Vivere all'estero

Di traslochi e di fiori

Written by Amiche di fuso

Era una bella mattina di sole e me ne stavo lì sul pavimento a scacchi bianchi e neri di fronte all’elegante palazzo in stile Tudor circondato da fiori, soprattutto rose, enormi rose di fine maggio, con un bambino piccino nell’ovetto, un passeggino, 2 valigie, due sacchi con dentro asciugamani, una padella, una pentola, qualche utensile e due scatoloni contenenti altrettanti piumoni nuovi. Uno di quei traslochi a tappe: prima era venuto a Londra lui e in 48 ore aveva firmato il contratto di casa e aperto il conto in banca, poi tornato lui a Houston, sono partita io col piccolo di casa con una settimana di anticipo su di loro, per trovare la scuola. Mio marito era appena atterrato a Heathrow con le bambine e altre 9 valigie: oggi era il giorno in cui cominciavamo insieme ufficialmente in cinque la nostra vita a Londra.

La signora dell’agenzia che avrebbe dovuto aprirmi la porta della nostra nuova casa era in ritardo. Prima un signore di una certa età col cane, poi una mamma con un bambino piccolo, poi un’altra ragazza…

Good morning, moving in? 

Nel giro di mezz’ora quasi tutti i miei nuovi vicini sapevano di questa nuova famiglia mezza italiana e mezza polacca con tre bambini che si stava per installare nell’appartamento dove stavano i greci (che pare urlassero sempre e non fossero simpatici a nessuno), comprato dal tizio asiatico che sta a Singapore perché ha fatto i soldi nella finanza.

You’ll see, you’ll love it here, everybody has children in this block and half people are foreigner and the other half are British who lived abroad.

Oh you are Italian? You have to meet Teresa, you’ll love her!

Già così mi sembrava di sentire gli angeli cantare. In sedici mesi a Houston soltanto i due ineffabili portieri che ci distribuivano i pacchi di Amazon e i messicani che aggiustavano le cose si erano accorti della nostra presenza nel complesso dove abitavamo: 500 appartamenti e non sapere che faccia ha il tuo vicino. Paradossalmente chi abitava in casette, conosceva i propri vicini, ma nei complessi di appartamenti, pur dividendo il tetto e l’ascensore, sembrava impossibile incrociarsi davvero.

Mentre mi beavo di quest’atmosfera così amichevole, arrivò la signora che avrebbe dovuto aprirmi la porta della nostra nuova sistemazione londinese.

Infila le chiavi e niente, non s’apre.

La vicina americana del piano di sopra (I’m american but I’m for Bernie, mi fa sapere immediatamente per sgombrare il campo dai miei possibili pregiudizi) si offre di provare.

Nulla.

Arriva Kirk, l’Head Porter del palazzo e anche l’unico vero British non contaminato dall’espatrio. Kirk, l’accento di un barone e l’aspetto di un hooligan in pensione, orgogliosamente quando non lavora si divide equamente tra pub e stadio, sostiene la Brexit (Britain to Brits and I’ve always hated the Germans!) e il suo concetto di paradiso nazionalpopolare è un posto dove la birra costa poco ma c’è il sole, il tipo di passeggero che acchiappa le offerte di Ryan per Maiorca quando arriva l’email alle 00.01 del martedì notte.

Nulla, non gira.

Si materializzano altri due vicini come evocati magicamente dal momento di crisi condominiale del giorno. 

Nemmeno loro riescono.

E a quel punto il mini conclave di vicini esclama in coro: Teresa!

Il Kirk va a bussare alla porta di fronte alla mia e praticamente mette in mano il mazzo di chiavi a questa signora bionda, con gli occhi azzurri splendenti e due gambe in pantaloncini che io nemmeno a 10 anni.

Lei gli da uno sguardo come dire Loser, e infila la chiave sorridendo.

Apriti sesamo.

Ringrazio tutti e si conclude il primo teatrino condominiale avente me per protagonista: entro con tutta la mia mercanzia e cominciamo lo stato dei luoghi con la tizia dell’agenzia.

