Mi sono chiesta: ma che percezione hanno gli altri del mio vivere all’estero?
Le riflessioni che condivido qui nascono da un “Welcome back to your second home” che mi è stato detto dopo essere rientrata qualche giorno fa al Cairo da una breve scappata in Italia.
Sicuramente vivere fuori dai confini della propria terra può apparire agli altri come una scelta audace, a volte persino romantica.
L’immagine è per molti di una Valeria che si è spinta oltre i confini di una città come Lecce già ai tempi dell’Università per costruirsi una vita altrove. Eppure, sin dalla mia giovinezza, ho realizzato quanto questa percezione sia semplicistica. Come se io, allora come adesso, possa appartenere a un solo luogo, come se “casa” possa essere un posto unico e definitivo.
Io credo di essere la prova provata che non è così. Quante case ho avuto in 20 anni? Quante ne ho amate? In quante mi sono sentita “io” e mi sono evoluta? La riposta è:” In tutte”! Non è facile da capire, lo so. Proprio per questo per me non esiste il concetto di seconda casa se parliamo di quella attuale al Cairo, ad esempio.
C’è chi considera la propria casa quella in terra natia, nel paese o città di origine. Va benissimo così. Però bisognerebbe sforzarsi di non giudicare chi, come me, la casa in Italia la considera alla stregua di quella all’estero o addirittura la sua seconda casa. Non è così grave!
Tornare in Italia è tornare “a casa” per molti, perché lì ci sono le radici e gli affetti più antichi. sicuramente lì si è definita la propria identità. Naturalmente è così anche per me. Ma tornare al Cairo non è un viaggio verso una seconda casa, né un esilio. È un “andare/tornare” verso un’altra parte di me che mi sono costruita con fatica, in un luogo dove la quotidianità, con tutti i suoi ritmi e sfide, è diventata familiare.
Qui c’è una vita che pulsa al di là della nostalgia che naturalmente, a volte, provo: ci sono legami, abitudini, e una comunità che mi accoglie. È una casa quanto quella italiana e non meno autentica.
Forse la difficoltà sta proprio qui: nel rendere comprensibile agli altri questo doppio senso di appartenenza. Per chi mi osserva da lontano, vivere all’estero può sembrare una sorta di fuga o di conquista. Ma per me, è un equilibrio tra due mondi, a volte fragile, due dimensioni che si alternano senza mai annullarsi. In Italia c’è la mia infanzia e le mie radici; al Cairo vivo il presente, il mio quotidiano. Nessuna di queste case o luoghi o realtà è un compromesso. Sono entrambe mie, e in qualche modo mi completano
Vivere all’estero, dunque, non è abbandonare. Io credo che sia allargarsi, espandersi…un po’ come quando fai le inspirazioni profonde durante una sessione di yoga. Forse è anche accogliere in sé una me con un’identità più complessa di quanto appare e che appartiene ovunque il mio essere Valeria abbia messo radici. Vorrei poterlo spiegare bene a mia figlia che ancora fa fatica a “inquadrarsi” in un luogo piuttosto che un altro, lei che non ha mai vissuto neanche l’infanzia in un unico posto!
Sono stata a casa, in Italia, è vero ma sono anche tornata a casa qui al Cairo. Non sono tornata alla mia seconda casa.
Piuttosto la mia casa in Italia è quella che appartiene ad una me bambina e giovane. Le MIE case sono quelle che in questi 20 anni all’estero mi hanno vista adulta consapevole e capace di scegliere, capace di ” tenere botta”, di stringere i pugni, trattenere le lacrime o farle sgorgare, sorridere e ridere, creare una famiglia, creare una me donna.
Sinceramente non so che percezione abbiano gli altri del mio vivere all’estero, sia chi è in Italia ma anche gli amici egiziani e non qui al Cairo. Alla fine davvero non ha importanza perché dopo anni credo di aver trovato la quadra di una mia duplice appartenenza e identità.
Valeria, Il Cairo