Scegliere una meta spesso non significa anche trovare il lavoro dei propri sogni a portata di mano: Cristina dopo varie vicissitudini ha trovato un buon lavoro in UK e ci racconta la sua esperienza perché sia d’esempio a chi vuole intraprendere la stessa avventura. Seguitela sul suo blog Mashed Potato!
Quando sette anni fa arrivai in UK senza conoscenze e senza prospettive decisi di sfruttare al massimo l’opinione che gli stranieri hanno di noi italiani: siamo simpatici e sappiamo fare un buon caffè.
Stampati una cinquantina di Curricula mi aggirai per le strade di Durham entrando in ogni negozio o ristorante e chiedendo se avessero bisogno di personale. Tra qualche no e qualche curriculum accettato con fare di cortesia le giornate trascorsero senza alcun risultato.
Decisi quindi di recarmi al job centre dove, fatto un breve colloquio, mi venne data una lista di lavori per cui applicare. Tra questi, uno in particolare catturò la mia attenzione: cercavano baristi per il Caffè dell’Università.
Inviato il curriculum e la cover letter (spesso e volentieri più importante del curriculum stesso!) ricevetti dopo qualche giorno un invito per il colloquio. Ero un po’ spaventata dalla prospettiva di non capire cosa mi venisse chiesto (non ero ancora abituata all’accento!) e di non saper rispondere adeguatamente quindi mi preparai al meglio ripassando un po’ di lessico “da bar” e guardando video su YouTube che suggerivano le migliori risposte alle tipiche domande da colloquio di lavoro.
Il giorno del colloquio arrivai abbastanza decisa, dopotutto non avevo ricevuto altre offerte quindi quella era la mia unica possibilità di cominciare a guadagnare qualche soldino ed ero determinata a non sprecarla. Il colloquio andò molto bene e devo dire che all’epoca fu la mia “attitude” a convincere i miei futuri capi ad assumermi: mi presentai sorridente, ottimista, entusiasta per la possibilità di lavorare con loro e ciò ebbe la meglio sulla mia poca esperienza e scarsa dimestichezza con la lingua. Iniziato a lavorare cercai subito di comunicare il più possibile con i miei colleghi inglesi in modo da imparare in fretta e superare l’ostacolo della comprensione dell’accento “Geordie”. Le difficoltà certo non sono mancate, ma dopo pochi mesi mi sentivo già molto a mio agio.
Decisi quindi di cominciare a pianificare il passo successivo.
All’epoca la mia ambizione era lavorare nel no-profit quindi iniziai a cercare opportunità di volontariato, sia a Durham sia nella vicina Newcastle. In particolare un’organizzazione attirò la mia attenzione: il North of England Refugee Service (NERS). Per diventare volontaria NERS bisognava sostenere un colloquio e sottoporsi ad un CRB check (praticamente si accertano che tu non sia un criminale). La storia del mio colloquio con un simpatico omone rasta meriterebbe un post a parte, ma per farla breve lo superai e cominciai ad andare a Newcastle tutti i mercoledì (rinunciando quindi al lavoro e alla paga di un giorno – ma tutto faceva parte del piano!!) per lavorare come volontaria per un progetto di integrazione.
Questa esperienza fu preziosissima non solo per il mio curriculum, ma anche per le persone meravigliose che ho conosciuto: fu proprio così che incontrai Sara, la mia migliore amica nonché poi testimone di nozze.
– anche lei merita un post a parte!
Tramite il NERS ebbi anche l’opportunità di lavorare come traduttrice freelance dall’italiano all’inglese e viceversa, aiutando famiglie e soprattutto bambini expat a comunicare in contesti delicati (visite ospedaliere, etc. ).
Nonostante ciò ero comunque alla ricerca di un impiego più stabile e remunerativo e finalmente mi sentivo pronta anche a livello di conoscenza della lingua a mettermi in gioco.
Devo anche aggiungere che tra lavoro al bar, volontariato e traduzioni avevo anche cominciato a insegnare danza orientale (cosa che facevo anche in Italia, prima dell’espatrio), insomma non mi sono mai fermata un attimo!
Con l’avvicinarsi dell’estate e della chiusura universitaria i turni disponibili al bar cominciarono a scarseggiare, e così anche i soldini a disposizione. Ormai mi era chiaro che nel mondo del no-profit non avrei trovato quello che cercavo, a meno di non imbarcarmi in un altro anno di volontariato e rassegnarmi a piccoli guadagni dalla frequenza imprevedibile. Ero anche stanca di lavorare al bar: nonostante la paga fosse ottima le ore in piedi o a spostare oggetti pesanti mi provocavano fortissimi mal di schiena, lasciandomi senza forze alla fine della giornata.
Quello fu un brutto periodo: mi sentivo sempre triste, sentivo che stavo perdendo tempo, sprecando la mia vita facendo qualcosa di non remunerativo o interessante. Ero in un paese straniero, con pochi amici, le bollette da pagare e la paura di aver fatto il passo più lungo della gamba.
