Ho una relazione quasi perfetta con… il compound. E cercherò di spiegarvi il perché.
In Arabia Saudita vivo in una bolla di sapone che probabilmente non scoppierà mai. Una bolla di sapone fragile, ma tuttora integra.
Una bolla di sapone fatta principalmente di servizi e persone che di buon grado convivono: il COMPOUND.
Proprio mentre nel mondo scoppiava la pandemia e la chiusura più totale, la mia bolla integra mi permetteva di sopravvivere.
Il compound, questa realtà sconosciuta, mai incontrata prima d’ora nel mio peregrinare da expat, è ancora più piccola di un paesino. Sono cresciuta in una città di media grandezza e adesso potrei, forse, apprezzare e vivere in paesi di piccole dimensioni ma solo temporaneamente.
Da giovane, in tutta onestà, ho sempre rifuggito dal vivere in piccoli centri urbani: come per contrappasso vivo in compound da più di quattro anni. Non avrei avuto scelta, comunque.
Il compound è una realtà tipica dei paesi del golfo.
Nasce dalle necessità di rispettare la cultura occidentale e quella musulmana tenendole separate senza grandi drammi.
Nei compound solitamente vivono gli occidentali, soprattutto in Arabia Saudita.
La gente del posto, i locals, vivono nelle loro fantastiche ville o comunque in case private e isolate le une dalle altre, principalmente perché ci tengono molto a proteggere la loro privacy.
Nel mio compound c’è un’entrata di sicurezza con addetti al controllo, un bel cancello lavorato, con tanto di palestra piena di attrezzi mai visti e alcuni anche mai usati, piscine, ristorante, bowling, salone ricreativo… e la lista potrebbe continuare. Per esempio, abbiamo anche a disposizione alcuni mini bus per il trasporto verso i principali centri commerciali e supermercati.
Questi mezzi sono utilizzati principalmente dalle donne visto che in poche abbiamo già la patente.
Anche ad Abu Dhabi ho vissuto in un compound, ma era di sole quindici abitazioni, con un solo gate di entrata sempre aperto, così come le porte di casa. All’ingresso, un ragazzino a mo’ di “finta security” spesso accovacciato su un motorino e intento a leggere chissà cosa sul suo cellulare.
Qui a Khobar vivo in un compound che, ripensando al picco della pandemia, mi ha letteralmente salvato.
Di per sé è pieno di regole, ma durante l’emergenza Covid-19 ci era permesso fare una camminata nei vialetti pur mantenendo le distanze. Naturalmente non erano aperte le strutture che fanno da corona alle abitazioni, ma finché le temperature ce lo hanno concesso era possibile passeggiare.
Da poco più di un mese il compound ha ricominciato a vivere non solo delle passeggiate dei residenti ma anche delle strutture ricreative.
Hanno ripreso le lezioni di spinning e di zumba; i personal trainers sono ammessi in palestra pur rispettando le norme di igiene, la piscina è di nuovo animata dal vociare di bambini e ragazzini e tutto tornerà forse pian piano come prima se i casi di Covid-19 continueranno a diminuire.
Il compound è una bolla che fluttua nell’aria.
Tutto è costruito per farti vivere bene, dentro, al suo interno.
Non sono stata subito in pace con questa piccola, a volte soffocante realtà ma mi sono resa conto che in un compound puoi davvero sopravvivere. Mi ha davvero salvato, durante la pandemia, uscire nel mio piccolo compound a respirare aria, calda, bollente. Aria che toglieva il fiato per il peso che avevo dentro.
Aria sabbiosa che però, almeno, nascondeva i volti degli amici preoccupati per i familiari in Italia e per la situazione che degenerava in tutto il Mondo.
In un compound puoi continuare a fluttuare sospesa anche, in parte, durante una pandemia, perché nelle cose è spesso questione di punti di vista.
E voi la conoscete la realtà del compound?
E se no pensate che vi piacerebbe/riuscireste a vivere in un compound?
Valeria, Arabia Saudita
Cara Valeria, complimenti per l’articolo e per cio’ che mi hai trasmesso.
Mi sembrava davvero di essere li con te. Anche io come sai vivo in Arabia Saudita dal 2018. Noi viviamo ad Al Hufuf piccolo cittadina inserita nella piu grande oasi dell’Arabia Saudita. Qui ci sono davvero pochi expats europei ed esiste solo un compound che noi abbiamo purtroppo escluso subito perche’ decisamente lontano dall’ ospedale dove lavoriamo. Conosciamo molto bene il direttore che spesso ci invita per le feste, come ad esempio quest’anno a Natale o nelle feste musulmane.
All’inizio non e’ stato semplice ambientarsi in un residence in centro citta’ riservato prevalentemente ai residenti musulmani ma ora mi accorgo che in questo modo ci siamo gradualmente inseriti in un contesto sociale che altrimenti non avremmo mai conosciuto.
Come dice Terzani, quando si e’ in viaggio bisogna essere come dei camaleonti capaci di adattarsi all’ambiente esterno per comprenderlo nella sua totalitá. E cosi e’ stato e probabilmente lo stiamo ancora facendo. Il nostro proprietario di casa e’ diventato come un fratello per mio marito, abbiamo cominciato a frequentare la sua famiglia che si e’ subito dimostrata affettuosa e premurosa.
In parte la vita del compound ci e’ mancata ma non vi nascondo che non mi pento della scelta che abbiamo fatto: ha comportato sacrifici ma ci ha regalato esperienze uniche!
Un bacio grande Valeria a prestissimo
Ciao Elena. Pensa che in effetti in questo modo hai conosciuto più da vicino una cultura così misteriosa…come scrivi tu :esperienze uniche. In bocca al lupo. A presto!