8 Novembre 2018

Traferirsi a Shanghai, di Daria

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Shanghai: come si passa da un paesino immerso nelle Prealpi lombarde di nemmeno 600 anime alla megalopoli più grande del mondo?

Semplice: il caso e un po’ di incoscienza!

Sono a Shanghai da qualche mese e ancora stento a capire bene l’entità del cambiamento che ha investito la mia vita. Le nostre vite.Mi sento ancora un po’ come se fossi in vacanza.

Per dire una banalità, la vita è davvero imprevedibile. Fino a qualche mese fa un’esperienza del genere per me rientrava nel settore della fantascienza: una relazione decennale, un lavoro da impiegata, un percorso che sembrava più o meno segnato. Poi una rivoluzione dietro l’altra, nuova casa, nuovo lavoro, nuove conoscenze, amicizie e un nuovo compagno.

Mentre ancora cercavo di capire cosa stesse succedendo, lui se ne esce con un C’è la possibilità che mi trasferiscano a Shanghai. Tu cosa ne dici?.

Io decido con la pancia. E anche se ritorno a rimuginare su quello che lei mi dice mille volte, so già che alla fine le darò retta. E poi le relazioni a distanza con me non funzionano. Non a queste distanze almeno. La lista dei “più” in questo caso superava di gran lunga quella dei “meno”.

Ok, vengo con te! Tanto, già che c’ero, cambiamento più, cambiamento meno…Ho sperimentato l’eternità: i mesi tra il primo annuncio e la data della partenza. In un’altalena di stati d’animo che vi lascio solo immaginare. L’impatto iniziale – che era un’incognita enorme e pericolosa – è stato ottimo. Entusiasmo alle stelle, che sta fisiologicamente rientrando a livelli ragionevoli man mano che mi scontro con le varie difficoltà della vita quotidiana, in un Paese così diverso, così profondo, dove – non solo la lingua – perfino i gesti risultano quasi incomprensibili.

Un Paese anche così problematico. Ma com’è la vita a Shanghai?, mi chiedono sempre dall’Italia. Mica facile rispondere. Da scoprire, mi viene da dire. Faccio una passeggiata nel parco vicino a casa: chi fa thai-chi, chi suona il flauto, chi il sax, chi canta, chi tiene comizi, chi gioca a carte, chi a dama, chi fa massaggi, chi scrive ideogrammi con l’acqua. Una città che vive incollata ai monitor dei cellulari: si fa tutto con i cellulari, anche chiedere l’elemosina…

Inquinata, quando l’aria è difficile da respirare e i palazzi sono avvolti in una nebbia grigia. Allettante, ogni volta che vedo qualcosa di nuovo da assaggiare in una bottega o mi coglie un profumo sconosciuto. Criptica, ogni volta che per strada o al supermercato o quando accendo la TV mi sento come un’analfabeta.

In effetti questa della lingua si sta rivelando l’ostacolo più grande e mi fa capire quanto chiuso fosse questo paese fino a qualche tempo fa. Non posso nemmeno a scambiare due parole con la signora che incontro in ascensore, e praticamente nessuno parla inglese.

A tratti quasi disgustosa, quando camminando per strada devo fare attenzione che non mi sputino su un piede. O quando qualcuno cucina lo stinky tofu! È una città nuova, penso guardando il panorama di notte dal mio salotto, al ventisettesimo piano, dove sembra che il cielo stellato si sia traslato in verticale (le stelle vere mi sa che finché sto qui me le posso scordare).

Di sicuro da cogliere e spremere, finché dura questa avventura. Finché tra qualche mese non mi verrà la depressione, come mi hanno anticipato altri expat!

In ogni caso ci sarà da imparare, su un altro continente, sulla Cina e su me stessa. Quindi zhù ni hao yùn a me!

Daria, Shanghai

PS: tutto questo ha avuto come naturale sfogo la creazione di un blog, Bacchette&Forchette, dove puoi trovare tantissime foto e racconti su com’è vivere in Cina…”

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