Ricordo che feci un’onesta analisi delle mie skills e decisi che la cosa più ovvia su cui avrei potuto puntare era il fatto che parlavo due lingue. Cercando informazioni sul web, capitai su un sito specializzato in multilingual recruitment e creai un account, senza nutrire troppe speranze.
Un’ora dopo ricevetti una telefonata proprio da questo sito: avevano una posizione aperta nel customer service di un’azienda americana e cercavano proprio qualcuno che parlasse italiano. Non mi sembrava vero! ok non era il lavoro dei miei sogni, ma era a mezzora da casa e con uno stipendio ottimo. Non solo: era un contratto a tempo indeterminato quindi un lavoro vero che poteva darmi un po’ di stabilità.
Questo sito lo consiglio caldamente: è gratuito, ma ho ricevuto un servizio eccellente. La ragazza che mi seguiva si chiamava Sandra e mi ha dato un sacco di consigli, mi teneva costantemente aggiornata e ascoltava tutte le mie preoccupazioni. Davvero favolosa!
Dopo due colloqui telefonici per testare le mie competenze linguistiche in italiano e spagnolo, mi chiamarono per il colloquio faccia a faccia vero e proprio. La preparazione fu essenziale: studiai attentamente la job description, provai e riprovai le risposte alle domande più comuni, mi diedi da fare per arricchire il mio vocabolario con termini inglesi che potessero essermi utili. Infine, scelsi il look da perfetta candidata. Arrivai al colloquio carichissima: era un’opportunità troppo grande! Anche questa volta il mio atteggiamento si rivelò un prezioso alleato e ottenni il lavoro pochi giorni dopo.
L’azienda voleva che cominciassi subito e, data l’assenza di mezzi di trasporto, comprai una macchina usata il sabato, imparai a guidare a sinistra la domenica e andai al lavoro lunedì, super felice ed emozionata.
Tutto il resto è storia e, come potete immaginare, meriterebbe un post a parte!
Cristina, UK.
Il UK é un posto meraviglioso per sfoderare i talenti nascosti. Sembra che gli Inglesi siano bravissimi ad andare oltre il CV e vedere chi ha una marcia in piú nella media distanza!
Laura hai proprio ragione… Per chi ha entusiasmo e voglia di fare offre davvero possibilita’ interessanti!
Scusi signora se faccio la voce fuori dal coro, ma io parlerei al passato. Al momento, e salvo quanto potrebbe accadere, mi pare che il Regno Unito con il noto referendum tutta questa apertura se la sia rimangiata in un colpo solo.
Francesco anche tu hai ragione. Brexit e’ stato davvero un duro colpo. Quando abbiamo visto i risultati non ci potevamo credere, per giorni non abbiamo pensato ad altro. Eravamo preoccupatissimi, per il lavoro, per la casa che abbiamo appena acquistato… cosa succedera’ all’economia? dovremo lasciare il paese? cosa succedera’ al mio lavoro finanziato con fondi Europei? La verita’ e’ che ancora tutto e’ un punto interrogativo. Nel mio caso il supporto che ho ricevuto da tutti e’ stato meraviglioso. Persino il portiere dell’Universita’ in cui lavoro ci ha abbracciati con le lacrime agli occhi dicendoci che noi saremo sempre i benvenuti e che si vergognava di quello che era successo. Il rettore ha organizzato sistemi di supporto per i lavoratori europei, ha subito chiarito che noi siamo e saremo sempre parte integrante dell’Universita’ e che hanno bisogno di noi. Si e’ offerto di pagare il costo della domanda di residenza permanente (una stupidaggine, circa £60 ma e’ comunque un bel gesto). Al momento, nonostante tutto, io resto positiva!
Gentile signora, le premetto che il mio punto di vista e’ distorto, perche’ lavoro nel mondo dell’immigrazione, se pure in Italia, e ho visto cose che voi umani…
Detto questo, la solidarieta’ dei singoli e’ bellissima, ma serve a poco. Se Auntie May o chi per essa dice che nel Regno Unito non ci puoi stare, il tuo datore di lavoro non ci puo’ far nulla: o ti licenzia o ti tiene in nero, e non so cosa sia da preferire.
Detto questo, se come intuisco nel Regno Unito le e’ disponibile qualcosa di simile alla nostra carta di soggiorno, lo richieda, e appena puo’ chieda la cittadinanza. Faccia, in sostanza, conto di essere una extracomunitaria: in un paese civile, con tutti i limiti che questa espressione puo’ avere, gli strumenti giuridici le danno una certa difesa. In bocca al lupo!
