Sono le otto di mattina, mi stropiccio gli occhi davanti ad Outlook mentre mio marito esce dalla porta di casa per portare Leonardo all’asilo; finalmente hanno riaperto i battenti e il piccolo può rivedere i suoi amichetti! Alla conferma di questa bella notizia abbiamo fatto i salti alti dalla felicità ma confesso anche di non aver dormito bene stanotte, dopo piu’ di tre mesi di disconnessione da “quella normalità” sono tanti i pensieri che mi frullano in testa e vorrei avere un interruttore per spegnere questa roulette mentale e farmene una nuova ragione.
Parlo di “normalità” ma non so piu’ che cosa sia veramente! A che giorno della settimana ci troviamo e che cosa lo differenzia da ieri o da domani? Qual è l’ultima volta che mi sono presa la briga di ritoccarmi il rossetto allo specchio o di aver cambiato i vestiti una volta arrivata a casa? “Mamma, un diplodocus!” mi indica mio figlio con il ditino puntato verso lo schermo. “No, amore – vorrei dirgli – tra quei dinosauri non c’e‘ solo il diplodocus ma anche la tua mamma, anzi il tuo mammoplocus!” Si‘ perchè un pò di polvere e di peso questa situazione si che me li ha involontariamente gettati addosso, a voi no?
Circa quattro mesi fa è iniziata la mia esperienza con lo smart working, home office o come lo si voglia chiamare. Non ho fatto a tempo a inoltrare la domanda per farlo solo di venerdi`che bam! Arriva il Covid e mi dice: no mia cara, adesso lo smart te lo fai da lunedi a venerdi, sette giorni su sette. Inizialmente ho pensato “che bello!”: poter risparmiare il viaggio di andata e ritorno da/ all’ufficio, lavorare in un ambiente mio, comodo, familiare, lontano dallo stress quotidiano, poter alzarmi per mettermi la moka sul fuoco senza dover per forza riempirmi la tazza di caffè annacquato.
Ci sono anche altri aspetti positivi che posso elencare di quelle prime settimane.
Innanzitutto in famiglia ci siamo organizzati come una vera squadra, ho cercato di elaborare delle strategie con cui poter mantenere la giusta concentrazione e perdere meno tempo in discussioni irrilevanti. Nonostante alcune difficoltà iniziali, il supporto informatico è sempre rimasto raggiungibile e pure la comunicazione a distanza con i colleghi è in qualche modo migliorata. Dovuto forse alla sensibilità del momento e all‘impossibilità di salvare molti progetti con i pochi mezzi messi a disposizione, gli obiettivi personali si sono automaticamente incanalati in una direzione comune e il lavoro è diventato quasi piu‘ snello, efficace, forse piu‘ di gruppo che prima (ci siamo forse un po‘ mancati?!?).
Oltre a ciò, la spinta comune nel digitalizzare e semplificare i processi è stata fortissima. Inutili procedure sono state snellite, compattate o definitivamente cancellate, elaborazioni e firme di documenti digitalizzati, cavillosi e preistoriche metodologie tradotte in un workflow piu‘ leggibile agli occhi di tutti. Insomma, di necessità si è fatta virtu‘, e ogni difficoltà è stata nella nostra realtà un pretesto per venirci incontro o trovare i mezzi per farci venire incontro.
E allora direte? Da come lo ritrai sembri aver goduto di una situazione fortunata, anzi! Si‘, lo è stato, ma in fondo in fondo ci sono state cose che mi sono sempre mancate.
Molti amano o hanno imparato a lavorare solo da casa, godere della loro indipendenza, ma penso che la routine quotidiana sotto lo stesso identico tetto possa anche letteralmente ammazzarti. Forse perchè della routine apprezzo la sua efficacia ma detesto quel suo inevitabile effetto collaterale che ti trasforma in una marmotta pigiama in pile e ciabattoni in feltro, forse per il fatto che con il ritorno (pur se part-time!) al lavoro ho riscoperto tante cose posso dire: anche no, anche lavorare fuori casa, confrontarsi fuori casa, crescere e inventarsi fuori casa FA BENE. Fa bene a tutti noi perchè stiamo perdendo l’uso della parola e del confronto in carne ed ossa, fa bene perchè davanti a mille problemi basta sedersi (a un metro e mezzo di distanza!) a bere un caffè con un buon collega per demolire la montagna dalla base, fa bene perchè abbiamo un dna da animali sociali e non digitali e prima del digitale c’eravamo noi, la potenza del nostro agire, fare e disfare, creare, condividere, generare emozione.
Fossero cose che mi invento, non le avrei scritte qui, ma del fatto che abbiamo bisogno tutti gli uni degli altri, in carne ed ossa e senza altri conduttori mi è stato testimoniato in tante occasioni: gli annunci di offerta di aiuto dei vicini appesi sul portale o sulla bacheca del nostro supermercato per i piu‘ anziani, le telefonate inaspettate, un tono di voce diverso in una conversazione casuale, il battere di porta continuo delle mie colleghe al mio rientro in ufficio, un bisogno gentile di ritrovare un contatto normale e un confronto sincero su dubbi ed angosce presenti. Molti non hanno voluto o potuto sempre lavorare da casa, e il silenzio nei corridoi di quei mesi e‘ stato sicuramente pesante da reggere per tutti, anche per chi non lo avrebbe mai immaginato.
A volte ci sono situazioni in cui ci domandiamo fino a che punto ci hanno migliorati o meno. Situazioni che scegliamo, altre purtroppo, per niente volute. Io oggi ho capito solo questo, che uno smart working non ci rende su certi aspetti tanto “smart” quanto putroppo un pò “stupid”. E ci disallena a una cosa fondamentale, la convivenza. Voi che ne pensate? Tutto questo non vi ha un po‘ disconnesso in qualche modo?
Alessandra