Poco dopo arriva il marito con le bimbe e le nove valigie, gli vado incontro e Teresa ci raggiunge.

Volete venire a cena da me stasera? Che siete appena arrivati, non avrete nulla, faccio una pasta e un’insalata, per le bambine? Le sette va bene?

La guardiamo entrambi stupefatti. Quanto ci erano mancati i nostri meravigliosi vicini diventati poi amici di Varsavia. Non ci sembrava nemmeno possibile che tale fortuna si potesse ripetere in futuro.

Grazie! Sì! Grazie!

La nostra prima giornata nell’appartamento vuoto è trascorsa velocissima tra incombenze e cercare di sistemare l’accampamento (i mobili sarebbero arrivati 4 settimane dopo, abbiamo dormito su letti gonfiabili e ricevuto le maestre della scuola facendole sedere sui davanzali della bow window in salotto) e il pensiero di una vera cena ci ha accompagnato come uno sprazzo di tanto in tanto… abbiamo cercato di darci una sistemata, il marito è andato a comprare una bottiglia di vino e al completo ci siamo presentati alle sette.

Teresa è figlia di italiani emigrati dall’Abruzzo a Melbourne, il suo amore per la sua città traspare continuamente, anche se da tredici anni è a Londra col marito scozzese (un raro caso di British che parla benissimo l’italiano) e la loro figliola, una ragazzina di quelle che ti fanno pensare speriamo anche le nostre siano così da adolescenti. Con questa premessa potete immaginare che versione di “pasta e insalata” ci ha accolti. Una tavola bellissima, con piatti di ceramica coloratissimi su una tovaglia immacolata, antipasti di verdure, mozzarelle, affettati, le lasagne fatte da lei (e l’insalata). Il caffè fatto con la caffettiera napoletana nella sua cucina pienissima di libri, piante, frutta, verdura, attrezzi, quadri, fotografie. (Anche io continuo a farmi il caffè con la moka, ovunque nel mondo, perché l’odore del caffè e quella piccola attesa per me sono insostituibili.  Anche io amo le cucine separate, e se mi manca qualcosa dell’appartamento francese di 4 traslochi fa, è la cucina chiusa con il tavolo per mangiare lì, senza quell’ansia da open space sulla sala che quando cucini il pesce o il cavolfiore te lo ricordi per tre giorni.)

Sono passati ora quattro mesi dal nostro arrivo. Il referendum sulla Brexit ha vinto e questo, oltre a rendere felice il Kirk, ha un po’ smorzato il nostro entusiasmo iniziale di esser tornati in Europa. Per fortuna così spesso quando rientriamo a casa, che sia dal lasciare a scuola le bimbe o dall’aeroporto dopo un weekend fuori, troviamo il calore, l’empatia e la saggezza di Teresa, che sappiamo già rimarrà indissolubilmente legato al nostro tempo passato qui a Londra.

E’ difficile ringraziare materialmente una persona così che ha tutto, che offre senza mai chiedere e senza mai aspettarsi nulla, ed è per questo che alla fine mi affido ai fiori, leggeri e belli come è la sua presenza vicino a noi.

Valentina, Inghilterra

Ha collaborato con Amiche di Fuso da luglio 2014 a giugno 2018

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Amiche di fuso

Amiche di fuso è un progetto editoriale nato per dare voce alle storie di diverse donne, e non solo, alle prese con la vita all'estero. Vengono messi in luce gli aspetti pratici, reali ed emotivi che questa esperienza comporta e nei quali è facile identificarsi. I comuni denominatori sono la curiosità, l'amicizia e l'appoggio reciproco.

2 Comments

  • Che meraviglia! Credo che chiunque espatri e debba ricominciare in un posto nuovo, sogni un’accoglienza simile alla tua! Si tratta di piccoli, grandi gesti di affetto inaspettato che ti fanno sentire subito a casa. : )

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