo in un luogo dove la tua voce è una delle tante.
Fatemi sapere se anche voi avete vissuto la mia esperienza.
Veronica, Marocco
Foto di Noah Holm (@noahholm) su Unsplash.com