Ebbene sì, sono tornata in Cina. Sono a casa: a Shanghai. In questo momento, paradossalmente, mi sembra il posto più sicuro.
Le notizie in Indonesia cominciavano a non essere confortanti, e su Bali ancora meno. Qualche caso, forse di più. Il tampone forse ce lo abbiamo, forse no. Il lockdown, ora lo facciamo, ma vediamo. Mentre su Giakarta e altre città c’erano alcuni dati e numeri, per Bali poco si sapeva (e poco si sa tuttora), se non che una donna inglese era deceduta in uno degli ospedali dell’isola.
La nostra partenza è stata estremamente stressante.
In origine avevo un volo con scalo a Taipei, dove sarei rimasta tre giorni, per alcune visite mediche, passare del tempo con gli amici lasciati lì, fare qualche acquisto… tutto era organizzato: prenotazioni, babysitter per la bimba e appuntamenti per me.
Due giorni prima della partenza, ricevo una mail dalla segretaria dell’ospedale nel quale avrei dovuto fare alcuni esami: Taiwan ha imposto quarantena obbligatoria di quattordici giorni a tutti gli arrivi, indipendentemente dal paese in cui si è stati prima. A quel punto, impossibile trovare uno scalo breve su Taipei, e tutte le altre città asiatiche dalle quali sarei potuta passare stavano chiudendo o imponendo quarantene.
Non potevo rischiare di rimanere a Bali da turista, senza residenza, con un marito in Cina che non poteva entrare nel paese, e col rischio di non poter andar più via io. In un luogo dove i posti in terapia intensiva sono minimi e gli ospedali non preparati ad una possibile epidemia. Non mi andava però neppure di viaggiare per cosí tante ore. Dovevo scegliere.
Dopo mille telefonate, spuntano due posti con transito a Taipei senza dover uscire dall’aeroporto. Unico neo: uno scalo di venti ore. Venti ore infinite che ho passato con la mia bimba in un lounge attrezzato, fra snack, cartoni e giretti.
Arrivate a Shanghai, sono stata fortunata e sono uscita dall’aeroporto in circa tre ore, dopo i controlli e gli screening necessari. Fino all’ultimo il mio passaporto italiano mi ha fatto sudare, e guardare di traverso: ma arrivando dall’Indonesia, non ancora fra i paesi della zona rossa, ho ottenuto il bollino verde. E sono potuta andare a casa mia, a differenza di molti.
Qualche giorno dopo, Taiwan (e moltissimi altri paesi) vietavano anche i transiti negli aeroporti, e la Cina chiudeva le frontiere agli stranieri, anche se in possesso di visto e permesso di soggiorno, separando di fatto famiglie, lasciando chiuse fuori migliaia di persone, impedendo di tornare a lavoro.
Qui ho dovuto osservare quattordici giorni di quarantena imposti dal condominio stesso. Mio marito si è trasferito in un appartamentino qualche piano più giù, e qui Beatrice ed io abbiamo cominciato.
Mi piacerebbe raccontarvi di come abbiamo riscoperto il nostro tempo, di come abbiamo fatto kids yoga e approfittato della lentezza delle nostre giornate per fare esercizio di mindfulness.
Purtroppo abbiamo guardato molti cartoni più del solito, abbiamo mangiato dumpling surgelati qualche volta, abbiamo urlato per qualche capriccio di troppo. Ma ce l’abbiamo fatta.
Per giorni sono stata terrorizzata al pensiero di ricevere la tanto temuta chiamata che mi annunciava un caso di Covid sul mio stesso volo, e che avrebbe significato trasferimento in un hotel indicato dal Governo per la quarantena centralizzata (auguri in dieci metri quadrati con una bambina di tre anni, in stanze dove se ti va bene i sanitari sono nuovi, se ti va male l’acqua non è potabile se non dopo bollitura).
A me della quarantena non dava fastidio nulla: fossi stata sola, mi sarei ammazzata di libri e serie tv, avrei fatto yoga in salotto, mi sarei messa in pari con una serie di documenti e mail da inviare.
Con una bambina di tre anni dal carattere, diciamo, deciso, ecco, me la sarei evitata. Lo dico sinceramente.
Ce l’abbiamo fatta, e dopo due settimane anche io ho avuto la mia medaglia, e cioè l’agognassimo Green QR Code sul cellulare, che mi permette ora di entrare nei centri commerciali, andare dal medico, prendere un caffè al bar.
Non sono tornata alla mia vita di sempre. La scuola è chiusa, molte amiche sono rimaste bloccate in Italia, ma soprattutto le sensazioni ed i sentimenti sono diversi. Qui ancora molti non si fidano ad uscire (me compresa) anche perchè per ora non conosciamo la reale portata dei contagi di ritorno.
Si esce certo, si prende un caffè fuori (e questo per me è una grande benedizione già cosí!), ma è come se fosse tutto al rallentatore. L’obbligo di maschera è ancora in forze, per tutti e in tutti i luoghi pubblici. In moltissimi posti non si entra senza il codice verde e uno screening di temperatura.
La quarantena non mi ha insegnato molto, se non forse è stata un esercizio di grande pazienza. Posso solo dire che, nonostante la paura della chiamata, i brutti pensieri (“e se il mio vicino di volo era positivo? e se ci mandano a casa tutti? e se a casa in Europa succede qualcosa di ancor più brutto? e se mia nonna non osserva le regole?”) che mi martellavano, nonostante mia figlia facesse una tragedia ogni giorno per il bagno… appena poggiata la testa sul mio cuscino, a casa mia, finalmente, dopo settimane, ho dormito.
Veronica, Shanghai