Questo mese avevo in programma di scrivere un articolo leggero, che fosse spiritoso.
O, in alternativa, mi sarebbe piaciuto raccontarvi il mio modo di vivere Sydney, come mi aveva suggerito l’Amica di Fuso Federica.
Poi, però, ho sentito un’urgenza di tipo diverso: qualche sera fa sono andata al cinema. Qui a Sydney possiamo farlo.
Ci sono andata con mio marito e abbiamo guardato un documentario: Faith.
Questo film, pieno di poesia, è stato girato da una regista italiana, Valentina Pedicini.
Una donna della mia età , che mi è capitato di conoscere brevemente in Italia: è morta lo scorso novembre.
Il documentario è stato presentato qui a Sydney all’interno di un Festival e, a seguire, è stata proiettata un’intervista che la regista ha rilasciato qualche mese prima della sua morte, quando ancora non sapeva di star scrivendo le ultime pagine della sua via.
O forse sì, chissà .
Ha parlato dell’importanza dell’arte.
Ha detto: “L’occhio del regista sospende il giudizio, ma sceglie la prospettiva da cui guardare le cose.“
In altri tempi ci sarebbe stato un Q&A dal vivo. Noi del pubblico avremmo potuto chiacchierare con lei. Ho organizzato tanti di questi eventi, quando lavoravo a Roma, e da ognuno sono uscita infinitamente più ricca e più colma di domande e dubbi.
Sia lode al dubbio, scriveva Bertold Brecht.
Quando abbiamo smesso di considerare la scuola e l’arte generi di prima necessità ?
Cosa può significare per una nazione, per un popolo, per il mondo, l’assenza del teatro?
In Italia i teatri sono chiusi da troppo. I cinema anche.
Ha radici lontane questa nostra epoca in cui l’arte è vista solo come intrattenimento, come un di più, come uno svago, qualcosa da fruire se fuori piove e se avanzano soldi.
Cultura, arte e bellezza, invece, svolgono una insostituibile funzione educativa e sono un prezioso strumento di crescita personale e collettiva.
Avevo intenzione di applicare al teatro il principio che ciò che conta non è solo interpretare il mondo, ma trasformarlo.
Bertold Brecht
Le donne delle mie commedie mi sono talmente entrate nel cuore e nella testa che mentre m’ingegno di farle capire a quelli che m’ascoltano, sono esse che hanno finito per confortare me.
Eleonora Duse
Teatro e cinema non sono mai stati una questione di intrattenimento nella mia vita.
Fin da piccola, quando abitavo a Locri, e un teatro vero e proprio nemmeno c’era, io lo sognavo, mi sentivo chiamata, anche solo per sentito dire. Sentivo che mi avrebbe mostrato la strada per scavare dentro me stessa e per decifrare il mondo.
All’età di dieci anni, i miei genitori mi portarono a vedere la rappresentazione del gruppo teatro del liceo classico del nostro paese: Le Troiane di Euripide.
Lo ricordo come fosse ieri e ricordo il mio totale rapimento; ero del tutto ipnotizzata dalla scena. È così che ho deciso di frequentare il liceo classico, è così che ha avuto inizio la mia passione per il mondo classico e greco in particolare. Quella tragedia, scritta più di mille anni prima, mi ha parlato. In particolare ricordo la figura di Andromaca, una donna sottomessa solo secondo una lettura superficiale del personaggio. Il suo addio al figlio Astianatte mi ha fermato più di un respiro. Di recente mi e’ capitato di leggere un’intervista ad Elena Arvigo, interprete superba di questo personaggio, che la descrive cosi: una donna che accoglie il suo destino senza rabbia, senza disperazione.
Una donna simbolo della catarsi tragica, che ogni donna è in grado di vivere.
A dieci anni non lo avrei raccontato così, ma mi è arrivato qualcosa di molto forte. Quelle parole hanno rappresentato una chiave, che avrebbe aperto molte porte dentro di me.
Al liceo classico mi sono poi innamorata della filosofia, della letteratura e ho partecipato ogni anno al gruppo teatro.
All’università ho studiato Lettere Moderne, con indirizzo teatrale e cinematografico e mi sono laureata con una tesi in Metodologia e Critica dello spettacolo.
L’argomento: Il teatro per ragazzi di Marco Baliani. Ho scelto questa tesi proprio perché sono sempre stata convinta del forte ruolo sociale e di allenamento mentale del teatro: non intrattenimento, ma conforto, maestro, misura, confronto.
Da poco mi sono imbattuta in un articolo: La classifica dei Paesi con il più alto indice di felicità .
Mi ha fatto sorridere. Mi sono chiesta con quali parametri si possa misurare la felicità e quindi ho approfondito. Queste sono le cose che hanno tenuto in considerazione:
- Livelli di PIL pro capite
- Supporto sociale
- Aspettativa di vita
- Libertà nel prendere le decisioni
- Generosità e percezione della corruzione
Non una parola sulla qualità della vita sociale, sull’importanza delle relazioni e sull’arte.
Potete capire facilmente che non dò mai nessun peso a classifiche di questo genere.
E non perché non ritenga importanti gli aspetti presi in considerazione, ma perché li trovo sempre, inevitabilmente, monchi.
La felicità , per me, è la ricchezza che viene da un confronto, è una domanda che mi arriva e sta con me a lungo. La felicità la trovo nelle serate (tante) trascorse ad andare al cinema o a vedere spettacoli e nel discuterne poi a cena con i miei amici.
Non è mai stata una questione di soldi. A teatro ci sono sempre andata anche quando i soldi li avevo davvero contati. E dico sul serio. Era la mia forma di evasione e riflessione.
Non mi sono mai messa in tiro. Non era una faccenda di apparenza. È sempre stata una faccenda di conoscenza.
I classici sono la mia stella polare: tutte le tragedie, L’opera da tre soldi, La madre, Tennesee Williams, solo alcune delle opere che mi hanno formata e aiutata.
E rimango attonita nel vedere tanti amici, lavoratori dello spettacolo, per strada.
Rimango attonita, nel constatare come l’Italia, culla di cultura, stia decidendo di non far leva sulla cultura.
Rimango attonita nel constatare che guardiamo sempre all’altrove, senza accorgerci della nostra bellezza immensa.
Il rullo dei bauli in piazza ha risuonato dentro di me, fortissimo.
In Francia, i lavoratori dello spettacolo, hanno occupato 31 teatri.
Per protesta.
Vi invito a leggere di questo progetto nato, invece, nel nostro Paese.
Spero che si prendano presto decisioni diverse.
Spero che si riaprano i teatri. Perché si può e perché è necessario.
E, usando ancora le parole di Elena, spero di risentire presto quel suono di mani, alla fine dello spettacolo.
Perché il teatro è presenza.
Tutto passa. Passano le sofferenze e i dolori, passano il sangue, la fame, la pestilenza. La spada sparirà , le stelle invece resteranno, e ci saranno, le stelle, anche quando dalla terra saranno scomparse le ombre persino dei nostri corpi e delle nostre opere. Non c’è uomo che non lo sappia. Ma perché allora non vogliamo rivolgere lo sguardo alle stelle. Perché?
Michail Bulgakov, La guardia Bianca.