Libri

“Ninna nanna” di Leïla Slimani

Written by Veronica Marocco

Io non so ancora se “Ninna Nanna” (Chanson Douce nell’originale francese, premio Goncourt 2016) mi sia piaciuto o meno. Non lo so perché a fronte di una scrittura pulita, quasi asciutta, che ci mette davanti a fatti, atmosfere, luoghi concreti e non intricate digressioni o difficili analisi psicologiche, ci sono tante delle mie paure di mamma.

Poco dopo la nascita di Beatrice, la mia bambina, ho avuto bisogno di una tata. Mi sono resa conto che avevo davvero bisogno, nonostante io non lavori, di qualcuno che mi aiutasse nella gestione della bimba e della casa, qualcuno che mi desse qualche ora di libertà ogni giorno.

Ero sola a Taipei, con un marito che lavora molte ore al giorno, sono sempre stata abituata a lavorare, fare molto sport, leggere ancora di più e la sera sono sola almeno cinque sere su sette. Non mi è mai pesato, fino a che non è arrivata Bea. Mi mancava il mio lavoro, la mia vita e le mie cose, le mie abitudini, i miei spazi. E allora è arrivata la Tata. Mi sono sentita in colpa spesso e volentieri, i primi mesi. Poi, attraverso un processo di consapevolezza durato tutto questo 2017, mi sono resa conto (la scoperta dell’acqua calda!) che questi sentimenti erano comuni a tante mamme, che anche le altre non si occupavano dei pargoli con un sorriso smagliante h24, che a tante lavorare mancava, e che una mamma felice rende felice anche il proprio bimbo.

Myriam, la mamma di questo romanzo, è un avvocato. Ha una bimba e un bimbo nati a poca distanza l’uno dall’altro, e inizialmente rimane a casa con loro, mettendo da parte la carriera: ma non riesce. A casa si sente soffocare, si sente inutile, non é il suo posto; decide dunque insieme al marito di tornare a lavoro, e trovare una tata. Qui entra in scena Louise, di cui scopriremo il passato attraverso le pagine del romanzo.

Il passato, perché il presente, l’adesso di questo romanzo lo conosciamo benissimo, ci viene rivelato alla prima pagina:

“Il bambino è morto. Sono bastati pochi secondi. Il medico ha assicurato che non aveva sofferto. Il corpo disarticolato giaceva in mezzo ai giocattoli, l’hanno adagiato in un sacco nero e hanno chiuso la cerniera. La bambina invece era ancora viva quando sono arrivati i soccorsi. Ha lottato come una tigre.”

Dietro i modi da perfetta Mary Poppins, Louise è in realtà una persona sola, angosciata, disturbata: nel corso del romanzo emergono i segni di questo disturbo, ma forse Myriam e Paul non se ne accorgono, o lasciano correre, sono troppo presi dalle rispettive vite. Ma chi potrebbe mai immaginare?

Il romanzo ci racconta cose che non vorremmo sentire, è una critica più ampia al nostro modo di vivere, lavorare, trattare con le persone che lavorano per noi. Myriam e Paul si sentono progressisti, hanno una foto di Louise coi bambini nel salotto, si ripetono (e le ripetono) continuamente che è una di famiglia, che è un miracolo averla con loro. Ma Louise non è di famiglia, punto. Louise cucina per tutti gli amici della coppia durante le loro cene casalinghe, e non si siede con loro. Va in vacanza con loro in Grecia, ma per lasciarli più liberi e occuparsi dei bimbi. Louise è una persona che lavora per loro, e che viene redarguita nel momento in cui sbaglia, come un qualsiasi dipendente.

Leïla Slimani scrive divinamente, ma scrive di quello che mi fa paura. Della disattenzione, anche se incolpevole, della stanchezza delle mamme, del rapporto ambiguo che si può creare con chi si occupa della tua famiglia e della tua casa per così tante ore, con chi entra così nel profondo della tua intimità: nel tuo nido, nelle tue abitudini, nelle tue dinamiche familiari.

Ma quale alternativa avrebbe avuto Myriam? che alternativa hanno le mamme che come lei sentono il bisogno di tornare a lavoro, o ne hanno una necessità economica, o, come me, hanno bisogno di qualche ora per fare sport, una spesa in tranquillità, una visita medica o perché no, prendere un caffè con un’amica? Perché quando sentiamo alla tv certi fatti di cronaca (cui la Slimani stessa ha dichiarato di essersi ispirata), leggiamo o ascoltiamo critiche a volte neppure troppo velate nei confronti di chi ha lasciato il proprio bimbo a qualcun altro (e il sottinteso è spesso “non aveva che da starsene a casa e occuparsi dei suoi figli”, o, forse peggio, “i figli se li fai poi te ne occupi te”). Perché poi queste colpe sono solo delle mamme?

Da un lato, mi sono fatta tutte queste domande, che spesso so essere quelle di tante altre mamme e donne. Dall’altro, ho guardato la mia stessa esperienza, il mio sentirmi inutile perché non svolgevo un lavoro non retribuito, la mia vita ritirata rispetto agli scorsi anni: a volte sembra che il nostro valore sia solo in tutto quello che svolgiamo fuori (e quante volte mi sembra che tante persone siano il lavoro che hanno), e più siamo occupati e senza respiro e di corsa meglio é, mentre chi sta a casa non ha riconoscimento sociale, non esiste. Quale strada scegliere? cosa ci fará sentire meno in colpa? come aprirci alla fiducia nei confronti di chi si occupa dei nostri bimbi?

Ho tante domande e poche risposte mentre scrivo questa recensione. E voi?

Veronica, Taipei

*** per chi legge in Francese, una bella intervista al giornale Elle di Leïla Slimani 

 

Loading...

Author

Veronica Marocco

Amante dei viaggi e dei libri, con la mia laurea in Lingue e il mio lavoro in hotel, sapevo che prima o poi sarebbe arrivata l'occasione di partire! Quello che non avrei mai immaginato invece, era partire dalla Francia per fare tappa ad Hong Kong, Tokyo, Taipei, Shanghai. Dopo un breve "Francia-bis", ripartire poi per Doha e, infine (per ora) Marrakech. Nel frattempo, da due siamo diventati quattro, e le nostre avventure non sono ancora finite!

Dicci cosa ne pensi!

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.