Il bilinguismo è una realtà che conosco bene. Vivo all’estero da anni, parlo quattro lingue (cinque, se consideriamo il sardo), ma non mi sono mai definita bilingue. La mia lingua madre è e rimane l’italiano, quella in cui penso, in cui sogno e in cui mi sento davvero me stessa. I miei figli, invece, sono bilingui (o trilingui, potrei azzardare) nel senso più autentico del termine. Sono cresciuti in ambienti dove le lingue si intrecciano costantemente, e questo ha dato vita a molte riflessioni sulla loro identità linguistica e su cosa significhi davvero appartenere a due mondi.
Adrián Bravi, nel suo libro La gelosia delle lingue, esplora il rapporto complesso tra la lingua madre e le lingue acquisite. Mi ha colpito molto quando scrive che la lingua madre non è solo un mezzo di comunicazione, ma è ciò che ci dona uno sguardo sul mondo. È vero: possiamo parlare, scrivere e pensare in altre lingue, ma c’è qualcosa di ancestrale nella nostra lingua d’origine che non ci abbandona mai. E io lo vedo ogni giorno nei miei figli. Parlano entrambe le loro lingue con naturalezza, ma so che ognuna di esse assume un peso e un significato diverso a seconda del contesto e delle emozioni che provano.
Bravi, scrittore italo-argentino, affronta nel suo saggio domande fondamentali: cosa accade quando un autore decide di abbandonare la propria lingua madre per scrivere in un’altra lingua? Cosa si perde e cosa si guadagna in questo passaggio? Secondo lui, passare da una lingua all’altra implica affrontare un rischio e presuppone una sorta di rinascita. Nonostante si possa scrivere, pensare e sognare in altre lingue, la maternità della nostra lingua madre rivendica sempre un legame profondo con noi, poiché essa non ci insegna solo a parlare, ma ci dona uno sguardo e un modo di essere.
Questa “gelosia delle lingue” a volte si manifesta anche nel rapporto tra genitori e figli. Mi capita di sentire un piccolo senso di perdita quando vedo che i miei figli preferiscono usare l’inglese tra loro, perché è la lingua della scuola, degli amici, del mondo che li circonda. Ma poi arrivano momenti in cui si rivolgono a me in italiano con una dolcezza e una profondità che solo la lingua madre può dare. In quei momenti capisco che, anche se la loro quotidianità si svolge tra due lingue, l’italiano rimane un rifugio sicuro, una parte ineliminabile della loro identità.
Non è sempre facile mantenere un equilibrio tra le lingue. Da madre, cerco di far sì che l’italiano non diventi solo una lingua da “dover parlare” con me, ma che rimanga un linguaggio di affetti, di storie, di ricordi. Leggiamo libri insieme, raccontiamo aneddoti di famiglia, ascoltiamo canzoni in italiano (Sanremo, anyone??), e soprattutto cerco di non correggerli in modo pedante quando sbagliano, perché voglio che sentano la lingua come un qualcosa di vivo, non come un compito scolastico.
Bravi sottolinea come la lingua madre non sia solo un mezzo di comunicazione, ma una lente attraverso cui interpretiamo il mondo. Questo implica che, anche se i miei figli sono perfettamente bilingui, potrebbero vivere esperienze e percezioni diverse in ciascuna lingua. Ad esempio, potrebbero associare determinate emozioni o ricordi a una lingua specifica, influenzando il modo in cui interagiscono con il mondo circostante.
Il concetto di “gelosia delle lingue” introdotto da Bravi evidenzia la tensione che può esistere tra la lingua madre e le lingue acquisite. Ogni lingua possiede una propria musicalità, struttura e cultura, e padroneggiarne più di una può talvolta generare conflitti interiori. Ad esempio, potremmo sentirci più autentici esprimendo determinati sentimenti nella nostra lingua madre, mentre altre situazioni potrebbero sembrare più naturali in una lingua acquisita. Io come vi ho detto mi sento “totalmente me” se parlo in italiano (spesso anche in spagnolo e mi capitava con il rumeno che adesso, purtroppo, non uso quasi più), mentre con l’inglese mi sento una persona che non mi corrisponde.
Alla fine, il bilinguismo è una danza continua tra due mondi. Per i miei figli, non sarà mai una scelta netta tra l’uno o l’altro: sarà sempre un fluire, un adattarsi, un sentire che cambia a seconda delle esperienze e delle emozioni. E forse è proprio questa la bellezza di crescere con due lingue: non dover mai rinunciare a una parte di sé, ma imparare a navigare tra identità diverse con la naturalezza di chi sa che, alla fine, ogni lingua che parliamo ci appartiene, ma la nostra lingua madre sarà sempre casa.
Nadia