Aiutare delle persone a crescere è la sfida più bella e più complessa che la vita ha messo sul mio cammino.
Da quando sono diventata madre, mi interrogo molto sulla maternità e ragiono sul tipo di genitore che voglio essere.
La società in cui viviamo è decisamente “bambinocentrica” rispetto a quando ero piccola io.
Pensateci: oggi, le scelte di una famiglia, le giornate, le vacanze, ruotano moltissimo intorno alle necessità dei più piccoli. E, pensateci ancora, ai nostri (miei) tempi era impensabile. Certamente non era usuale.
Dare attenzione eccessiva può essere un’arma a doppio taglio, anche se molto dipende dal tipo di attenzione che diamo.
Trovo che l’ascolto, l’apprezzamento e la curiosità verso le vite e i pensieri dei più piccoli siano un circolo virtuoso a cui prima si prestava (forse) meno attenzione.
D’altra parte penso che il riflettore incessantemente puntato sui loro bisogni, rischi di metterli sotto pressione, di confonderli sui loro reali desideri e di privarli di uno spazio di “frustrazione” necessario per crescere.
Abbiamo per le mani una materia modellabile, influenzabile, plasmabile. Non c’è nulla di più prezioso e la sfida, per me, è quella di aiutare questa materia a incarnare la forma per cui è nata, la forma che mi suggerisce. Non quella che vorrei io.
Per quanto sia semplice scriverlo, non è sempre facile metterlo in pratica.
Ho trascorso molto tempo in Namibia e, durante questo tempo, ho osservato un altro modo di approcciarsi ai bambini e ho imparato molto. Un modo amorevole, rispettoso della loro personalità, ma meno carico di aspettative. Ho incontrato bambini responsabili, capaci di riempire gli spazi vuoti, che non necessitavano di essere intrattenuti. Ben educati, capaci di giocare da soli e fare gruppo. Ne sono rimasta affascinata e mi hanno ricordato la mia infanzia. Trascorsa più o meno allo stesso modo… a correre per prati, prendermi cura dei più piccoli, essere affidata ai più grandi. Non venivo messa continuamente al centro della vita adulta, ma non per questo mi sono mai sentita poco importante per i miei genitori, anzi. Non mi hanno mai ostacolata, ma fin da piccola ho dovuto lavorare in prima persona per coltivare le mie passioni.
Da mamma ho imparato presto che il tempo per me o per la coppia, senza i bambini, è un nutrimento prezioso, sia per noi che per loro. All’inizio mi sentivo in colpa, avevo sempre la sensazione di privarli del mio tempo, mi spiaceva organizzare cose senza di loro. Pensavo costantemente di avergli fatto perdere un’occasione.
Poi ho capito quanto quel tempo sia fondamentale.
Fondamentale per me, perché non perdo il contatto con la mia individualità e con le mie passioni.
Fondamentale per la coppia, perché, per la mia esperienza, i figli uniscono moltissimo, ma sono anche uno dei maggiori fattori di crisi. Per la stanchezza a cui ti portano, per la inevitabile differenza di vedute su alcuni temi educativi. E allora, per quanto non sempre facile, ho cercato di preservare lo spazio a due. A volte con l’aiuto dei nonni, quando è stato possibile con l’aiuto di una babysitter, ma spessissimo anche grazie alla rete di amici.
Fondamentale per loro.
Una persona preziosa, illuminata, che non c’è più, in un giorno di crisi nera, mi ha detto: “Vuoi che da grandi i tuoi figli si sentano sereni di esprimere i loro bisogni? Vuoi che si sentano tranquilli nel darsi il permesso di seguire i loro desideri? Allora devi farlo tu per prima. I bambini imparano dal nostro comportamento, più che dalle nostre parole. Inoltre, prendendoti del tempo per te, dai a loro la possibilità di rendersi indipendenti da te. Dai a loro la possibilità di misurarsi con loro stessi e di costruire legami importanti che prescindano dal rapporto con voi genitori, dove possono imparare ad esprimere la loro individualità e dove possono confrontarsi in maniera autonoma.
Soprattutto, vuoi che si sentano liberi di andare via da te? Si sentiranno liberi solo se sapranno che tu sei una persona realizzata e compiuta, anche senza di loro.”
Questo mi ha fatto riflettere allora e mi fa riflettere ancora oggi.
A volte dimentichiamo che il meglio di noi, quello che vorremmo dare a loro, va nutrito, ricaricato e coccolato. Dimentichiamo che loro hanno risorse enormi. Dimentichiamo che i nostri sentimenti, le nostre paure e i nostri obiettivi non sono necessariamente anche i loro.
Troppo spesso pensiamo di sapere cosa sia meglio per loro, senza averglielo nemmeno chiesto.
Nell’ultimo anno, con un trasloco difficile e un cambio di vita completo, mi sono accorta di averli messi al centro in un modo eccessivo. Poi ho deciso di spostare l’attenzione sul mio stato interiore. Ho deciso di prendermi cura dello spazio che c’è tra dove sono e dove vorrei essere. Ho capito che accogliere e contenere le loro emozioni difficili, è completamente diverso dall’identificarsene.
E mi viene in mente il brano sui figli, tratto dal Profeta di Khailil Gibran, che sempre mi ha ispirato e che vi lascio qua:
I vostri figli non sono figli vostri.
Sono i figli e le figlie del desiderio che la vita ha di sé stessa.
Essi non provengono da voi, ma attraverso di voi.
E sebbene stiano con voi, non vi appartengono.
Potete dar loro tutto il vostro amore, ma non i vostri pensieri.
Perché essi hanno i propri pensieri.
Potete offrire dimora ai loro corpi, ma non alle loro anime.
Perché le loro anime abitano la casa del domani, che voi non potete visitare, neppure nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di essere simili a loro, ma non cercare di renderli simili a voi.
Perché la vita non torna indietro e non si ferma.
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli, come frecce viventi, sono scoccati.
L’arciere vede il bersaglio sul percorso dell’infinito, e con la sua forza vi piega affinché le sue frecce vadano veloci e lontane.
Lasciatevi piegare con gioia dalla mano dell’arciere.
Poiché così come ama la freccia che scocca, così egli ama anche l’arco che sta saldo.
Manuela, Sydney