La salute mentale è salute.
Sembra una frase ovvia, ma, ahimè non lo è.
Quando si parla di salute è comune riferirsi unicamente alla salute del nostro corpo, del nostro organismo.
Programmi, libri, riviste, blog, social promuovono con solerzia tutto lo scibile in materia di corpi sani e belli.
Prendersi cura del nostro corpo rende nobili, ma quando si parla della cura della nostra salute mentale, il registro cambia.
Eppure tutto dialoga costantemente con tutto nel nostro organismo, senza linee di demarcazione.
Basti pensare al nostro nervo vago, il nervo più lungo del nostro sistema parasimpatico. Ci attraversa partendo dall’encefalo passando per la trachea, i polmoni, il cuore e dal diaframma. Raggiunge la cavità addominale. Si dirama per abbracciare gli organi interni: lo stomaco, l’intestino (il nostro vero secondo cervello) fino al colon.
Siamo un’ecosistema che il nostro cervello governa per mantenerci in costante equilibrio nel disequilibrio.
In questi ultimi anni il mondo dello sport, simbolo per eccellenza della forza fisica, ha dichiarato a più voci che il rapporto mente e corpo esiste, ed è fondamentale per la performance e per il proprio benessere.
Atlete straordinarie come la ginnasta Simon Bile o la tennista giapponese Naomi Osaka hanno fatto scalpore per aver dichiarato a gran voce che la cura della propria mente vale quanto la cura del proprio corpo.
E queste dichiarazioni invece di suscitare una marea di applausi per aver illuminato l’elefante in mezzo alla stanza hanno suscitato una sequela di critiche e commenti degni dell’era della caccia alle streghe…
Il diniego e la stigmatizzazione della cura della nostra salute mentale crea circoli viziosi. Questi aggravano e scoraggiano la possibilità di farsi supportare.
Ci si sente soli, sbagliati, diversi, nel manifestare apertamente l’umana e sana necessità di essere supportati anche nel gestire i meccanismi della nostra mente.
E ciò rafforza inevitabilmente la cultura dell’ anestetizzarsi dalle proprie emozioni, catalogandole come giuste o sbagliate. Questo porta a pararsi dietro a slogan di positività tossica.
Ve lo dico perché lavoro nel mondo della salute mentale, e quotidiani sono i commenti dei miei clienti, a conferma di ciò di cui sto scrivendo: dai giudizi di parenti ed amici sull’intraprendere percorsi terapeutici, all’immenso sollievo che si prova nell’avere uno spazio proprio per raccontarsi e per poter dare voce alle proprie emozioni.
Creare uno spazio per pensare ed ascoltarsi è già nei fatti terapeutico di per sé.
Ma non sarebbe quindi l’ora di prendere atto che siamo un sistema biologico che va supportato nella sua totalità?
Che dedicarsi alla propria salute mentale è un percorso che ci rende immensamente più forti e protagonisti della nostra esistenza? Non certo deboli o sbagliati!
Io spero che se ne continui a parlare, e che la cura della propria salute mentale faccia parte integrante della cura di noi, nella nostra interezza, senza stigmi o giudizi.
E per farlo è fondamentale anche che si dimentichi questa caccia alle streghe a chi ha paura di ciò che non conosce e non vuole conoscere, vivendo nell’inconsapevolezza, lasciando agli altri coraggiosi e forti la ricerca di un equilibrio senza pregiudizi o inutili confini.
Monica, Italia