Sono in Connecticut. Come sono finita a vivere qui? Che bella domanda!
E’ da quando ci siamo trasferiti che me lo chiedo.
Ma forse la domanda da farsi e’: “Come cavolo ho fatto a venire a vivere qui?”
Ok, partiamo dall’inizio.
Mi chiamo Barbara, sono di Milano, e sono proprio una cittadina.
Amo camminare, guardare le vetrine dei negozi, lo smog, il traffico e la gente. Amo vestirmi bene, uscire con gli amici e andare al ristorante.
Ma, ormai da 9 anni, vivo in Connecticut. In una bellissima casa sul lago nel bosco (Ig #lamiacasasullagonelbosco), in un paese che non ha marciapiedi, dove di ristoranti decenti non c’e’ nemmeno l’ombra, con si l’aria pulita, ma con piu’ animali che persone. Dove le distanze di misurano in minuti di percorrenza (di solito non piu’ di 10), dove le persone vanno in giro in tuta o leggins con flip flops estate e inverno, e dove i negozi per come li intendo io sono solo catene e si trovano alla “Mall”.
Perche’?
Il motivo che ci ha spinto fin qui e’ lo stesso che porta la maggior parte di noi ad espatriare. Il lavoro del marito. Erano anni che mio marito ed io ci dicevamo che se fosse capitata l’occasione di fare un’esperienza all’estero sarebbe stato bello.
L’occasione e’ capitata e noi l’abbiamo colta.
Una nuova proposta di lavoro era una nuova sfida. Destinazione Connecticut. Perche’ non andare? Se non avessimo colto l’occasione avremmo avuto il rammarico di non averlo fatto. E questi treni non e’ che passano proprio tutti i giorni! E poi, io sono una a cui piace cambiare, amo immensamente le sfide, amo viaggiare e conoscere posti nuovi.
Inoltre l’idea di imparare l’inglese mi piaceva ed anche il fatto che Giacomo, nostro figlio, sarebbe diventato bilingue ci elettrizzava. E quindi, con tante aspettative, entusiasmo e una immensa dose di incoscenza – allora non lo sapevo pero’ – abbiamo deciso che si’, saremmo partiti per l’America! I nostri amici erano increduli. Il sogno americano, e noi lo stavamo realizzando! Solo le mie amiche hanno versato tante lacrime.
E quindi ad aprile del 2013 e’ partito mio marito. Lui si e’ occupato di trovare casa a Brookfield e io, a Milano, di chiudere la nostra casa e di organizzare il trasloco transoceanico. E cosi’, il 27 giugno 2013, dopo aver salutato tutti, io e il mio bambino di 5 anni ci imbarcavamo con 6 valigioni su un aereo con destinazione JFK New York.
L’impatto iniziale e’ stato interessante.
Una villa tutta per noi, un sacco di stanze e un giardino tutto intorno. Vuota, tranne un letto matrimoniale, un tavolo e due sedie.
Prima gita: Ikea.
Seconda gita: Costco.
Ricordo ancora Giacomo, in sala, seduto nella valigia aperta a guardare la TV. Ricordo anche tutte le ore passate in casa con un caldo umido pazzesco a montare mobili. Abbiamo comprato una palla, perche’ avevamo il giardino e dovevamo pure usarlo, no?
Ma, esattamente, che cosa ci si fa con un giardino? Datemi un terrazzo che so cosa farci, ma un giardino? Di quei primi giorni oltre al caldo, al silenzio, al non sapere cosa fare, ricordo soprattutto il senso di solitudine. E non era soltanto perche’ eravamo soli, era una esclusione dal mondo esterno che non conoscevamo, e con il quale era difficile comunicare a causa della lingua.
Un paio di giorni dopo il nostro arrivo, proprio come succede nei film, la proprietaria di casa bussa alla nostra porta portando del salame e una bottiglia di vino, come dono di benvenuto.
E’ stata la nostra ancora di salvezza. E io mi ci sono aggrappata all’istante.
Una mamma dolce con tre bambini, una dei quail della stessa eta’ di Giacomo.
E’ stata lei a mostrarmi dove si trova l’ufficio postale, il parco giochi, la banca, la farmacia, il supermercato. Ed e’ sempre stata lei che si e’ offerta un giorno di tenermi il bambino per permettermi di fare la spesa tranquillamente. Tre ore al supermercato per decifrare tutte le cose da comprare. Ancora oggi mi domando come abbia fatto a lasciare il mio bambino per tutto quel tempo ad una perfetta sconosciuta.
Ma questa sconosciuta e’ stata la mia guida per molto tempo, sicuramente per i primi anni.
E intatno lei diventava la mia prima amica americana.
Barbara, Connecticut