Una ricerca un po’ datata diceva che il trasloco è il terzo evento più traumatico della vita di una persona.
La prima considerazione che mi viene in mente è che sicuramente all’epoca della ricerca non c’era ancora stata una pandemia.
Ma anche prima di questi due ultimi anni così surreali, quando leggevo il riferimento a questi studi sorridevo sempre un po’, pensando a quanto poco tarata doveva essere stata questa analisi, perché davvero troppo dipendente dal campione di persone analizzato.
Va da sé che su di noi l’impatto di un evento nuovo è molto diverso rispetto ad uno che avviene ripetutamente nel tempo.
Fra noi Amiche di Fuso spesso giochiamo a contare quanti traslochi ciascuna di noi abbia affrontato nella sua vita all’estero.
Al momento sul podio sembra ci sia sempre la nostra Nadia, seguita da Elena e probabilmente me medesima.
Nel mio caso, mal contati, dovrebbero essere 8 traslochi internazionali più altri 4 o 5 nazionali.
Contano anche quelli domestici? Io direi di sì, visto che sempre di trasloco si è trattato.
La mia change agility è piuttosto alta: so che quando bisogna “rinscatolare ” tutto (e intendo proprio tutto includendo abitudini, punti di riferimento, amici, e non solo quadri e mobili) so che posso farcela.
Non ho grossi problemi a vivere per mesi con una valigia, a stare sola, a fare campeggi domestici, e così il resto della famiglia.
Non fraintendetemi, ciò causa sempre a tutti una fatica a dir poco bestiale, ma nei fatti un non troppo prolungato senso di smarrimento. Perché in qualche modo si conosce la via.
Ho provato però a riflettere su quali altre variabili entrino in gioco in ogni trasloco, quelle per le quali l’esperienza conta, ma in modo un po’ diverso, ed alla fine ne ho trovata una che ne racchiude molte altre e l’ho chiamata “il carico emotivo di ogni trasloco”.
Il carico emotivo di ogni trasloco non si vede, ma è molto reale.
È una valigia mentale che ha avuto pesi diversi e franchigie nel corso di questi ultimi 15 anni di vita all’estero.
Ci avete fatto caso anche voi?
Ci sono stati traslochi che ho celebrato perché segnavano momenti in cui si chiudeva un ciclo, un periodo, o erano stati decisi e altamente ponderati, dove ogni fatica veniva alla fine vissuta in modo più leggero.
Altri invece no, altri hanno avuto il peso di un enorme macigno sul cuore ed una sensazione di annichilimento totale delle forze.
In questi ultimi anni, in particolare , gli eventi esterni ci hanno travolti e spinti in direzioni disparate, a velocità spesso più rapide del pensiero.
L’esperienza aiuta a gestire il peso logistico di uno spostamento, le cose che si rompono, il sapere che qualcosa andrà storto, che si spenderà più del previsto, si aspetterà più del previsto, e tutto questo drena energie, ma lo si affronta, sapendo che finirà.
Quello che per me ha sempre risucchiato in modo molto più profondo le energie emotive era la metabolizzazione di un cambiamento a cui non aderivo totalmente e non avevo avuto il tempo di digerire.
Durante questa pandemia mi sono personalmente trovata per ben due volte in questa situazione.
E ho dovuto attingere a tutta un’altra cassetta degli attrezzi per gestirla.
Una cassetta che racchiudeva fra gli strumenti fondamentali: la presenza e la benevolenza verso me stessa.
I traslochi a carico emotivo alto mi hanno insegnato a considerare e rispettare come mi sentivo io e tutti i miei familiari, senza ricercare soluzioni rapide, equilibri repentini, senza provare a forzare a chiudere gli stati emotivi in uno scatolone insieme al resto.
Tanto più li pressi giù e più lo scatolone esplode.
Senza crogiolarsi, ma guardando e guardandosi con pazienza e benevolenza per capire come stare meglio un passo dopo l’altro, senza corse.
Onestamente, se non mi fossi davvero concessa di capire senza giudicare o aver fretta di voltare pagina, questo carico emotivo ci avrebbe riempito tutti di scorie.
Ognuno ha le proprie strategie di regolazione e gestione, l’importante è esserne consapevoli.
Sono equilibri da funambolo, dove l’equilibrio si perde e riconquista in ogni momento.
Concedersi tempo per recuperare, senza crogiolarsi.
Concedersi delle pause, ma che non diventino inerzia .
Non cercare segnali di fumo esterni, ma ricercare dentro di sé segni e super poteri all’apparenza impolverati.
E ciò vuol dire anche concedersi di chiedere aiuto, appoggiarsi.
Darsi il Permission to Feel, che è anche un bellissimo libro che vi consiglio! *
Il carico emotivo esiste, varia e non va giudicato, va semplicemente capito e rispettato.
Non ci sono emozioni positive o negative, da provare o da non provare.
Le emozioni semplicemente sono, e sono segnali di cui è importante ascoltare il messaggio che portano.
Scelte a somma zero d’ora in poi ce ne saranno sempre meno in questa vita all’estero.
Penso che il mondo dell’espatrio sia entrato in un nuovo corso adesso, un corso che questa Pandemia ha semplicemente accelerato.
Una nuova era nella quale in generale self compassion e consapevolezza del proprio carico emotivo entreranno sempre di più nei nostri bagagli e scatoloni.
Diventeremo tutti più consapevoli ed esperti anche in questo.
Monica, India
* Permission to feel, Mark Brackett – Director of Center of Emotional Intelligence di Yale
* Immagine della fantastica by Iulastration – (Instagram page)
Che bello sentirti e ti posso assicurare che ti comprendo molto bene, avendo 47 anni ed avendo fatto 27 traslochi nella mia vita, cambiando casa, città, stato e pure continente e non è finita qui. Confermo che essendo tu stesso la propria casa richiede un grande sforzo e molta bravura. Complimenti!
Ho avuto la fortuna di conoscerti recentemente ad un webinar organizzato dalla mia banca ed in pochi secondi .. ti ho apprezzato subito !… sei una persona che trasmette conoscenza .. passione … intelligenza .. capacità di dare il proprio nome agli eventi e alle emozioni .. che guarda sempre avanti con curiosità e con la consapevolezza del proprio io .. sei stata per me fonte di ispirazione!!!
Ti avrei voluto in tutti i webinar !!!!!!
Buona vita !!
Con affetto e stima !!!
Daniela