Come rispondere alla domanda “Ma voi dove avete casa?”, o al classico “Tornate a casa per le vacanze?”
Parafrasando la frase “vita da expat”, mi sono soffermata su un concetto a me molto caro: dove è casa per un expat? Averne abitato più di una lascia sempre spazio a grandi riflessioni, soprattutto ora che mi trovo da pochi mesi in Egitto.
Io credo che tornare o avere una casa sia un concetto, una sensazione, e per quanto mi riguarda non appartiene ad un unico e solo luogo fisico, anzi: con il luogo fisico ha davvero poco a che fare… forse.
Avere una casa da expat e prendersene cura è proprio uno stato mentale, è quasi come prendersi cura di se stessi. Permettetemi di dire che se fai una vita errante prendersi cura di una casa è un tantino più sfidante.
Chi vive all’estero, per quello che posso aver notato, fa quasi fatica a sentire la casa provvisoria come propria. Forse perché ne ha una nel Paese che ha lasciato o forse perché il senso di precarietà nel vivere una situazione oggettivamente temporanea è molto forte e prepotente.
Le case in cui ho vissuto da expat e quindi all’estero le ho amate intensamente. Tutte. E hanno sempre, sempre parlato di noi. A volte le ho anche odiate, per qualche motivo o periodo.
Ma non per tutti è così. Ho visto persone vivere per anni in case già ammobiliate senza aggiungere neanche una foto, un oggetto, una tazza che potesse esprimere chi fossero. Io non ci sono mai riuscita e mi sono chiesta cosa ci sia dietro questo voler personalizzare una casa che a conti fatti non è mia. Probabilmente c’è la mia quasi netta certezza che una casa da girovaga abbia quel qualcosa in più. Ché, siamo onesti, se non avessi fatto questa vita certo non avrei cambiato casa ogni tre anni circa.
E quando cerchi una casa da expat ti innamori tante volte. Sai che quella sarà la casa che raccoglierà ricordi di un periodo specifico, unico, solo e si spera indimenticabile. Sarà la casa che amerai e a volte odierai ma è quella che ti devi tenere per un certo periodo di tempo.
La casa all’estero ha lo stesso valore di quella che ti scegli per la vita, come se vivessi in un posto solo senza girovagare, ma la differenza è che è legata ad un periodo specifico della vita personale e di famiglia. È come se fosse l’unica casa deputata a raccogliere momenti e ricordi di un determinata fase di crescita familiare.
Ricordo perfettamente il mio estero in Croazia, e come siamo arrivati a scegliere la casa che ci ha accolti per tre anni e mezzo. Non posso dimenticare che, appena sono entrata in quella casa, lontana dalla città, in campagna, con un balcone enorme, una cucina non troppo grande, tutta in legno, ho sentito il profumo di mia nonna materna. Non so perché ma in quella casa non perfetta, per niente moderna ma super vissuta, mi sono sentita subito accolta.
La cosa stupenda è che quella fosse una casa di famiglia, che il proprietario non aveva mai affittato.
Ogni volta che passava per darci qualche comunicazione mi ringraziava dicendo che gli sembrava di rivedere sua madre che se ne prendeva cura. Quella in Croazia è stata una casa felice, la casa della famiglia. Avevamo i bambini piccoli e ovviamente la vivevamo moltissimo. Grazie a noi il proprietario, il nostro amico Vukov, ha capito che doveva lasciare andare i ricordi racchiusi in quel luogo a lui caro. Tra la lettura di un contatore e un caffè al volo gli dicevo spesso che quella casa sarebbe stato un bellissimo bed and breakfast.
Dopo che abbiamo lasciato la Croazia, il proprietario ha in effetti trasformato quella casa in uno stupendo bed and breakfast. Insomma, siamo stati gli unici e i soli ad averla abitata come famiglia, e a lungo. Credo che in questo ci sia qualcosa di magico.
Mentre non è magico per niente il fatto che i miei figli non ricordino la casa del primo estero, dove sono anche nati. Vedono le foto e paradossalmente sentono estranea quella casa che li ha accolti da neonati. Io non saprei cosa dirvi della casa che mi ha visto diventare mamma a Madeira. Come faccio a mettere su carta un amore così grande?
La casa ad Abu Dhabi e poi quella in Saudi hanno visto la mia famiglia evolversi . In particolare l’appartamento in Arabia Saudita, un estero lungo 5 anni e di conseguenza la casa abitata più a lungo, ci ha visto chiusi dentro per lunghi e alternati lockdown.
Un appartamento in cui eravamo “core a core” ma che a volte ci ha soffocato e non solo per la chiusura legata al covid 19 ma anche per il posto in cui vivevamo. La casa può essere anche una trappola per tutti ma forse all’estero un po’ di più perché oltre a non uscire da casa non puoi uscire da quel Paese. E lo sappiamo tutti quanto i vari paesi nel mondo abbiano chiuso i confini durante i 2 anni precedenti.
La casa da expat deve essere capiente, che non vuol dire grande. Deve essere capiente perché deve poter accogliere gli umori, le distanze, le vicinanze, gli equilibri di ognuno. Deve poter accogliere le persone che in qualche modo forgeranno quella tua parte di vita all’estero.
La casa in Egitto doveva essere proprio come è. Siamo quattro adulti che girovagano, ormai, e la cosa meravigliosa è che i miei figli hanno voluto in tutti i modi esprimere sé stessi nelle loro camere e non ho potuto fare a meno di notare con nostalgia e fibrillazione che la stanza rosa o quella piena di giochi hanno lasciato spazio ad una stanza con foto e ricordi di amici sparsi in giro per i posti in cui abbiamo vissuto, di magliette firmate da compagni di scuola, di libri in inglese e italiano, di bandiere della pace, laptop e luci colorate, o piante vere appese al soffitto.
E cosa succede tutte le volte che trasloco? Un vero e proprio dolore iniziale. Una forma di strappo e di abbandono che coincide con un cambio di routine e di spazi. Drammatico ma al tempo stesso emozionante ed eccitante. Perché c’è quel sottile e inspiegabile piacere di ricominciare a creare spazi dove la mia famiglia come entità vivrà e dove tutto il resto, necessariamente, va, viene e si trasforma.
Valeria, Il Cairo
Grazie Valeria per i tuoi racconti..
Grazie a te che mi leggi e apprezzi. Buona giornata e al prossimo articolo 😉