Vivere all'estero

Intervista ad una cheerleader

Written by Diletta Texas

Pompon luccicanti e grida sincronizzate. Capelli raccolti da lustrini e minigonne spinte. Gambe che roteano disinvolte e capriole. Tante, audaci. 

Questo è tutto quello che sapevo del mondo delle cheerleader, rinchiuso nella narrazione che tutti i film americani ci hanno restituito nel tempo senza scampo. 

Avevo pure iniziato a vedere una serie Netflix a riguardo. Era il mio modo per iniziare a capire parte della cultura texana. Se non ricordo male era ambientata a Navarro una località a tre ore circa da Houston, nel profondo Texas.  Ricordo anche di averla abbandonata dopo il primo episodio proprio perché raccontava quello che già in parte pensavo di sapere e di cui confesso avevo un enorme pregiudizio. 

Le cheerleader fanno le oche, sgambettano, ammiccano. Sono tendenzialmente belle e si fidanzano con i giocatori fighi di football. Tutto questo sino a che non ne ho conosciuta una. E mi sono fatta raccontare la storia per bene. 

Alice è una ragazzina graziosa di diciassette anni, di altezza media e la bellezza genuina di una adolescente.  Questo è il suo secondo anno a Houston, il primo nel gruppo delle cheerleaders.  

“ Non sapevo nulla di questo mondo, mi piace la danza e mi piace la ginnastica così ho pensato potesse essere una buona opportunità per me di praticarle entrambe”.  

In effetti il cheerleading è un vero e proprio sport che combina elementi di danza, ginnastica artistica e ritmica con piccoli esercizi di acrobatica a terra e in aria. 

“La mia squadra è abbastanza piccola, siamo in quattordici ma esistono gruppi che arrivano anche a cinquanta, nelle scuole più grandi. La nostra attività dura tutto l’anno perché copre sia la disciplina della danza che quella del supporto alle squadre sportive della scuola, di cui siamo immagine e tradizione. 

Non esiste nessuna partita di football americano senza il gruppo di cheerleader che lo supporti, spesso coprendo il pre partita, intervalli e chiusura. 

Per entrare nella squadra delle cheerleader mi sono preparata una estate intera, tecnicamente e fisicamente per l’audizione. Ho una coach molto severa e sapevo esattamente che tipo di ballerine e ginnaste avrebbe voluto nella sua squadra. 

Ci alleniamo per due ore e mezza, tre volte a settimana. Spesso per utilizzare la palestra della scuola e dovendola condividere con altri atleti, ci vediamo all’alba, quando fuori è ancora buio.  Ci sono settimane più impegnative di altre.  Quando c’é il famoso homecoming  americano oltre alla partita, dobbiamo presenziare ogni evento scolastico. La scuola ce lo chiede e noi dobbiamo essere pronte per le esibizioni. 

Quando poi le stagioni di football o di basketball terminano, spesso abbiamo anche i campionati nazionali di danza o comunque altri eventi. Il mese scorso per esempio abbiamo partecipato come supporto alla partita degli Astros “. 

La guardo,  mentre mi racconta i suoi sacrifici, le sue sveglie ad orari assurdi, il sudore, la fatica,  il tempo che toglie ad altro della sua giovinezza,  ma non colgo nessun rammarico. Anzi. 

Ma c’è una sorta di gerarchia tra voi ?  

“Abbiamo una capitana. Lei decide insieme alla nostra coach la direzione generale del nostro gruppo. Gli orari, i costumi, le coreografie. Con lei una co-capitana che la assiste. Poi abbiamo una first lieutenant che sostanzialmente connette la squadra con le decisioni della capitana e della coach. In ultimo abbiamo anche la figura del social officer che si occupa della parte di “marketing”, ovvero fare in modo che l’attività delle cheerleader venga giustamente conosciuta e riconosciuta nell’ambito degli eventi scolastici e non. 

Ora detto così, mi spiega Alice sembra tutto militarizzato. In realtà esiste solo una chiara definizione dei ruoli e/o soprattutto degli impegni. Ad inizio anno, firmiamo una sorta di contratto verso la squadra affinché si garantisca un vincolo costante ed un rigore necessario per raggiungere i nostri obiettivi”. 

La chiacchierata procede in modo sereno. Appare chiaro immediatamente ai miei occhi che di quei balletti starnazzati del mio immaginario cinematografico resta molto poco. 

La disciplina, l’impegno , il rigore tipico di tutti gli sport appartiene anche a questo mondo e spesso i film restituiscono una narrazione errata della realtà. 

Come ogni sport qui negli Stati uniti, anche il cheerleading dà la possibilità di accedere alle università con delle borse di studio. E quindi per alcuni studenti meno danarosi è l’unica via per accedere a college cari e dispendiosi. 

Un’ ultima riflessione mi viene da fare con Alice. Ho avuto due figli che hanno giocato a football ed entrambi mi hanno detto che mentre si gioca la tensione non fa sentire molto supporto esterno e che spesso le voci delle cheerleader manco si sentono. 

“Peccato ” penso, con tutta la fatica degli allenamenti.  Allora le chiedo: siete coscienti che il vostro supporto spesso non viene ascoltato? 

 Lei mi guarda serafica, arriccia il naso e abbozza un mezzo sorriso. 

“Lo so”, mi dice, ma a noi non importa. Quando si fa canestro, o touch down noi corriamo tutte insieme verso di loro, ci abbracciamo felici, ci sentiamo “davvero una squadra”. 

E in fondo cosa è per i ragazzi di questa età la felicità se non far parte di un gruppo e mettere la propria vita nell’abbraccio di un altro ?

Diletta, Houston 

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Diletta Texas

In uno strano mix di curiosità, poesia e resilienza, da quasi vent’anni giro il mondo con la mia famiglia. Tre continenti, otto paesi, due figli e un cane che si sono uniti strada facendo.
Lingua che arriva dritta al punto e cuore tenero e generoso. Appassionata, schietta e carismatica, amo cucinare se sono nervosa e andare a teatro se sono felice.

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