Sono Simona ed insegno italiano a chi lo desidera senza limiti di età e di motivazione purché sia garantita un po’ di serietà nel portare avanti questo, pur piccolo, impegno.
Come mi sono ripensata e perché insegno italiano all’estero
Due sono le domande che faccio a chi mi dice di essere interessato ad imparare l’italiano. La prima é “Cosa conosci dell’Italia e dell’italiano”: parole, frasi, canzoni, ricette, gesti, città, club sportivi, qualsiasi cosa smuova energia ed interesse. La seconda domanda é “Perché vuoi imparare l’italiano”. Per me é un momento importante, talvolta ludico. Ho sentito davvero di tutto: motivazioni professionali, passione per il nostro Paese, interessi specifici, turismo, turismo legato al calcio, fino al “Vorrei uscire con una ragazza italiana che mi piace”, oppure “Voglio evitare quello che mi é successo l’anno scorso quando ho ordinato una pizza con eggplant e me l’hanno portata con eggs”. Questo momento é importantissimo perché mi permette di circoscrivere la motivazione che spinge una persona a voler intraprendere un cammino nell’acquisizione di una lingua, e di creare un sillabo ad hoc che soddisfi le aspettative e i requisiti della persona o del gruppetto.
Insomma…ancora, da queste parti, la nostra lingua, così come la cultura ed il costume, sono sinonimo di fascino, bellezza e bontà, a volte anche di quel fascino stereotipato con cui noi italiani all’estero dobbiamo fare i conti, anche se ci risuona vuoto e distante, e che dobbiamo decidere se perpetuare o se provare a modificare facendo uno sforzo per far conoscere qualcosa in più dello stereotipo stesso, laddove la persona dimostri uno spiraglio di curiosità per qualcosa di diverso. E’ un’impresa difficilissima, ma ogni tanto si può riuscire. Per esempio alcuni giorni fa ho ricevuto un messaggio da un ex studente: “Ho visto i dipinti di Caravaggio oggi! Mi hanno ricordato di te e di una lezione culturale!” Bingo, Simona, bingo!
L’insegnamento dell’italiano deve fare per forza i conti con il tipo di immagine che si vuole offrire e, sopratutto, con che tipo di immagine gli studenti sono pronti a recepire ed accettare. E’ un equilibrio precario e rappresenta una delle grandi sfide dell’italiano agli stranieri.
Ma ce ne sono molte altre, e ben più preoccupanti. La prima fra tutte é la spinosa domanda: ha davvero senso investire sull’italiano? Io, personalmente, l’ho preso davvero seriamente questo lavoro e me lo sono costruito a poco a poco e con molto impegno e fatica nell’arco di quasi tre anni da quando sono arrivata in Kuwait (Kuwait seconda puntata).
Chi ero? Chi sono? Chi … sarò?
Sembra uno dei mie esercizi sui tempi verbali ma non lo è.
Non é che io sia sempre stata un’insegnante. La vita si sa, è piena di sliding doors. Tu corri verso il treno mentre le porte si stanno chiudendo. Prendi quel treno, scrivi una storia. Perdi quel treno, scrivi una storia completamente diversa. Nel lontano 2002, finito il mio anno di lettorato in un piccolo college negli Stati Uniti, pur avendo la possibilità di rimanervi, decisi di rientrare in Italia. Una scelta di cui non mi sono mai pentita, perché semplicemente mi sembrava tutto troppo più grande di me (gli Stati Uniti, in quanto a spazialità fisica ed emotiva, possono far venire davvero le vertigini a chiunque!).
Rientrata in Italia ho lavorato per un po’ nel campo dell’insegnamento di italiano per stranieri, ma poi ha vinto il famoso ‘posto sicuro’ (fisso no perché ho patito anni prima di aver un contratto a tempo indeterminato) e ha vinto anche l’oil and gas dove sono rimasta per ben tredici anni. Sono stati anni di formazione molto importanti di cui sono grata e che hanno lasciato un passepartout per altre esperienze in caso si dovesse rendere necessario ritornare ad un lavoro più stabile. Certamente la mia formazione umanistica stonava lì dentro o, per lo meno, non risuonava con la mia anima. Un po’ come quel detto che se giudichi un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi il pesce si sentirà uno sciocco. Mi sono sentita spesso così, come quel pesce.
Poi un giorno ho dovuto prendere la decisione che mai avrei voluto prendere e che mai avrei pensato di prendere: tagliare il cordone del senso di appartenenza e citizenship che in 13 anni ti costruisci immancabilmente all’interno della tua azienda (e per noi italiani il cordone é sempre girato due volte), anche se sai benissimo che vivi da pesce che scala la montagna. Ho ringraziato e ho messo quell’arte da parte. So che é lì come mio patrimonio personale nel caso debba riandare ad attingervi un giorno.
