Ricordate il mio articolo Moglie al seguito?
Aveva ricevuto molti commenti e ne era nata una bella discussione.
Non solo! Di lì a poco, ho ricevuto una mail da un mio vecchio collega e amico, desideroso di raccontare il suo punto di vista e la sua esperienza di marito al seguito.
Con molta gioia, ecco per voi la storia di Alessandro.
Manuela, Sydney
Sei sempre stato un po’ anarchico mi disse un giorno mio fratello. Non mi ci sentivo allora e, in fondo, non mi ci sento neanche ora. Con il passare del tempo, però, ho capito cosa intendesse, e sì, forse nutro un po’ di avversione per la regola, la linearità, la convergenza verso obbiettivi riconosciuti comunemente come fondamentali. Non che lo faccia con spirito di ribellione, o volontà di emergere. Tutt’altro, ho sempre preferito essere dietro le quinte, lavorare nell’ombra. È una spinta innata, niente di metafisico, solo la forte volontà di realizzare un progetto, un’ idea, un piano. Esperienza comune a tutti, se non fosse che spesso questa mia realizzazione prende strade meno comuni, vie tortuose, difficili da condividere, rischiose.
La scelta meno comune è stata presa quasi 7 anni fa, una sera di novembre, in autostrada.
Virgin radio come sottofondo, pioveva e noi rientravamo a Roma dopo un weekend in famiglia. Mia moglie, lei ancora non lo sapeva ma lo sarebbe diventata a breve, era febbricitante e, seduta lato passeggero, venne investita dalla mia idea più luminosa, folle e creativa di sempre: il matrimonio!
Sì, le ho chiesto di sposarmi in un modo un po’ anarchico, ma non era voluto.
E no, non è stata la spinta dell’amore, la voglia di coronare il nostro rapporto con un evento da favola. No, non ci serviva, non sentivamo il bisogno di sposarci.
No, è stata un scelta di necessità. Lei sarebbe partita per Boston, USA, dove era stata invitata a far parte di un gruppo di ricerca presso la prestigiosa Harvard University. Brillante carriera all’orizzonte, come si fa a dire di no. Però, c’è sempre un però, era chiaro che questo avrebbe messo a rischio il nostro rapporto. Ma come si fa, io lavoravo come Art Director a Roma, tutta la nostra vita era lì, casa, amici, famiglia, la vespa!
A meno che… vabbè sarebbe folle però… ma forse sì… perché no?
Ma sì, ci sposiamo, mi licenzio e vengo con te. Avrai tuo Marito al Seguito! Sì, sì! Un anarchico MARITO al seguito!
Forte no? No?
Sto ancora aprendo i cartoni del nostro ultimo trasloco, a Newcastle, UK.
Negli anni ne abbiamo fatti parecchi di traslochi, e di varie nature. Qui siamo arrivati in nave, di notte, come si faceva molti anni fa.
Siamo arrivati e ci hanno messo in quarantena, proprio come si faceva tanti anni fa.
Siamo arrivati e, anche qui, causa Brexit, abbiamo dovuto chiedere un visto, e anche qui, io sono dipendente da mia moglie. Anche qui avrà suo marito al seguito.
Una valigia.
Essere al seguito di qualcuno ti pone di fronte alla fatidica domanda, quella che tutti si fanno, alcuni cercano di evitarla in principio, ma poi arriva, e non è semplice da affrontare:
E tu? Tu cosa fai?
In questo momento della mia vita, l’istinto è quello di rispondere: “Io? Io faccio l’anarchico!”.
Ma poi cerco una definizione più comprensibile. Ma non è semplice.
Faccio tante cose. No, non ho un lavoro al momento che mi definisca, siamo appena arrivati e sto cercando il mio posto. Mi definisco per le cose che ho fatto, per le esperienze che ho avuto, per le scelte che ho preso. Mi definisco nella persona, non nel mestiere. Cosa ho fatto? Bhè, qualcosa avrò fatto.
Negli ultimi 6 anni ho volato molto. Ho potuto visitare una decina di Paesi, e vivere in 5 di essi, dal mar dei caraibi di Portorico al mare del nord di Newcastle. Ho imparato un paio di lingue straniere, o almeno mi difendo. Ho conosciuto tante persone. Ho imparato a vivere in modi diversi. Ho tagliato le verdure in una cucina di un abruzzese trasferito in America, sono stato manager di sala senza conoscere bene l’inglese, ho vissuto a Portorico senza parlare spagnolo e mi sono trasferito in Francia ricordando solo come dire Bonjour. Ho smesso di fumare! Ho lavorato come consulente universitario, ho aperto un ufficio a Tolosa, e l’ho anche chiuso! Ho preso il Covid, quando ancora non c’erano i vaccini e la paura era tantissima. Ho disegnato un gioco da tavola educativo per i ragazzi delle scuole della Sabina, e aggiornato l’identità visiva di un birrificio. Ho assaggiato diverse cucine, conosciuto diverse culture, ammirato diversi paesaggi.
Ho dovuto convincere la mia famiglia che non sono completamente pazzo, che non sono saltato nel vuoto né mi sono annullato. Ho dovuto portarli con me, anche se a distanza, nel mio viaggio. Ho viaggiato. Ho viaggiato molto.
Ecco, forse è questo che sono: Sono un compagno di viaggio!
Non un marito al seguito, una valigia, un supplemento, un dipendente.
Sono il compagno di un viaggio fantastico, e ringrazio mia moglie per avermi invitato a condividerlo con lei.
Splendido racconto e bellissimi voi. Con le parole sei riuscito a creare un collage ricco di immagini che caratterizzano la tua vita di „compagno di viaggio“, valorizzandone ogni momento.
Forse le amiche di Fuso potrebbero diventare „Amiche e amici di fuso?