L’arrivo a Bora Bora sa di orchidee e pace. Appena scendi la scaletta, tutta te stessa capisce di colpo che sei sbarcata in paradiso.
E non è solo quel profumo di fiori che ti avvolge all’ improvviso. Sono le palme che sembrano si inchinino per salutarti e, come in un sipario che si apre all’improvviso, ti mostrano varie sfumature di colore, di mare e di cielo.
Le hostess sorridono sornione al mio sguardo incantato. Saranno abituate a tanto stupore. Sembra che mi dicano: sì, sei proprio in un giardino di delizie. Benvenuta.
Io inizio a farneticare. Faccio così quando sono troppo felice. Poi all’improvviso capisco che devo tacere e iniziare ad immortalare così tanta bellezza. Tiro fuori la macchina fotografica.
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Parte da qui il mio viaggio nella Polinesia Francese, un viaggio che mai avrei pensato di fare perché lontano dal mondo, un puntino nell’immenso oceano Pacifico.
Eppure, complice un compleanno importante e il fatto di vivere oggettivamente a metà strada tra l’Italia e questo puntino ho pensato: sai che c’è? Io nel paradiso questa volta ci vado ( anche perché dubito ci andrò in futuro.
Io non sono una che si spiaggia tipo grande cetaceo tutto il giorno e tendenzialmente se si pensa alla Polinesia ti viene in mente solo l’immensità del mare, ma proverò a raccontarvi il mio itinerario abbastanza vario e le mie scelte, magari pure qualche indicazione tecnica.
Il viaggio è lungo. Sono dovuta arrivare a San Francisco da Houston (4 ore di volo), per poi prendere la coincidenza con Papeete, la capitale della Polinesia. La traversata del Pacifico dura circa 8 ore dalla costa ovest Americana.
Da lì con 40 minuti di volo con Air Tahiti sono atterrata nella laguna.
La pista è uno strettissimo lembo di terra che spacca esattamente nel suo centro due sfumature di azzurro. L’insegna dell’aeroporto è un piccolo atollo di tre metri quadri, con due palme che reggono la scritta.
I miei occhi iniziano a brillare di fronte a tanta bellezza. Rido apparentemente senza ragione, ma il mio cuore sa perfettamente perché.
La compagnia aerea mette a disposizione un traghetto per portarti sulla terra ferma. Coloro che hanno scelto i resort sulle palafitte vengono invece recuperati direttamente per andare sui motu, rilievi sabbiosi ai margini delle barriere coralline, dove le strutture con il mare sotto i piedi e i pesci che ti guardano sotto la gonna.
Io ho volutamente scelto una soluzione più semplice. Non sono in viaggio di nozze, ho uno dei miei figli a seguito, non amo particolarmente essere isolata. Per il mio soggiorno ho scelto un hotel molto molto bello “ Royal Bora Bora”, perfettamente integrato con la natura che ad un giusto prezzo per stanza, colazione compresa, mi offre una spettacolare vista del mare a dieci metri.
All’arrivo mi accoglie una donna Tahitiana con i fiori freschi tra i capelli (che fa molto esotico) e mi mette al collo una bellissima ghirlanda di fiori freschi. Vengo sopraffatta da un odore ancestrale di terra e sole.
Mi sorride ed io davvero penso che non ho bisogno di altro. Inizia un’esplorazione della spiaggia antistante, tra succhi freschi e pesce crudo con salsa di cocco.
Fa caldo, tanto caldo, io non mollo la ghirlanda se non per bagnarmi. Il resto della settimana lo passerò tra fiori freschi intrecciati nei capelli, come tutte le donne dell’isola che chiamerò per affetto al post impressionismo: le ragazze di Gauguin, degnamente raffigurate dal pittore Paul Gauguin che trascorse tanti anni nell’isola di Tahiti cercando nel suo tratto i genuini caratteri della civiltà maori.
Bora Bora, da loro chiamata solo Bora è una laguna immersa nel pacifico. L’isola ha un perimetro di 32 km percorribili in auto. Se la percorri invece con la barca ci metti quattro ore di navigazione. In questo spazio di piscina naturale ho visto tutte le sfumature possibili di mare. I vari fondali donano alla vista delle oscillazioni che vanno dal celeste tenue al blu intenso, passando per il turchese e i verde acqua. Se alzi lo sguardo le montagne dominano la laguna in un abbraccio armonioso che sembra protegga l’intero ecosistema. Gli squali (innocui) di circa un metro ti passano accanto, le razze, i pesci di ogni tipo e colore. Sembrano tutti protetti da una dimensione assolutamente naturale dove in qualche modo ti senti giustamente solo un ospite.
C’è una frase di Vladimir Nabokov, famoso scrittore ma anche entomologo, che mi è tornata in mente guardando quella meraviglia. Lui dice che la natura è la più grande imbrogliona sulla piazza. ‘’C’è in lei un meraviglioso sistema di magia, trucchi e travestimenti…”
Io mi sono sentita esattamente come al centro di un sistema di magia, dove mi sono nutrita di pura bellezza e dove non avevo più bisogno di nulla.
I Tahitiani sono gente gentile, abituati al turismo, di fatto principale fonte di sostentamento. Infatti se riesci ad andare oltre la bellezza oggettiva della terra e del mare scorgi un paese povero, che nonostante la dominazione francese non ha perso minimamente la sua cultura e le sue tradizioni.
