Carissime Amiche di Fuso,
Torno su questi schermi dopo oltre un anno di assenza. Ci siamo salutate a dicembre 2018 nella sala partenze degli Aeroporti di Londra , da dove ho preso un aereo per andare in California a trovare una delle mie più care amiche. E oggi ci ritroviamo nel salotto della mia casa di Skopje, Macedonia del Nord, dove sono atterrata grazie alla roulette russa dell’espatrio in una tiepida sera di febbraio 2020.
Mi siete mancate in questa pausa. Vi ho pensate tanto, ho gioito con voi dei vostri successi e vi ho stretto la mano nei momenti difficili. Con Drusilla e Nadia c’è stata persino l’occasione di abbracciarci e brindare di persona, e i ricordi delle nostre chiacchiere dal vivo li porto nel cuore come alcuni dei più belli dell’anno trascorso. Fatevi offrire un çay nel bicchiere di vetro, che qui il the e il caffè si bevono alla turca.
Non so come ve la immaginate, Skopje: di certo è molto diversa da Londra, la cosmopolita, l’avanguardista, la tollerante. Qui sembrano un po’ gli anni Ottanta: la gente fuma nei locali, le macchine sono i vecchi modelli di Fiat squadrate che ricordo dalla mia infanzia e sì, quello che avete appena visto passare su Bulevar Partizanska è proprio un carretto trainato da un asino.
Vi vedo sorridere con solidarietà -tante di voi sono passate prima di me dallo shock culturale di trasferirsi dal primo al secondo o terzo mondo. Ogni emigrato porta la sua croce, la nostra è quella di vedere la gente attorno a noi sopravvivere invece che vivere, e fare i conti col non poter aiutare tutti. Ma Skopje è molto più di una città che sopravvive, è una città che della sopravvivenza ne fa un’arte, che alla miseria della sopravvivenza non si piega.
Venerdì ci sarà questo festival di trap balcanica super avanguardista con artisti giovanissimi, mi ascolto le musiche da settimane e mi dispiace un sacco non riuscire a capire i testi. La settimana scorsa hanno riaperto un museo nel quartiere musulmano inaugurando una mostra femminista. La cultura alternativa qui è forte come il vento che l’altro giorno ha divelto un albero a venti metri da me, e con entrambi sto prendendo le misure, più curiosa che spaventata.
Skopje è incanalata tra le montagne, pensate che da casa mia in centro salgo in quota a mille metri in meno di due ore. Dalla cima del Vodno si vedono il confine con l’Albania e quello con il Kosovo, ci sono i ragazzini che girano vendendo acqua e Coca Cola e la croce più imponente mai costruita su una montagna. La si vede da ogni quartiere della città, è qui come monito del fatto che questo sia comunque un paese Cattolico Ortodosso, anche se è abitato da un 30% di musulmani.
La rakija la conoscete, vero? È il liquore locale, bello forte, da provare. Io ne ho bevuto una bottiglia in una notte con un ragazzo bulgaro che ho conosciuto a East London nell’estate più calda di sempre ma da qualche mese ho smesso di bere, troppi effetti collaterali e una diagnosi che mi ha spinta verso uno stile di vita ancora più sano. Ecco, essere celiaca, vegana e astemia a Londra non era assolutamente un problema. Esserlo a Skopje è una sfida quotidiana.
Non solo mangiare fuori è quasi impossibile, ma la gente si sente legittimata a fare commenti su quanto sia noiosa la mia vita, nonostante i festival di trap slava e inaugurazioni di musei nei quali mi sono buttata a capofitto fin dal mio arrivo. Ma ti diverti mai? Mi chiedono. La risposta è sì, mi diverto a guardare le partite di basket e le mostre locali, a salire sul Vodno e perdermi lungo i sentieri che circondano il Canyon Matka e le sue acque blu profondo, mi diverto ad alzarmi all’alba e ad andare a vedere il sole sorgere sul fiume, mi diverto a imparare l’arabo e persino il macedone appena in ufficio mi attiveranno il corso.
Mi diverto a viaggiare, sono stata in sei Paesi dall’inizio dell’anno prima che questo virus mi costringesse a mettere in pausa le esplorazioni per un po’. Di quanto sia surreale trovarmi tagliata fuori dalle mie comunità -quella londinese e quella italiana- ne ho parlato sul mio blog .Voi potete capirmi più di tanti altri, perché in questo limbo ci siete finite anche voi, chi prima chi dopo. In momenti come questo ringrazio di avere imparato presto a mantenere i rapporti attraverso uno schermo.
Mi dispiace però che le mie intolleranze e scelte alimentari risultino nell’essere tagliata fuori da tutta una fetta della cultura e della cucina di questo Paese in cui se sei diverso vai bene, ma è meglio se mi stai alla larga. Immagino che sia dura, mantenere una propria identità culturale tra gente che ti considera un bulgaro con l’accento o un greco che scrive serbo, schiacciati tra la Serbia la Grecia e la Turchia che al confronto sono maxi-potenze e con una minoranza albanese tanto orgogliosa delle sue origini quanto radicata sul territorio.
La soluzione dei macedoni è accettare tutti, ma stare solo tra di loro: i matrimoni misti qui sono rarissimi, spero che le amicizie saranno più facili.Prima del tramonto voglio portarvi sulla terrazza del mio hotel preferito, proprio dietro il Gran Bazaar. Il quartiere albanese è punteggiato di moschee costruite grazie ai finanziamenti turchi, da quassù potete contarne a perdita d’occhio. Ecco il muezzin, il canto è familiare per chi di voi ha vissuto in Paesi arabi, lo è anche per me che mi ero abituata a frequentare la Moschea Centrale a Londra tutti i giovedì, sola donna bianca ed atea al corso di arabo senza mai per questo essermi sentita straniera o non voluta.
Di Londra mi manca la celebrazione costante del diverso, la sensazione di essere in una città in cui tutti sono costantemente invitati ad esprimersi al meglio della loro personalità, della loro eccentricità, della loro unicità. Lo so, amiche mie, che Londra è una bolla di tolleranza unica, in cui la mamma palestinese e quella israeliana scherzano all’uscita da scuola. La realtà della convivenza interreligiosa ed interculturale è ben più complessa là dove disuguaglianze e discriminazioni si sono formate e sono state perpetrate per secoli. E per quanto fosse meravigliosa, stimolante ed equa la vita nella bolla, io sentivo il bisogno di sapere come si vivesse là dove l’integrazione e l’uguaglianza sono una sfida quotidiana.
Forse, come dicono i miei migliori amici londinesi, ho bisogno di smarcare questa casella dalla to-do list e vivere per un po’ da vicino quei Balcani che ho letto, studiato e cercato di capire a distanza per oltre dieci anni. Forse sono le mie origini muggesi, quel sangue slavo che emerge nei miei colori e nei miei tratti nonostante il cognome italiano, ad avermi chiamata quaggiù. Forse questa sarà la prima tappa di un percorso che mi porterà in altre terre esotiche e al tempo stesso familiari, in cui si intrecciano storie di famiglia e drammi storici.
Insha’Allah, sarà quel che Dio e la roulette russa dell’espatrio vogliono. Intanto godiamoci questo tramonto, questa giornata, questa città.Al muezzin si accodano le campane delle chiese ortodosse di là dal fiume, i due suoni rimbombano e si fondono tra i picchi ancora innevati. E io qui, tra le gole di roccia, i campanili di mattoni e le punte bianche dei minareti, sento di esserci tornata, più che arrivata.
Elisa Inghilterra, da oggi in Macedonia