D’accordo con Francesco anche qui, fai una EEA PR or QP appena puoi. Ti garantisce una sicurezza in piu’. Alla fin fine sono 65 sterline e sono spese bene, hai anche un lavoro a tempo indeterminato e sei qui da 7 anni! 🙂
Allo stesso tempo mi chiedo… perche’ noi italiani non siamo tenuti aggiornati su queste cose o non abbiamo un sito/forum dove si possono scambiare info (come i non-EU/Commonwealth citizens) su pratiche per immigrazione, etc.?
Volevo dirlo pure io, come il signor Francesco…. ma a Durham, xenofobia zero?
No Brexit?
Interessante se e’ cosi magari mi ci posso trasferire perche’ in Cumbria non si vive, piu’ cerco lavoro e piu’ becco dei NO grossi come case perche’ i cittadini EU veranno mandati via (gli ultimi 4 employers mi hanno risposto cosi).
Per di piu’ che ci sono stati diversi attacchi a cittadini EU, anche fisici.
Per il resto, sono contenta di aver letto questo articolo e grazie mille delle informazioni, mi sono segnata quel sito. Io sono bilingue, quindi potrei vedere se trovo lavoro nel campo internazionale dove forse esiste una mentalita’ meno ristretta che su base locale. Il lavoro potrebbe anche salvarmi dalla lista di ‘deportazione’ o di essere infilata in quella famigerata della Gisela Stuart.
Ciao!
Da i fatti riportati nell’articolo sono passati un po’ di anni (scrivero’ presto il seguito della storia!) e ora vivo a Swansea (Wales). Le mie amiche ancora a Durham/Newcastle non mi hanno raccontato di episodi xenofobi x fortuna, devo dire che loro lavorano in ambienti internazionali e quindi, come tu hai giustamente notato, il problema si nota meno. Inoltre le grandi industrie del Teeside hanno bisogno di gente che parli altre lingue Europee altrimenti chiuderebbero bottega domani…
Swansea ha votato per Brexit, anche qui io lavorando per l’Universita’ sono un po’ in una “bolla” e sicuramente altre realta’ sono diverse e piu’ complicate.
Comunque…speriamo di cavarcela!!
Da quello che posso vedere o sentire, chiunque sia in UK da cinque anni e abbia un lavoro sicuro non ha niente da temere; basta far valere i propri diritti con la permanent card 🙂 Poi dopo un anno si puo’ chiedere la cittadinanza. Quindi in quel senso si e’ protetti, se vuoi, fino a che non finiscono i due anni dopo l’articolo 50.
Si le universita’ sono in una bolla, anche la mia e’ uguale.
Spero di trovare presto lavoro perche’ e’ cio’ che mi salverebbe.
Pensa che io sono sposata da anni a un britannico e non posso avere la cittadinanza perche’ la Permanent Card non contempla la ‘sponsorizzazione’ di cittadini britannici e senza la Permanent Card non posso avere la cittadinanza!!
Tutto molto complicato!!
Complicato davvero!!!
Comunque stavo guardando i vari gruppi facebook e non c’e’ nulla che aiuti noi italiani in balia di Brexit…la tua e’ un’ottima idea e credo che sarebbe davvero utile a molti!
@Cristina
Vale la pena fare la mozione allora! 🙂
Complimenti! E viva l’entusiasmo che aiuta sempre 😉
Grazie mille! Eh si, l’entusiasmo e la voglia di mettersi in gioco danno una marcia in piu’ . Soprattutto in ambiti competitivi e ad inizio carriera fanno la differenza!
Giusto una postilla al tuo articolo, Cristina.
Volevo chiedere…. no Brexit?
Mi meraviglio che in molti articoli scritti da italiani non compare questa cosa, come se tutti avessero contemporaneamente deciso di ognorare Brexit e vivessero in un mondo parallelo.
Sicuramente, avendo un lavoro a tempo indeterminato, non rientri nelle categorie che il governo prendera’ di mira… ma l’apertura mentale verso eta’ e nazionalita’ sara’ da ora in poi ristretta a pochi campi, in generale chi ha laurea o piu’ titoli.
Chi e’ su un zero-hourt, seasonal, self-employed, student, temporary contract sara’ passibile di essere mandato via quando tirano le somme. Voglio dire, la May e’ oggi al UN security council con un argomento anti-immigrazione, non si puo’ ignorare che il clima e’ virtualmente negativo fino all’ostile contro gli stranieri in generale.
A livello italiano ci vorrebbe un’unificazione in termini di informazione anche al riguardo la situazione (penosa) di questo stato al momento; quello che l’Home Office decreta al momento non e’ per niente ‘reale’ se messo in confronto con gli strumenti a disposizione per legalizzare la posizione dei cittadini EU in modo definitivo (EU citizen exercising treaty rights).
Cos’è il zero-hour? La disoccupazione?
Ciao Cristina, bellissima la tua esperiemza e felice che anche tu ti trovi bene in UK e soprattutto in Galles! A dispetto della Brexit, io qui mi sento a casa. Un abbraccio e … vento in poppa!