Da qualche tempo mi chiedo cosa voglia dire essere, o meglio sentirsi, integrata in un paese come l’Arabia Saudita.
Chiaramente una risposta univoca non c’è, ma credo di aver capito che si vive sempre una situazione a metà. Da una parte, prepotenti, si fanno sentire le proprie origini, dall’altra, si cerca di essere parte di qualcosa che in fondo non ti appartiene.
Ho concluso che l’integrazione, se sei in costante movimento, non ci sarà mai. Ma puoi essere un ibrido.
Cosciente di questo, infatti, sono convinta che si possa agire per non vivere in perenne stato di turista allo sbaraglio e/o di nostalgico della propria terra d’origine.
Sono cinque anni che l’Arabia Saudita è il mio paese ospitante; prima che in Saudi ho vissuto in altre quattro nazioni.
Il mio punto di partenza è che l’espatrio dovrebbe essere una vera e propria scelta.
Così è stato per me, 17 anni fa.
Questo è un fattore determinante in ogni senso perché, i sensi di colpa o le normali nostalgie, saranno emozioni tenute a bada più serenamente se non si è trattato di una fuga o di una scelta sofferta o, peggio ancora, di una non scelta. Sono assolutamente consapevole che non è per tutti uguale.
Durante questo decennio abbondante ho conosciuto, in tutti questi paesi, persone che non parlavano la lingua del posto o almeno inglese. Ho sempre rispettato questa decisone che, a volte, ho visto prendere per pigrizia. Credo, però, che non sia corretta perché determina l’autoesclusione e il rinchiudersi unicamente nella propria comunità di origine a cui ci si sente legati per via della lingua comune. Imparare, invece, la lingua del posto, se possibile e se non troppo complicata, o almeno parlare un po’ di inglese, credo sia essenziale. Si prova un vero e proprio senso di appartenenza nel poter comunicare in maniera indipendente.
Parlare con le persone del paese che ci ospita, tentare di comunicare apertamente permette di conoscerne usi, costumi e tradizioni. Probabilmente ci sentiremo come se quel posto lo conoscessimo da sempre, anche se, in realtà, non è così. Avremo la possibilità di conoscere luoghi reconditi e mai battuti dai turisti, quasi segreti. Sarà spontaneo e ovvio volersi addentrare in una cultura a volte diversa dalla nostra o semplicemente non conosciuta.
Credo, poi, che sia importante dare valore agli scambi, e mi riferisco principalmente a scambi culturali e di valori. Se ci si mette in gioco in maniera sincera, questo verrà percepito e il vantaggio è proprio quello di fare un passetto in più verso la conoscenza di un paese che non è il nostro. Finiremo per essere accolti e accoglieremo in una cultura che comunque si differenzia dalla nostra.
Quando scrivo di tutto questo penso principalmente al mio incontro con il “mondo” musulmano, per la prima volta, negli Emirati Arabi. Non conoscevo quasi niente, in quel momento, di quel contesto accogliente e strano allo stesso tempo e questo, forse, ha facilitato un po’ l’ambientamento. Non parlavo bene inglese e non pensavo di poter aver nulla a che fare con quella cultura e tradizioni. Ma poi ci ho provato ed è avvenuto il famoso scambio.
Lo shock è avvenuto successivamente quando, da un luogo come Abu Dhabi, sono arrivata in Arabia Saudita. Per mia fortuna, dico adesso e dopo 5 anni, a parte sapere che dovevo indossare un’abaya, conoscevo poco altro e non cose piacevoli. Questo ha agevolato l’assenza, non totale, di preconcetti. Semplicemente sapevo poco.
Riferendomi proprio all’Arabia Saudita, ho conosciuto persone che non hanno fatto il minimo sforzo di capire, farsi domande e cercare le risposte ai perché di una società così complessa, e in alcuni casi “sbagliata”, continui ad esistere. Mi sono chiesta come si possa vivere in un paese facendosi scivolare addosso tutto quanto lo riguarda senza considerare che in quel momento ha a che fare, per forza di cose, anche con noi e con la nostra vita.
Sono convinta, adesso, che è proprio partendo da una situazione molto diversa dalla propria, tentando di sviscerarla, che può nascere una forma di integrazione almeno cerebrale, conoscitiva. Ma c’è un rovescio della medaglia: se si prova a integrarsi almeno un po’ si può anche entrare un po’ in crisi perché ci si accorge di vivere in un contesto che MAI potrà appartenerci
Nello specifico dell’Arabia Saudita arrivi dopo un po’ e con tanta buona volontà a vedere cosa non gira e forse non girerà mai. Ma sapete cosa ho realizzato? Le persone in Arabia Saudita stanno accettando, la maggior parte di buon grado, le riforme della società. Quelle stesse persone, tuttavia, intrise di questa cultura difendono con i denti alcune tradizioni che non a caso noi definiremo tribali.
A questo punto di una conoscenza, senza dubbio più profonda, di una società, credi di esserti integrato e quindi che succede? Qual è il passo successivo? Mi sarei aspettata che qualcosa cambiasse e invece, non è successo nulla; mi è solo sorta la domanda: where I belong- dove appartengo?
Alla fine chi vive all’estero itinerante, in continuo cambiamento è un ibrido tra ciò che era nella sua terra di origine e fino ad un momento specifico della propria vita e ciò che è, anche non accorgendosene, diventato.
Sono decisamente un ibrido.
Ne sono consapevole, talvolta confusa ma contenta.
Valeria, Arabia Saudita