Capita a volte nella vita di un expat, che ci siano spostamenti non desiderati, bocconi amari da mandare giù, e, mentre tutti postano foto dalle meritate vacanze, tu stia vivendo quell’estate “che estate non è”.
A fine maggio, come vi avevo accennato, siamo partiti da Doha, con mia grande tristezza. Credo di aver pianto ogni giorno nelle ultime due settimane, per poi piangere ancora sul taxi che ci portava all’aeroporto.
Mentre mio marito partiva per la nuova destinazione, io mi fermavo in Francia per circa un mese e mezzo per far terminare la scuola a mia figlia nel nostro quartiere, dove ha ritrovato tanti amichetti della materna.
Nel frattempo, mentre lei era contentissima, io mi disperavo per qualsiasi cosa: la caldaia rotta, la nostalgia del Qatar, la mensa che per qualche settimana non si è attivata, l’angoscia per il nostro futuro. Qualsiasi piccolo inconveniente si trasformava in una tragedia nella mia mente, nonostante nella maggior parte dei casi fossero tutti piccoli problemi della quotidianità, facilmente risolvibili con un po’ di pazienza.
Nei periodi in cui non si sta bene però, il tuo cervello veleggia lontano, in una terra scura che non ti fa neppur lontanamente scorgere la luce, e fare esercizio di gratitudine diventa temporaneamente impossibile.
La scuola di mia figlia, che tanto bene ha fatto a lei, ha comunque impedito che nel mese di giugno noi potessimo programmare anche un piccolo spostamento o viaggio. A luglio poi siamo partiti per la nuova destinazione, per raggiungere il papà, che ormai aveva trovato casa e stava cominciando ad ambientarsi.
Arrivati nella nuova casa, nel caldo dell’estate maghrebina, senza le nostre cose (ancora in viaggio nel mar Mediterraneo) ma soprattutto senza conoscere nessuno, in un posto completamente nuovo e popolato da turisti, ma con gli expat in vacanza, mi sono di nuovo sentita sola e persa.
Ma dove sono capitata? io che amavo le grandi città, l’ordine, la pulizia? perchè nessuno risponde alle mie mail? alle mie telefonate? perchè sfinirmi a contrattare per un taxi? dove si comprano le scarpe ai bambini?
Fa caldo, è estate, ed io vorrei solo essere al mare. Sono stanca. Ma questa è l’estate che estate non è. Questa volta è andata cosí: questa estate la passeremo a traslocare, a fare documenti, a correre per uffici, a procurarci un’automobile. Per non parlare del senso di colpa nei confronti dei bimbi: potrebbero stare con i nonni, a giocare in spiaggia, a mangiare un gelato sulla nostra bellissima costa, ad andare alle giostre. E invece.
Come sempre in questi casi, la tendenza (mia, ma penso anche di altri) è quella di andare in tilt. Come sempre in questi casi, mi dimentico che SO fare le cose, che SO superare le cose, che SO trovare quello che mi serve. Devo solo mettere in ordine i pensieri.
E cosí ecco trovato un summer camp per i bambini, ecco trovato chi consegna la bombola del gas in casa, ecco l’auto che dovrebbe arrivare a fine mese e che mi darà finalmente la libertà di movimento di cui ho bisogno. Ah, guarda, c’è Glovo, la spesa la faccio qui. Vabbè, le scarpe le ordino e me le faccio portare dai nonni, oppure via di Decathlon e amen.
Vi sembrano cose stupide, forse, first world problems. Sicuramente è vero. Ho un bel dire, quando parlo di minimalismo e di cercare di vivere al massimo il posto in cui si è, fino a che non vengo catapultata sulla Luna e devo sbrogliare la matassa di pensieri e di “come si fa questo? come funziona quell’altro?” in una calda estate.
Se ne esce, piano piano. Ma non importa che tu sia expat da quattordici anni o da uno, conta la tua forma mentis, il carattere, conta quello che lasci (se lo amavi, se non vedevi l’ora di partire), come lo lasci e perchè, come ti senti in quel periodo.
Mi sono sentita viziata e capricciosa. Poi mi sono ricordata quante volte qualcuno mi ha detto “non so come tu faccia! complimenti!” oppure “siete tosti, con due bambini poi!”. Per me queste sono sempre state frasi ascoltate senza troppa attenzione: del resto, tutti gli espatriati intorno a me fanno e vivono le stesse cose. Che sarà mai.
E invece no. Diamoci valore, “buttiamoci fiori” ogni tanto. Facciamoci quel pat pat sulla spalla che ci vuole. Ricordiamoci che siamo brave. E anche se una mattina, una volta portati i bambini a scuola, stiamo sul divano tre ore a leggere e ascoltare podcast true crime (ogni riferimento è puramente casuale) per svuotare la mente, non sentiamoci in colpa perchè “poco produttive”.
Non sentiamoci in colpa perchè questo mese abbiamo dato di matto, perchè abbiamo pianto su delle sonore stupidaggini, perchè ci siamo rintanate nella nostra tana.
Fortunata sí, grata sempre, colpevole anche basta.
E voi, come prendete i cambiamenti?
Veronica, in transito (fino al prossimo post!)
(Foto di Harshil Gudka su Unsplash)