Bora Bora aveva venti strutture ricettive. Tanti sono i resort che oggi ho visto abbandonati. Tantissime palafitte vuote e non per la bassa stagione.
Ho intervistato un po’ di gente locale e mi spiegava che negli ultimi anni, anche prima del covid, la percentuale di turisti a tasche larghe è diminuita notevolmente per cui coloro che hanno investito in queste strutture di fatto non sono riusciti a mantenerle aperte. Considerate che per arrivare in Polinesia il biglietto aereo è sicuramente la parte di budget che più ha influito. Il resto dipende dal tipo di vacanza che ti piace fare. Ho pagato un pasto (tanto pesce crudo) e qualcosa da bere con cifre che vanno da venti a massimo cinquanta dollari.
Il vero surplus di quel posto è a mio avviso il posto stesso, quel mare, quella vista. Non c’è struttura che possa aggiungere niente alla meraviglia. E’ tutto lì a disposizione di tutti.
Quindi fatto salvo quella quota di coppie in viaggio di nozze, il resto è tanta normalità. Famiglie con bambini, gente di ogni età.
Giri in bici, una barchetta a motore per esplorare la laguna, imparare a fare le ghirlande, fare strimpellate con l’ukulele, nuotare insieme ai pesci della barriera corallina tra razze giganti e tartarughe marine.
Lasciare questa meravigliosa isola è stato come salutare un’amica che che ti ha ospitato per un po’ e fatto stare bene, ma che già sai che probabilmente non vedrai più.
Papeete è la capitale, una cittadina caotica ed esotica. Scorgo tra le vie stralci della mia vita Parigina, ma solo tra marche francesi e lingua familiare. Non verrei apposta qui in vacanza ma credo che visitare la città sia importante per capire integralmente la cultura, partendo da come sono gli uffici, le chiese, le piazze, i mercati, le strade.
Le Marché di Papeete è un mercato coperto molto folkloristico dove trovi davvero di tutto, passaggio obbligato per ogni turista, ma anche abitante della città. Nell’attraversare questi banchetti capisci davvero cosa li rappresenta. Vestiti dai mille colori, parei, fiori freschi, tanti fiori freschi, il famoso e magico olio di Monoï, e poi le perle nere. Per evitare di farmi ingannare visto che i prezzi oscillano in modo davvero assurdo, decido di visitare il museo della perla. Lì scopro che a fine anni ottanta un visionario imprenditore tahitiano Robert Wan, decise di comprare un atollo dell’arcipelago e costruire un allevamento di perle. Ora che ha oltre novanta anni ha aperto un museo davanti alla marina di Papeete dove si possono ammirare le tecniche di allevamento ma anche parte della storia delle perle nel mondo. Davvero carino.
Altre cose interessanti che ho visitato è stato il Musée de Tahiti et des îles (molto bello) e diversi punti panorami della città da cui puoi scorgere panorami davvero mozzafiato. In particolare il punto dove c’è il faro è stato per me teatro di una cerimonia a cui mi sono trovata per caso.
Un’ intera scuola di liceali in boarding school celebrava e festeggiava l’attesa della nascita di una studentessa rimasta incinta. Non potete immaginare la gioia di questo gruppo di centinaia di studenti, quel incedere festoso nel celebrare la vita con canti e riti propiziatori che riprendevano la cultura Maori. Davvero una festa anche per noi, testimoni inconsapevoli.
Ho anche assistito ad una raccolta fondi per sostenere la crescita futura di questo bimbo. Vi assicuro che non si percepiva nessun giudizio per la scelta o la casualità di questa ragazza che ha optato per la via della vita a favore della rinuncia , nonostante la sua giovanissima età.
L’ultima grande sorpresa di questo viaggio è stata Moorea, un’isola distante a pochi chilometri da Tahiti raggiungibile in traghetto. Moorea è famosa per le piantagioni di Ananas, che ho avuto l’opportunità di visitare. Non si può rimanere indifferenti dalla bellezza di questa isola perché sembra a tratti surreale. Le sue montagne vulcaniche e le sue spiagge cristalline ti regalano un dipinto in cui la natura predomina incontrastata.
Altre isole non sono riuscita a visitarle. Avrei voluto visitare Tahaa, l’isola di Nu ah, la mia maestra di ghirlande, famosa anche per la produzione di vaniglia e Rangiroa, a quanto letto forse la più bella di tutte. Purtroppo il mio tempo era limitato e per raggiungerla avrei dovuto prendere un aereo.
Mentre cerco di chiudere questo racconto non posso non parlarvi di questa ultima sensazione davanti alle famose cascate di Tahiti. Le cascate sono tante, alcune a portata di strada, altre raggiungibili con sentieri accessibili a quasi tutti. Avrei potuto allegarvi mille foto con tutti i colori possibili del mare, del cielo e della terra. Invece scelgo questa. Questa donna che guarda la sua terra con incanto. Perché al netto di tutto, quello che mi rimane dentro di questo viaggio è proprio questo. L’incanto.
Quando si ha a che fare con la natura la maggior parte delle volte si riceve molto più di quello che si sta cercando.
Questo è stato il mio caso.
Diletta, Houston
che meraviglia!!!
sei firtunata con 12/13 ore di viaggio 🙂 per me dall’Italia sarebbero minimo 24 credo non la visiterò mai ma mi accontenterò della nostra Polinesia, le Maldive