“Ma non è fastidioso indossare l’abaya?”
“Non ti secca il fatto che qualcuno ti imponga come vestirti?”
Sono solo alcune delle domande che mi vengono rivolte, praticamente sempre, appena qualcuno sa che vivo in Arabia Saudita.
Lo scrivo subito e non ci penso più: indossare l’abaya non mi crea alcun problema o fastidio.
La storia della mia predisposizione a vestire l’abaya inizia ancora prima di toccare con i miei piedi il suolo saudita. Vivevo ad Abu Dhabi quando ci fu comunicata la nuova destinazione.
Naturalmente il fatto di dover indossare un’abaya non poteva sfuggirmi, era tra le prime cose da sapere. In effetti ho acquistato la mia prima abaya nel souq di Abu Dhabi il mio ultimo giorno di permanenza negli Emirati, quasi scaramanticamente. Ad Abu Dhabi le expat non vestono l’abaya; io indossavo volentieri le mie polo e i miei pantaloni bianchi, giusto per fare un esempio, senza nessun problema.
In Saudi, a meno che io non stia in una casa privata, non mi sognerei mai di andare in giro vestita così ma il giusto compromesso è vestire come mi piace con l’abaya aperta. Da quando sono arrivata qui, infatti, di passi avanti anche in questo senso, almeno sulla carta, ne sono stati fatti. Indossare l’abaya non è più obbligatorio per nessuna donna. In teoria anche le donne saudite potrebbero non indossarla ma l’abaya ha origini molto antiche, è un indumento di antica tradizione come vi racconto proprio qui: https://www.spreaker.com/user/valegirovaga/alle-origini-di-unabaya.
Nella penisola arabica, le donne vestono l’abaya da centinaia di anni e, in un primo momento, non aveva connotazioni religiose. Successivamente l’Islam adottò l’abaya per motivi religiosi in segno di modestia e privacy a cui si aggiunse la pratica locale di usare il velo.
Per secoli l’abaya è stata considerata una sorta di amuleto con la duplice funzione di proteggere le donne locali dai raggi di sole, dalla sabbia e dal vento secco ma anche di nascondere il volto delle stesse dagli sguardi indiscreti di altri uomini.
Per tutti questi motivi e per tanti altri credo che, per adesso, non vedrò mai una Saudita senza abaya in un centro commerciale. A dirla tutta diverse donne saudite possono annoverare, come è logico che sia, una vera collezione di abaya a seconda delle diverse stagioni. Tra le più belle che ho visto, una volta che sono stata invitata ad una sorta di fiera, ci sono quelle in morbido velluto con cappuccio e tasche. Le adoro. Camminando per qualsiasi centro commerciale ci sono diversi negozi di abaya con vetrine che mostrano vari modelli, colori e tessuti di questo abito. Una scoperta sorprendente è che le grandi case di moda francesi, come Chanel o YSL o anche Dolce&Gabbana, per citarne solo alcuni, hanno collezioni dedicate esclusivamente a questo abito.
Nel tempo ho imparato a non inciamparci mentre cammino o a non farla arrotolare nelle ruote di un carrello o a non lasciarne parte in mezzo allo sportello della macchina.
Ho imparato a non comprarle solo nere e senza che abbiano un nonsoché di femminile.
Ho imparato a non comprarle per forza di tessuti sintetici, ma per esempio di lino, cotone o seta.
La mia lettura di questo abito è solo ed esclusivamente culturale.
Questo spiega perché a me non crei problemi indossarla.
Non la considero una limitazione della mia libertà.
Ne faccio una questione di rispetto e non mi soffermo troppo a pensare. Non mi interessa, per esempio, che gli uomini expat non abbiano un abito specifico da indossare. E tutto questo non per mera superficialità.
Non lo vedo come un’imposizione legata alla religione di questo popolo, sinceramente non mi interessa neanche SE e CHE tipo di concetto religioso ci sia dietro.
Io indosso l’abaya perché mi fa sentire parte integrante di questa società.
La indosso perché paradossalmente è una sorta di lasciapassare.
La indosso perché rappresenta una cosa unica che, nonostante le criticità di questa società, io ho avuto modo di far scivolare sulla mia pelle. L’ho vissuta davvero e non per sentito dire.
La mia abaya, anzi le mie abaya, hanno tutte una storia e saranno sempre lì a ricordarmela.
Valeria, Arabia Saudita