Quando lasciai un buon lavoro, la mia casa e gli affetti per seguire colui che sarebbe diventato mio marito in Cina, molto mi chiesero “Perché?”. O perlomeno, come mai lo facessi così senza dubbio alcuno.
C’era sicuramente e principalmente la voglia di costruire un futuro con quella persona. In quella decisione però c’era anche tanta della mia passione per i viaggi.
Da quando ne avevo avuta la possibilità economica, grazie al mio lavoro, avevo sempre pensato che i viaggi fossero il modo migliore per investire il mio denaro. L’unica cosa più importante era riuscire a comprare un piccolo appartamento solo mio, per abbandonare, finalmente, le tante case da studenti dove avevo abitato dopo che mi ero trasferita a lavorare a Bologna a 22 anni, lasciando la casa dei miei genitori in Romagna.
Anche l’anno in cui finalmente riuscii a realizzare questo desiderio enorme, non potei fare a meno di concedermi una vacanza durante l’estate. Dovetti rinunciare al mio solito viaggio itinerante con voli, noleggio auto e spostamenti continui per vedere tutto. Ma eliminando proprio tutte le spese non essenziali e, a volte, facendo economia anche su quelle, riuscii a concedermi un piccolo budget, nonostante la rata del mutuo e la casa da arredare. Presi un volo per Barcellona ed affittai una piccola stanza per 15 giorni. Era insolito per me stare così tanto in una sola città , ma non potendo permettermi altro, ne fui lo stesso felice. E Barcellona si rivelò un’ottima scelta tante erano le cose da vedere e da fare.
Tutto questo preambolo per dire che per me viaggiare è sempre stato fondamentale.
Amavo scegliere la destinazione, leggermi la guida ed organizzare l’itinerario. Così che già la preparazione era un piacere. Poi c’era la sfacchinata per preparare il bagaglio dato che partivo sempre nel primo giorno di ferie disponibile per non perdere tempo. E la corsa in aeroporto, sempre all’ultimo minuto ed in affanno.
E poi, la scarica d’adrenalina quando ero finalmente seduta sull’aereo. Il saluto a Bologna guardando in basso dal finestrino ed immediatamente dopo, i pensieri già rivolti alla nuova destinazione. L’emozione al solo pensiero di posare gli occhi su luoghi nuovi. Di vedere posti meravigliosi, conoscere nuove culture, assaggiare cibi insoliti e riempirmi la mente ed il cuore di nuove sensazioni. Oltre ad un’inevitabile e sottile paura per l’incontro con nuove lingue che spesso conoscevo veramente poco. E all’affrontare il viaggio da sola dato che, negli ultimi anni, avevo iniziato a viaggiare in solitaria.
Quando ho scelto di partire per il mio primo espatrio in Cina mi sentivo proprio così. Ma con tutte queste sensazioni elevate all’ennesima potenza. Non si trattava più “solo” di un viaggio, ma di una scelta di vita. Tre anni di vita all’estero, in un ambiente completamente diverso dal mio. Dove si parlava una lingua sconosciuta. Dove non avrei solo viaggiato, ma avrei dovuto affrontare tutte le problematiche di una vita quotidiana.
Eppure non avevo un briciolo di paura. Ero emozionata e felice. Immaginavo che sarebbe stata una lunga parentesi in cui sarei cambiata tanto. Anche se non intuivo la portata di quel cambiamento. Che fu enorme. Cambiai io e cambiò il mio carattere che diventò molto più espansivo. Aumentò la mia capacità di adattamento e la mia resistenza emotiva. Ed aumentò a dismisura la mia curiosità per il mondo. La mia voglia di vederne sempre di più. La mia passione per le culture diverse.
Tutto ciò che avevo già vissuto con il viaggiare. Con l’aggiunta di quella conoscenza di un’altra nazione che solo la vita quotidiana ti può dare.
Lo stesso fu per l’espatrio in Thailandia che fu però accompagnato da molti più dubbi. Perché non eravamo più in due, ma in quattro. C’erano due figli piccoli da proteggere e di cui prendersi cura.
