“Non tornerei mai in Italia”
Quante volte mi sono sentita dire questa frase, specialmente ora che sono rientrata in Italia. Arriva come un fulmine a ciel sereno, fa un effetto strano, nell’intersezione esatta tra un commento superfluo ed un nervo scoperto.
Ho deciso di guardarci dentro, perché il sale brucia solo dove c’è ancora una ferita aperta, grande o piccola che sia.
Va da sé che questa sarà una riflessione personale non necessariamente comune a tutti. Questo lo lascio decidere a voi.
Ci sono due livelli di bruciore. Uno di forma e l’altro di sostanza.
Quello di forma è che nella frase “ non tornerei mai in Italia”, io ci leggo sempre un po’ di supponenza ed arroganza in chi la pronuncia, accompagnata da una forma di giudizio implicito sulle scelte altrui.
Non sarà sempre così, ma lo sembra, ed è per questo che la chiamo una questione di “forma. Difficilmente una frase così può suonare bene.
La parte di sostanza è quella che alla fine mi interessa di più.
Che corde tocca questa frase? Credo che ognuno di noi potrebbe dare a questa domanda una risposta diversa.
La mia è che questa frase l’ho pronunciata anche io… non per apostrofare chi lo aveva fatto, ma magari in conversazioni in cui ci si faceva forza vicendevolmente su questo principio. Ma non ho detto “mai”.
Questo lo so perché “mai” è un avverbio fine a se stesso, spesso inesatto per la natura stessa della vita.
L’ho detta e pensata anche io, e poi è successo.
È successo che la vita cambia, quel che sembrava un rettilineo invece era una curva e ti ritrovi dopo pochi mesi dove non pensavi mai di ritrovarti. E ti chiedi come farai.
Personalmente io seguo un pattern in questi cambiamenti repentini dell’esistenza: drammatizzo per qualche mese (in un vulcano interiore, magari mi concedessi il lusso di manifestarlo!). Un tempo erano sei mesi, ora sono su una media di tre.
Mi sento sopraffatta, fatico enormemente a trovare un equilibrio, e poi, un giorno, mi sveglio rendendomi conto che il cambiamento ha trovato spazio dentro di me.
Del “mai” ho capito la relatività.
Tutto è relativo alla situazione, a chi si è in quel momento, a con chi si è in quel momento e la lista potrebbe continuare.
Il “mai” in un sistema così complesso di variabili è una coperta sempre troppo corta.
Basta saperlo e mantenere comunque la propria libertà nel pensarli e pronunciarli, ma forse limitarsi nel dispensarli alle storie altrui. Lì si sbaglia.
E così questo “passaggio” in Italia compie i tre anni, con una casa acquistata, una figlia già ripartita per l’università all’estero, il secondo alla fine delle superiori e probabilmente in uscita dall’Italia, e la terza che a breve sarà alle medie.
Dentro di me conservo ancora quella lotta al “mai”, non solo in quella famosa ed urticante frase, ma in generale.
Mai tornare, mai restare… eppure, nella vita, il “mai” è un concetto fragile, che spesso si scontra con l’imprevedibilità degli eventi.
Mi tengo la finestra aperta ai forse, ai dipende, ai chissà e guardo fuori attenta alle variazioni di panorama.
Perché, in fondo, la vita ci insegna che davvero ‘non si sa mai’.
Monica, Italia