Una volta in Kuwait (per me era la seconda volta in questo paese) mi si è presentata l’occasione dell’insegnamento in maniera del tutto casuale. Un’amica mi ha chiesto se fossi interessata ad insegnare italiano, sapendo delle mie pregresse esperienze ed ho accettato. Pur avendo un solido background in didattica delle lingue all’inizio é stato faticoso non solo per il tipo di audience che non conoscevo. La glottodidattica aveva fatto molti passi avanti rispetto all’ultima volta che avevo insegnato ed io non sono certo la persona che si approccia ad un lavoro a cuor leggero. Così ho deciso di rimettermi a studiare, in un primo momento con semplici corsi di aggiornamento online per studiare i materiali ed i testi di cui faccio incessante ricerca, fino a quando ho deciso di investire (pazza che sono!) in una formazione più strutturata iscrivendomi ad un master offerto dall’Università per Stranieri di Siena. Una grande famiglia di professionisti, insegnanti, tutor e colleghi, un network che collega persone sparse in tutto il mondo e con cui condivido esperienze, metodologie, scambi e a cui devo davvero moltissimo.
Perché ho deciso di fare questo passo? Innanzi tutto per dare una formalizzazione a quello che per il momento é il mio lavoro, anche se ai fini pratici può non interessare ai miei studenti di adesso (però potrebbe interessare a quelli futuri). Inoltre perché penso che per insegnare italiano agli stranieri non basta essere italiani e fantasiosi. Devi essere preparato, devi conoscere le motivazioni dei tuoi studenti per poter preparare un sillabo adeguato (c’è chi vuole imparare italiano per viaggiare e allora ti devi orientare su certe scelte, ma c’è chi vuole imparare italiano per lavorare in contesti formali e allora le scelte da fare sono altre), che rispetti i loro obiettivi, ma anche i loro tempi e la gradualità dell’acquisizione naturale delle strutture. Devi essere consapevole della loro biografia linguistica e cosciente dei loro processi cognitivi che devi essere pronto a sostenere scavando nei meandri dell’errore e dell’inter-lingua, quella affascinante lingua a metà che che tutti noi apprendenti una lingua straniera creiamo come frutto della nostra personalissima rielaborazione dell’input linguistico che percepiamo in classe. E sopratutto devi farlo con amore perché l’amore lo riconoscono tutti (o quasi). La passione per l’insegnamento abbatte i muri e le barriere, crea empatia e sicurezza affettiva negli studenti.
Ti devi predisporre all’incontro. La classe, che sia di uno o più (i numeri abbastanza esigui delle classi permettono ancora di più la cura di questo aspetto), deve, secondo me, essere un incontro di lingue, di culture, di anime e di storie. Guai se mancassero le storie e gli aneddoti da raccontare!
Perché é importante tutto questo?
Una bellissima riflessione del prof. Balboni che, per gli addetti ai lavori é una guida in materia, dice che in un mondo che tende all’omologazione linguistica (parliamo tutti inglese così ci capiamo subito e rapidamente), o agli interessi economici (adesso tutto e solo cinese), preservare la Babele linguistica é importante. Insegnare una lingua significa prima di tutto preservare la lingua come maniera di esprimersi e di rapportarsi con il mondo, conservandone caratteristiche e categorie; insegnare una lingua significa preservare un’identità; insegnare una lingua significa far conoscere una cultura, perché lingua e cultura sono imprescindibili.
Ogni tanto mi chiedo se durerà ma poi penso che sia un pensiero del tutto inutile. Certamente i numeri in giro per il mondo non sono incoraggianti. I tagli pesanti alla cultura si sentono anche all’estero, anche laddove c’erano bacini di utenza molto solidi. Durerà? Durerà fino a quando ci crederemo. O forse non durerà. In fin dei conti l’essenza umana é proprio la trasformazione, il non essere mai uguali. E dobbiamo accettarlo.
Ma nel frattempo avanti tutta con nuovi incontri, nuovi studenti, vecchi studenti, nuovi progetti… nuove idee pensando a come far conoscere la nostra bellissima lingua e la nostra ricchissima cultura.
Questo significa per me zaino in spalla e nuovi ‘ferri del mestiere’. Ogni tanto qualcuno mi ferma e mi chiede che cosa ho in tutte quelle borse, scatole, zaino. Sono i miei ‘ferri del mestiere’, il mio oggetto transizionale e anche la mia borsa di Mary Poppins dove nascondo la scatola delle parole e tutto quello che mi serve per fare qualche alchimia con l’italiano.
Un ringraziamento speciale a chi mi ricorda, soprattutto nei giorni di demotivazione, che un pesce deve nuotare e non scalare le montagne.