Nonostante le tante difficoltà di quell’espatrio rispetto al primo, una cosa non era cambiata. La mia voglia di esplorare e conoscere il mondo. Con una grande variabile in più: insegnare ad amare i viaggi anche ai miei figli. Insieme abbiamo visitato Thailandia, Australia, Cambogia, Birmania, Singapore. Tutti viaggi meravigliosi che mi hanno lasciato tanto e che spero siano rimasti un po’ anche dentro ai miei figli.
Poi c’è stato il rientro in Italia, una casa amata ad aspettarci ed una moltitudine di affetti. Ed anche tante difficoltà impreviste. Che ancora non sono finite e sicuramente influenzano il mio umore ed il mio equilibrio. Sono però convinta che, anche quando sarà finalmente tutto finito, ci sarà un elemento che mi mancherà lo stesso: l’adrenalina. Quella enorme, che ti riempie, nell’affrontare una vita nuova. Che non può esserci in una vita vissuta nel tuo ambiente. Dove la felicità va trovata soprattutto nelle piccole cose e nell’affetto che ti circonda.
Ecco allora che, in un capovolgimento di prospettive, quell’adrenalina va ricercata in un viaggio. Dal rientro abbiamo sì viaggiato, ma l’abbiamo fatto in Italia, Austria e Slovenia. Posti sì bellissimi, ma appartenenti alla nostra cultura. Non è stata la stessa cosa. Pur essendo stati dei bei viaggi, non ho sentito quella scarica di adrenalina e quella curiosità così forte.
Fino all’ultimo Natale, quando mio marito mi ha fatto trovare sotto l’albero un viaggio in Kenya.
Di nuovo lontani dal nostro ambiente, l’ho risentita di nuovo quella scarica quasi elettrica.
Non tanto nel villaggio turistico sul mare dove alloggiavamo. Ma su quel pulmino con il tetto apribile che ci ha portati in giro per il Parco Nazionale Tsavo Est durante il nostro safari.
Di nuovo noi quattro all’avventura. Accaldati e coperti di polvere, ma felici. Felici di vedere una natura meravigliosa ed animali così belli da chiedersi come abbia fatto il creato ad immaginarli. Liberi, nel loro ambiente naturale.
Felici di ascoltare la nostra guida che ci raccontava centinaia di aneddoti e a cui premeva che capissimo la sua cultura così lontana dalla nostra.
L’emozione di dormire in un lodge formato da grandi tende lungo il fiume. Un infinito cielo stellato sulla testa ed il rumore degli animali e degli insetti nella notte a cullarci mentre ci addormentavamo.
E, soprattutto, la gioia di vedere anche negli occhi dei miei figli la meraviglia, la passione e la curiosità .
E ancora di più ho capito che, così come devo imparare a godere delle piccole cose e del presente in un costante esercizio quotidiano, allo stesso modo non posso rinunciare a vivere quell’emozione di conoscere l’altrove ed il diverso.
E cosà come con l’espatrio cercavo quell’adrenalina vissuta nei viaggi, ora ricerco nei viaggi quell’adrenalina vissuta con l’espatrio.
Federica, Italia
Non posso che essere d’accordo, quella scarica di adrenalina pre-viaggio o pre-espatrio è adictiva, come dicono in Spagna…E non trovo ora un sinonimo italiano che gli renda giustizia! (però ecco, crea dipendenza!)
Leggendoti da tempo, non ho dubbi che tu abbia capito cosa intendo! Hai ragione, in italiano non c’è un termine che renda altrettanto bene!
Mi trovo molto d’accordo con te! Anche per me imbarcarmi verso un nuovo Paese è sempre stata fonte di gioia, che fosse un soggiorno breve o lungo. Mi piace dedicare tempo ed energie a conoscere un posto a fondo, e se ora in Italia mi è tutto familiare, mi basta spostarmi verso nuovi orizzonti per ritrovare lo stesso entusiasmo di quando vivevo in Francia.