Uno dei modi più semplici ed immediati grazie ai quali ho socializzato tanto e profondamente durante gli anni vissuti all’estero sono state le classi di cucina che ho organizzato e a cui ho partecipato: The Cooking club.
Unendo la forte curiosità verso le altre culture, la mia passione per la cucina e chiaramente l’Italianità , che ci rende bandiere viventi di buon cibo nel mondo, appena approdata in un posto nuovo ho sempre aperto la mia casa per accogliere persone e cucinare insieme.
I concepts sono stati sempre vari, ma la missione sempre e solo una. Riunire persone che condividevano la passione per il cibo e la voglia di condivisione conviviale.
I legami creati in quella dimensione unica tra cibo e realtà , sono stati così forti tanto da durare ancora adesso, ormai a distanza di venti anni.
Anche se non con tutti gli avventori della mia cucina ci sentiamo regolarmente, io una certezza ce l’ho. Ce lo siamo proprio detti.
Ogni volta che qualcuno di noi mette mano ad una ricetta per ricreare un piatto raccontato, creato e gustato insieme, la memoria di quei momenti ci riporta istantaneamente là . In quella cucina, insieme ad un senso di sempre viva gratitudine.
Perché il cibo, si sa, è molto più di qualcosa da mangiare. É storia personale, familiare, sono ricordi e tradizioni che si mettono a disposizione degli altri in forma viva, tridimensionale.
Ci raccontavamo sempre una storia mentre si mescolava, spadellava, impastava insieme. Si sfatavano miti su piatti che in realtà avevano ingredienti profondamente diversi da quelli mangiati in ristoranti turistici.
L’ironia era parte degli ingredienti, forse accomuna anche questo chi ama cucinare! Quanto abbiamo riso e ci siamo presi sonoramente in giro durante quei momenti, gli stereotipi che irrimediabilmente esistono tra culture diverse sono stati anche quelli impanati e fritti. E ci abbiamo bevuto su.
Il Cooking Club era una dimensione inclusiva, uno spazio senza conflitti.
Era uno spazio di condivisione allo stato puro dove Israeliani, Libanesi, Iraniani, Pakistani, Indiani, Cinesi, Coreani, Francesi, Spagnoli, Portoghesi, Brasiliani, Italiani, Tedeschi, Danesi, Argentini, Sudafricani (e l’elenco potrebbe continuare ancora) si riunivano per raccontare ed offrire qualcosa che li caratterizzava. Rappresentava la loro unicità , ma attraverso la condivisione diventava comune, un nuovo valore appreso, compreso e gustato.
In quel Cooking club tutti hanno trovato posto in cucina ed a tavola.
Culture diverse, età diverse, persone che si sentivano sole e spaesate, altre che si sentivano felici e realizzate; hanno trovato spazio gli inquieti, gli appassionati, gli introversi. Chiunque fosse alla ricerca di uno spazio dove sentirsi bene .
Nemmeno la lingua è mai stata una barriera e ciò era fonte di sollievo per molti. Abbiamo spesso solo parlato attraverso una padella ed un tagliere con sorrisi complici e sempre curiosi.
La faccio troppo filosofica forse?
Io non credo. Sono fermamente convinta che quello fosse uno spazio di unione vera.
Fuori dal tempo e dallo spazio, dall’area geografica dove ci trovavamo in quel momento. Uno spazio puro di incontro tra persone diverse che non sentivano differenze perché fatto di accoglienza e condivisione.
Questo racconto sul Cooking club e del profondo significato che ha avuto per me voleva essere il capitolo introduttivo di una serie che vorrei iniziare quest’anno per voi.
Nei prossimi mesi vorrei condividere le ricette che ci siamo scambiati nel tempo, cogliendo l’occasione di ricordare i loro autori.
É un regalo che faccio più a me in realtà , perchè dopo vent’anni la memoria inizia a sbiadire ed io, invece, la voglio mantenere sempre viva: in un viaggio tra cibo, diversità ed unione.
Allacciatevi bene il tovagliolo intorno al collo che si parte!
Monica Italia