Ogni anno dopo Natale, un italiano che vive all’estero si sveglia sapendo che non riuscirà a chiudere la valigia. Perché gli amici e i parenti, vedendolo tornare, gli hanno fatto dei regali.
I più attenti hanno regalato dei libri, che si sa, occupano poco spazio. Oppure le creme e i prodotti per viso e corpo che non si trovano dove vive. Magari quel barattolo di salsa che gli piace tanto, o quell’oggetto divertente che sapete gli piacerebbe tanto.
Se l’expat in questione si é riprodotto, moltiplicate tranquillamente per sei, col resto di due.
Minimalismo, questo sconosciuto (a Natale)
Non sono nata minimalista, anzi, da ragazzina ero pure abbastanza accumulatrice. Oggi apprezzo il poco, il parco, il modesto, il legno e i colori naturali. Certo, anche un bel libro e uno shampoo che non distrugge gli ecosistemi marini, ma ho l’ansia della roba verghiana, del consumismo straripante, dei cassetti pieni e dell’attaccamento che si sviluppa verso gli oggetti. Avere molta roba é una perdita di tempo: va organizzata, riparata, pulita, poi buttata o donata. Io vivo già con la voce del Bianconiglio in testa che mi urla che é tardi, e ad ogni regalo lui strilla ancora più forte.
Ogni anno, ci provo.
Niente regali, per favore. O qualcosa di seconda mano.
Eppure ogni Natale, per quanto supplichi, massimo qualcosa di usato che basta cosi, mi ritrovo puntualmente sommersa di oggetti. Al punto che la valigia straripa, pesa quanto mia figlia al sesto risveglio notturno e io guardo fuori dalla finestra ripensando a quando giravo un mese e mezzo col solo bagaglio a mano.
Non fraintendetemi, mi fa un piacere enorme che famiglia e amici si ricordino di me.
Ma vorrei non dover gestire altre cose. Vorrei che i regali stessero con me una o due settimane, il tempo di godermeli e di godermi il pensiero di chi me lo ha fatto, e poi tornassero in una dimensione parallela in cui non devo pensare a pulirli, riordinarli, magari buttarli.
Posso non portarli con me, certo. Ma anche gestirli in Italia prima di partire é un lavoro che toglie tempo al godersi i momenti con le persone a cui voglio bene. Una corsa contro il tempo che é sempre poco, quando si attraversa un continente per rivedere i propri cari qualche giorno.
Il Natale mi fa salire l’eco-ansia.
Ormai sono lontani i tempi dell’adolescenza in cui del regalo vedevo la novitá e provavo un certo piacere a metterlo in ordine, compreso dividere ligia l’involucro nei cassonetti di carta e plastica. Oggi perfino la confezione regalo mi mette l’ansia: riesco a non strappare la carta e riutilizzarla? Lo sanno che lo scotch non si ricicla e sarebbe meglio usare un nastro? Perché i brand si ostinano a imballare gli oggetti in dieci strati di plastica?
La pratica del riregalarli non mi sembra sia stata ancora pienamente sdoganata. Tranne i libri, ho sempre incontrato un po’ di stupore, se non proprio resistenza, all’idea che io potessi passare un regalo ad un altro, quasi me ne stessi disfando per far dispetto a chi lo ha offerto.
I miei flebili commenti sull’argomento vengono silenziati con un “ma é Natale, per una volta!”
Solo che le volte si accumulano, e così i rifiuti, gli oggetti da gestire, e il mio stress.
Conclusione: cura i tuoi sintomi, dai un esempio diverso.
Una cosa di cui sono diventata consapevole (non certo grazie a chi mi ha detto che essere stressata dai regali é un problema mio) é che sono io che sono responsabile dell’ansia che mi prende davanti al troppo.
Ho imparato a guardare dietro la mia eco-ansia davanti ai pacchetti regalo e all’horror vacui che mi prende guardando una pila di oggetti da smistare. A rendermi conto che sono due mostri che si nutrono a vicenda e a sviluppare tattiche per non farmi inghiottire nel frattempo.
E il modo migliore che ho trovato é di essere allineata ai miei valori.
Quando posso, regalo oggetti di seconda mano, o prodotti eco-responsabili. I miei pacchetti sono fatti con vecchi giornali o foulard delle nonne che nessuno usa più. Negli anni in cui non ho un lavoro full time e un toddler di cui occuparmi, mi lancio in biscotti e altre preparazioni casalinghe.
E cerco in questo modo di controllare quello che posso, di praticare l’accettazione degli altri e di me stessa, e di alleggerire se non la valigia fisica, almeno quella emotiva.
Elisa, Abu Dhabi