Ci chiamano expats, ci chiamano immigrate, a volte ci chiamano ingrate che sono fuggite o più furbe perché che se ne sono andate, insomma, gira gira cambia il nome ma non la sostanza: si tratta di donne (degli uomini parlerà qualcun altro, quindi giù i forconi antisessismo) che hanno lasciato la patria per tentare la vita oltre confine. Tutte hanno abbiamo storie e motivi diversi alle spalle ed un futuro ancora più vario davanti, ma una cosa ci accomuna tutte: le critiche o le lodi di terzi.
Chi ha lasciato il Paese di origine per molti ha perso il diritto di esprimere pareri sulla situazione della propria nazione. Al contempo, non ha alcun diritto di dire la sua manco sulla situazione del nuovo Paese di adozione. Insomma “mutismo e rassegnazione” come diceva Braschi, infatti pare un po’ di star facendo la naia.
Parlerò generalizzando, per un attimo, prima di affrontare la mia quotidianità fantozziana.
Ci sono due macro categorie di donne immigrate, quelle che tuttoèbellissimoquiunafigatainitalianoncitornomaipiù e quelle che machimelhafattofarevogliotornareacasa. In entrambe i casi, dal di fuori arrivano parecchie mazzate. A quella che è tutto figo nel nuovo paese le si vorrebbe un po’ cavare gli occhi perché ostentare benessere fa salire la bile a che vede l’erba del vicino sempre più verde. A quella che recita oh me povera tapina, si da più o meno velatamente, della povera scema. Doveva saperlo, lei, che non sarebbe stata una passeggiata di salute immigrare.
Quando le esponenti delle diverse categorie si trovano a confronto mentre vivono sullo stesso suolo, apriti cielo: terza guerra mondiale. Ci si capisce di meno che il pubblico parlante di Maria. Quindi non c’è solidarietà manco su quel fronte. Io non sono nella testa di nessuno, a volte manco nella mia, ma sono quasi certa che, in ognuna di noi che ha lasciato l’Italia, ci sono in misure molto diverse, sia un po’ dell’entusiasta che dell’insoddisfatta. Ma al resto del mondo non appare, non sempre.
Così, a parte rare eccezioni in cui veramente ci sono persone che ostentano in modo davvero irritante tutti i loro traguardi e ricchezze, l’immigrata entusiasta cerca un po’ di smorzare tutta sta felicità che risulta così fastidiosa, mentre l’altra cerca di mascherare un pelo che si venderebbe un rene pur di tornare a casa.
Io non sento di avere la missione di convincere nessuno che all’estero si viva meglio, assolutamente no, lungi da me, ma trovo che si possano mostrare sia i lati positivi che negativi. Io sono Lurky Murky di Iridella, quindi mostro più spesso i problemi che devo affrontare, sperando di preparare altre al peggio, ma le Iridelle immigrate, invece tendono a mostrare di più il meglio, cercando di far sembrare meno intimidatoria un’esperienza che è quasi sempre un salto nel buio. Oggigiorno, con l’aiuto dei social media, chiunque esponga la sua opinione, ha una visibilità che prima non era possibile, e da qui possono nascere sia seguaci che folle inviperite con fiaccole e forconi, a seconda di quanto ci si trovi d’accordo con quanto esposto.
Ebbene, ultimamente, mi sono resa conto che sembra che noi che ce ne siamo andate, si faccia una vita meravigliosa, con soldi, felicità e famiglie da Mulino Bianco. Quindi voglio ristabilire un attimo la verità: no, siamo tutte comuni mortali, solo che qualcuna ama fare foto belle e condividerle o essere positiva e mettere il prossimo di buon umore. In realtà, i giorni di merda non li hanno lasciati in Italia, li vivono anche dove sono adesso. Io non ho nessuna delle due doti sopraccitate e quindi voglio far felici quelli che pensano che l’erba del vicino sia sempre più verde: no, la mia è come quella di San Siro negli anni ’80, spelacchiata.
Vivo in una casa che non potrò definire mia per i prossimi 28 anni, ma che in Italia non mi sarei mai potuta permettere perché ero retribuita la bellezza di 3 euro all’ora. Fucilatemi perché ho deciso di continuare a fare il mio lavoro e sono migrata verso lidi migliori.
Non guadagno una fortuna, manco pe’ niente. Arrivo giusta giusta a fine mese, ma riesco a permettermi, di solito, un tenore di vita più rilassato di come avrei potuto fare con il mio stipendio di settore in Italia. Ho un compagno, una bambina piccola, due cani e zero famiglia che mi possa aiutare. Come tutte le madri, sono in servizio 24 su 24, non dormo da più di un anno e manco io capisco molto bene come sia ancora viva. Ciò nonostante ancora credo che sia stata una scelta ottima quella di venire a vivere qui.
