Ormai un anno é passato dal nostro trasferimento a Marrakech, e mi sento in grado di tirare qualche somma, fare qualche bilancio.
Ora, spesso mi ripeto nel dire che non esistono posti perfetti e che alla fine mi sono sempre adattata ad ogni luogo in cui questa vita in espatrio ci ha mandati. Ho avuto la fortuna di vivere in città sicure, con buon livello sanitario, scuole per i miei bambini e buona qualità di vita. Ci sono ovviamente posti in cui tornerei domani e altri che…no, ovviamente, ma parto dal presupposto di essermi scoperta, nel corso degli anni, molto più flessibile di quanto non credessi.
Il bello e il brutto fanno parte di noi e di tutti, luoghi compresi. E per Marrakech non si fa eccezione.
Partiamo dal brutto? Ma certo!
Anzitutto, la burocrazia. Che è noiosa in tutti i luoghi e in tutti i laghi, certo, ma qui mi ammazza. Corse fra uffici per mettere un timbro, fra impiegati che sbagliano date o sono in ritardo proprio stamattina o sono appena usciti a farsi una té alla menta. Regole incomprensibili e che cambiano a seconda delle persone con cui parli, attese infinite, scartoffie a quintali. Il tutto condito da innumerevoli Inshall’ah, ovviamente.
Lo shopping: che di certo non è una priorità , sia mai, ma quando si hanno bimbi piccoli lo diventa… perché i piedini crescono e le gambette pure, e i negozi sono pochi, la scelta pochissima, le taglie disponibili ancora meno. Decathlon e Kiabi ci salvano, però ogni estate il carico di vestiti e scarpe è inevitabile. In un certo senso, non solo lo shopping ma in generale la disponibilità delle cose: che tu sia in farmacia, in libreria o al supermercato, se una cosa è esaurita lo sarà per un bel po’, e non si può prevedere quando tornerà . Qui sostituiamo l’Inshall’ah con un Amen, a arrivederci.
La guida: a Marrakech è uno specchio della burocrazia, cioè un casino. Precedenze a casaccio, rotonde maledette, asini, nonne con la verdura, carrozze con cavalli, triporteur, motorini con famiglie sopra. Prendeteli e buttateli in due corsie opposte separate da una striscia bianca, e ci siamo.
Se mi fermo a riflettere però, questi punti convergono tutti insieme verso un’unica fine, quella che per me è la linfa dell’esperienza marrakchi: ascolta, questa è la vita, cerchiamo di far incastrare tutto, di stare sereni, beviamoci un tè alla menta e facciamoci due risate, e poi c’è Dio che vede e provvede.
A Marrakech ho trovato gentilezza, apertura, semplicità . No, non quelle robe alla white saviour della serie “non hanno niente e sono felici, guardali!”. I marocchini sanno benissimo che insomma, ecco, le cose potrebbero anche andare meglio, e questo paese giovane e in crescita ne è la dimostrazione, perché tante cose stanno succedendo e succederanno qui nei prossimi anni.
In Marocco sento quella spinta positiva che in Europa forse un po’ si è persa, quella di cui mio papà , piccino che correva nei vicoli o ragazzino che faceva l’autostop sulle strade della Sardegna, sentiva dentro sé: ok, oggi non sarà il meglio, ma il futuro può essere radioso. Ci sono ancora tanti progetti da sviluppare, c’è da fare.
Scarsità di alcune cose, certo, ma abbondanza di tante altre: frutta e verdura freschi, prodotti della terra, varietà di paesaggi per ogni regione, possibilità di moltissimi servizi a prezzi contenuti.
Più nel concreto e sul personale: si parla francese, sono a poche ore da casa, i miei figli hanno una scuola di qualità e molte proposte di attività . La tolleranza religiosa, che di questi tempi non bisogna sottovalutare o dare per scontata. Nonostante ci siano molti pregiudizi, la sicurezza a girare anche sola. Gli scippi sono forse l’unica cosa di cui preoccuparsi, ma credo vadano (purtroppo) messi in conto in posti turistici e molto affollati.
In Marocco, insomma, so bene. E per tutto il resto, qualcuno da lassù, ci guarda.
Veronica, Marocco