Sono Alice ho 36, quasi 37 anni! Ho sempre il brutto di vizio di togliermene un po’ e anche gli altri di solito lo fanno e non ho mai capito se dimostrare meno anni mi piaccia o no… perché va bene se te ne danno meno per il tuo aspetto fisico, ma se è invece per il tuo cervello? Spero che nel mio caso valga il primo.
Dopo anni di studio e di fatica per trovare il fantomatico “posto fisso”, cosa ho pensato bene di fare dopo 10 anni di sveglia alle 6h30, treno, autobus e 8 ore di computer dietro una scrivania? Mi sono licenziata! Beh, detta così forse chiunque si sarebbe licenziato. Ho lasciato un lavoro a tempo indeterminato a Genova per trasferirmi con mio marito a San Francisco, CA. Non che il mio lavoro non mi piacesse, anzi!
Eppure qualcosa e non ho ancora ben capito cosa, mi spingeva al di là di un oceano e di un continente, anche se quel “qualcosa” l’avrei stramaledetto i giorni prima della mia partenza.
Dentro di me sapevo che prima o poi sarebbe arrivata l’occasione anche se la mia psicologa mi ricorda sempre che le occasioni non capitano a caso, sei proprio tu che fai in modo che ti capitino perché siamo sempre artefici del nostro destino, poi ci può essere qualche sfiga o fortuna durante il cammino.
Mio marito è un ingegnere e ha sempre lavorato all’estero, periodo Covid a parte, durante il quale abbiamo vissuto quasi un anno di piena convivenza. Per ridere ci definiamo una coppia part-time… che devo dire non è poi così tanto male… a sto giro, invece, sai che c’è? Ti seguo!
Non so se sono stati i due anni di chiusura forzata o la malattia di mio padre, avevo bisogno di un cambiamento, aria fresca e, un biglietto di sola andata mi sembrava un buon inizio.
Immagino che la mia storia sia comune a tante di voi, noi expat (che buffo definirmi così, l’ho scritto anche nel mio profilo IG “expat girl” ma sono la prima a non crederci ancora) fatto sta che adesso al mattino mi sveglio dall’altra parte del mondo, di quello che fino a ieri era il mio mondo. Dalla finestra non vedo più il monte Fasce ma il Bay Bridge. Non ho solo seguito mio marito, ho voluto cogliere questa occasione e farla mia 🙂
In 20 giorni qui ho capito di San Francisco che:
– non si deve chiamare Frisco, assolutamente no! Questa è una città dignitosa e ha un nome ben preciso, al massimo ti concedono SF [esef] California…
– la parola d’ordine è inclusività: c’è spazio per tutti, ma proprio per tutti! Non importa se vai in giro col piumino e i sandali o se hai un accento strambo. Tutti ti saluteranno con un “take care”. Qui “bye” non lo dice proprio nessuno. Ma infatti perché augurarsi addio? meglio un abbi cura di te, la vita va vissuta a pieno e mai con il freno a mano tirato. Imparerò anche quello;
– le parole che vedi lette al supermercato: non-diary yogurt (sì, sono intollerante al lattosio da sempre), leek, shallot ti si incidono nel cervello come fossero scritte sulla pietra. Vallo a spiegare al tuo lettore all’università di Lingue che ascoltare in cuffia e ripetere alla nausea 10 idioms al giorno non è servito a niente. Anche perché chi se li ricorda più: sono passati più di 10 anni.
– che al supermercato vendono le uova già sode;
– che i centri estetici sono gestiti da gentilissime signore tailandesi di cui non capirò mail la pronuncia e che lo shellac sta bene anche agli uomini 😉
– non mi abituerò mai al suo clima: ti devi vestire a sentimento perché al mattino è inverno, al pomeriggio è estate e alla sera lo scopri solo vivendo…
– ho trovato lavoro in tempo zero, e senza compromessi. Anzi due e posso scegliere o farli entrambi… Wow! (possibilmente con la o aperta, molta aperta che sembra quasi un “a”) Faccio quello che mi piace: insegnare. Senza “se” senza “ma”, senza tu puoi insegnare solo qua, se fai sostegno prendi punti etc. Qua insegni e basta!! Ti piace? Puoi farlo.
– le persone le conosci bevendo una birra al bar o mangiando un hamburger che costa più di un paio di scarpe. Se poi scoprono che sei italiano, non ti mollano più! Perché noi lo disprezziamo tanto il nostro paese e non lo sappiamo valorizzare per niente. E ho sempre pensato che la frase “ti senti più italiano all’estero che in Italia” fosse una frase fatta, di italiani expat malinconici e invece, mi sono bastati solo 20 giorni per capire quanto fosse vera, ma non c’è niente di malinconico in questa frase, solo orgoglio.
E questo è solo l’inizio!!!
In 20 giorni, non mi sono fatta mancare proprio nulla: il mio primo raffreddore americano, un covid test, un alluce lussato e il mio primo ciclo senza bidet (ne vogliamo parlare di non avere più il bidet?!!)
Questa è la mia storia, i miei primi 20 giorni da expat e delle mie prime impressioni. Del lasciare un po’ tutto e reinventarsi, ma senza in realtà sentirsi persi. Beh! almeno dopo aver passato le prime 24h in territorio americano. Perché appena arrivata un po’ persa mi sono sentita e se qualcuno mi avesse dato un biglietto di ritorno l’avrei preso di corsa nonostante le 30 ore di volo che avevo sulle spalle. Avrei fatto immediatamente dietro front senza pensarci un secondo.
Sono una ragazza semplice, indisciplinata quel che basta che, mentre le mie amiche di sempre, quel del liceo fanno figli, ha deciso di fare una scelta controcorrente: trasferirsi in USA per un anno o chissà…che poi i bambini si fanno anche qua e non ci si ferma quasi mai ad uno. Merda!
Alice, San Francisco
Love this!! So fresh. SO honest. So accurate! We are lucky to have you in SF. (NOT Frisco!!)