La mattina mi alzo più stanca di quando sono andata a letto, mi prendo cura di pargola e cani, poi mi dedico, in versione Dea Khali, a tutte le mille faccende domestiche e caxxi e mazzi burocratici. Mentre l’infanta imperatrice dorme (se dorme) mi concedo una doccia, forse dieci minuti di hula hoop per cercare di smettere le sembianza di Jabba the Hutt che mi accompagnano dalla gravidanza. Dopo di che cucino mentre mia figlia e i cani mi seguono tipo folla adorante nei dipinti religiosi delle assunzioni del ‘700. Mi siedo e cerco di consumare un pasto in maniera semi-umana, ma ormai tutto è un po’ considerato finger food perché la mia creatura non ha simpatia per gli utensili per tutta la durata del pasto. Il pomeriggio inizia con la pulizia di tutte le superfici su cui è finito il cibo che doveva finire in bocca alla nanerottola e che i cani non hanno intercettato. Il pomeriggio non lo so raccontare perché credo che ci sia una piega interdimensionale e dalle 2 alle 6 passano circa 10 minuti in cui cerco di portare avanti il mio lavoro retribuito. A questo punto cucino cena, seguendo le stesse modalità del pranzo e concludo la giornata cercando di convincere la piccola dittatrice a fare la nanna, così che io possa farmi almeno 20 minuti di caxxi miei, tipo guardare un telefilm o rispondere ad un’email.
Certo, ci sono momenti bellissimi, momenti in cui esco e mi diverto parecchio, ma la maggior parte del tempo ho una vita molto normale, la stessa che farei in Italia, con la differenza che avrei i miei ad aiutarmi e non mi dovrei far venire un infarto ogni volta che devo andare dal medico.
Io non abito in un Paese difficile, nonostante viva nel mezzo della delinquenza feroce e debba bollire l’acqua o vivere senza elettricità diverse volte l’anno; ma non vivo una realtà da shock culturale come molte altre di noi.
In conclusione, tutto questo pippone era per chiedervi di essere un po’ più comprensive con entrambe le macrocategorie, con donne che hanno fatto scelte diverse dalle vostre o che stanno vivendo quello che sarebbe stato il vostro di sogno. Ci facciamo tutte, sia chi è rimasta sia chi se ne è andata, un culo grosso come una casa, per la maggior parte del tempo, perciò mostriamoci solidarietà ricordandocelo sempre.
Alessia, Louisiana
Alessia ha collaborato con Amiche di Fuso da luglio 2014 a gennaio 2020.
Trovate Alessia qui
Complimenti per l’articolo:) Da tantissimo vi seguo ma non ho mai commentato…questo articolo finalmente riporta le persone alla realtà. Siamo semplicemente delle persone che vivono la propria vita in un Paese straniero con pro e contro. Quando sento pronunciare parole expat (leggasi fighi) e immigrati (leggasi poveracci) poi rabbrividisco…
Silvia – New Zealand
Grazie Silvia! Mi sono resa conto che è difficile capire come sia veramente la vita di chi sta fuori dai confine, o si crea il mito o si svilisce
quando ci vuole ci vuole… Il tuo post, piacevolissimo da leggere, ha fatto chiarezza e indotto a riflettere
Grazie Claudia, sono contenta di sentirlo
Grazie per quanto (e come) hai scritto!
Vivo in Italia, ma mi piace leggervi perché, oltre a farmi scoprire luoghi e stili di vita lontani, affrontate anche temi di ordinaria quotidianità: credo che la vostra condizione amplifichi situazioni ed emozioni che viviamo tutti, favorendo spesso un’analisi più autentica.
Grazie Laura, sono felice di sentire che ti piace leggerci
Bellissimo articolo, Alessia. Alla fine siamo tutte persone che si fanno un mazzo tanto, ovunque viviamo e quale sia la ragione che ci ha portato a vivere in Italia o fuori!
È proprio così, ma non tutti se ne rendono conto dall’esterno
Cha catarsi! Bellissimo articolo, mi piace un sacco come scrivi!
Bisognerebbe farlo leggere a tutti i “terzi”, un secondo prima che inizino a sparare i loro “beata te che puoi”, “facile abbandonare la nave”, e sentenze varie ed eventuali!
Grazie mille Celeste! Io stessa forse lo farò leggere a qualche conoscente
Grazie Alessia! So che c’e’ qualcuno che mi capisce. Complimenti per l’articolo!
Grazie 🙂 Ti mando un abbraccio virtuale!
Ciao Alessia! Vi seguo da parecchio e sempre con grande interesse e curiosità, ma non ho mai commentato. Stavolta voglio farlo per dirti grazie… Mi sono ritrovata in tutto quello che scrivi: vivo anche io negli Stati Uniti da 4 anni, due bambini piccoli, non pochi problemi da affrontare ogni giorno. Scelta mia e di mio marito, per carità, nulla di cui lamentarmi, ma garantisco che non è come essere in vacanza. Un abbraccio!
Ciao Claudia, sono contenta che questa volta tu abbia commentato, la vita dell’immigrata è molto diversa da quella che tanti pensano. Dove vivi negli Stati Uniti?