Il giorno prima di conoscere di persona Valentina, ho fatto una passeggiata lungo il Regent’s Canal, in uno dei miei primi tentativi di familiarizzare con la nuova città. Mi sono fermata a prendere una fetta di torta senza glutine in un boat bar a Little Venice, e mi sono incantata davanti a un delizioso localino greco a Maida Vale, pensando che avrei voluto tantissimo tornarci per un aperitivo. Ancora oggi, dopo quasi un anno, ricordo quella come la mia prima domenica da londinese, quando il contratto per la casa era firmato, le valigie disfatte e da lì in poi la vita avrebbe preso la piega della quotidianità.
Il giorno dopo con Vale decidiamo di vederci a casa sua, lei mi dà il suo indirizzo ed è proprio il palazzo di fronte al localino greco. Il boat bar dove ho preso la torta è quello in cui le sue bambine prendono il gelato quando escono da scuola. E in qualche modo pensare che in quella prima area che avevo esplorato non da turista ma da locale ci abitasse una delle prime amiche che mi ero fatta a Londra, mi ha fatta immediatamente sentire più a casa.
Il Regent’s Canal è un po’ il mio viale dei ricordi londinese. C’è il London Zoo, dove andammo in un pomeriggio di aprile gelido e piovoso perché mio fratello voleva vedere gli animali, non stava nella pelle da settimane e allora che fai, ci andiamo comunque.
C’è Primerose Hill, dove ho fatto una foto a Giacomo nell’estate del 2007 ed era la mia prima volta all’estero senza genitori e lui era il primo ragazzo di cui non avrebbero saputo il nome a cui avevo fatto una foto. C’è Camden Town, dove ho comprato un cappotto orrendo ma vuoi mettere un cappotto comprato a Camden Town? e dove sette anni dopo mia nonna si è attaccata al mio braccio mentre la folla ci schiacciava da ogni lato dicendomi “tu ti sai muovere qui in mezzo, mi fido di te”. C’è la stazione di Stratford, da dove ho preso il bus per prendere il primo volo per l’Italia che fosse di andata e non di ritorno. C’è Hackney, il quartiere che fino a dieci minuti fa era malfamato e ora è super hipster e costoso, e c’è anche la mia prima notte in bianco a Londra passata a parlare con due sconosciuti nella micro cucina della loro casa. C’è l’Ikea dove sono andata a comprare due bicchieri da vino e una scrivania da 12 chili che mi sono portata a casa in autobus. C’è la prima casa londinese che ha avuto il mio nome sul contratto di affitto. C’è Little Venice e la mia prima passeggiata da locale in questa città, c’è il tratto che da Little Venice va a Paddington che ho percorso con mio padre in un gelido pomeriggio di gennaio raccontandogli (quasi) tutto il resto. E c’è casa di Vale e della sua famiglia, che è il porto sicuro in cui vado quando ho avuto una giornata no e ho bisogno di sentire il calore di una famiglia.
O meglio, c’era.
Manca ancora qualche settimana alla loro partenza, ma già quando passeggio lungo il canale è come se sentissi quel tassello del puzzle allentarsi e ricordarmi che presto non sarà più lì. Che il greco delizioso non sarà più quello sotto casa di Vale, ma sotto casa di una famiglia sconosciuta. Che se passo davanti alla scuola alle due del mattino con la mia amica americana, ubriaca di chiacchiere e di vita, non potrò più immaginare le sue bimbe intente a imparare qualcosa di meraviglioso là dentro nel giro di qualche ora.
Tra qualche giorno farò la mia ultima deviazione dal canale verso una casa che è già quasi vuota, pronta per essere spedita dall’altra parte del mondo in otto valigie. E poi per la prima volta, vivrò sulla mia pelle la partenza di una cara amica e di un pezzo di vita.
Negli anni scorsi sono sempre stata io quella che partiva e, sebbene fosse doloroso, l’eccitazione della scoperta, della novità, dell’essere un passo più vicina a diventare la persona che volevo essere mi hanno sempre fatto concentrare sul lato positivo dell’esperienza. E ora mi destabilizza l’idea che passando davanti alla loro finestra vedrò dentro frammenti della vita di qualcun altro, e io sarò parte di quell’insignificante minoranza che si ricorda che lì ci viveva una famiglia italo-polacca, e a sentire nel suo cuore che i veri proprietari di quelle quattro mura saranno sempre loro cinque.
Forse non mi piace essere quella che resta, in una città come Londra in cui tutti sono di passaggio. O forse semplicemente devo accettare che il prezzo da pagare nel diventare adulti è il rendersi conto che il mondo non gira tutto intorno a te, e che non potrai essere sempre quella che parte, che si muove più in fretta e più lontano, quella che torna e trova tutti a casa ad aspettarla, colei che gli altri aspettano per uscire a cena. E che non ti muoverai mai abbastanza in fretta o abbastanza lontano per non farti prendere dal dolore, dal rimorso o dalla responsabilità dei tuoi errori.
Con Valentina se ne va il primo tassello del mio puzzle londinese, quello che continuerò a costruire con fatica sapendo che i pezzi si sposteranno, cambieranno forma o mi verranno rubati sempre prima che io abbia raggiunto la visione di insieme. Ma so che quando mi assalirà la nostalgia andrò a fare una passeggiata sul viale dei ricordi del Regent’s Canal, perché in fondo di ogni pezzo che esce dal puzzle io conservo il ricordo e l’esperienza, e nessuno è davvero mai perso. E i pezzi migliori li posso sempre ritrovare con un messaggio e riabbracciare con qualche ora d’aereo, ovunque nel mondo abbiano trovato l’incastro giusto per loro.
Arrivederci, amica mia.
Elisa, Inghilterra