Quando si parla di expat si fa sempre riferimento ad adulti che consapevolmente hanno scelto di lasciare il proprio paese per trovare migliori opportunità all’estero, per seguire il proprio partner o forse anche per spirito d’avventura. Ma se questo nostro istinto alla fuga estera fosse già innato in noi? Esiste davvero il cosiddetto “wonderlust gene”, che renderebbe alcune persone più propense a viaggiare di altre? Non sono una scienzata, ma se quel gene esistesse, penso proprio che lo possiate trovare nel mio DNA.
Ho sempre amato viaggiare, non mi sono mai tirata indietro di fronte all’avventura e, a soli 16 anni, ho compiuto il mio primo grande volo da sola all’estero per uno scambio scolastico. Grazie all’associazione no-profit AFS/Intercultura, ho frequentato il quarto anno di liceo in una High School Americana, a Port Townsend, una cittadina a un’ora da Seattle, nello stato di Washington.
Scopo di quest’esperienza non era solamente imparare la lingua, ma entrare nel vivo della cultura ospitante, soprattutto grazie alla permanenza in una famiglia locale e alla frequentazione della scuola per tutta la durata del programma. Ed è questo che rende Intercultura diversa dalle tantissime altre associazioni di scambio perché AFS mette davvero l’esperienza culturale al centro del progetto. Per questo vengono sempre caldeggiate mete più esotiche come il Sud Africa, la Malesia o la Bolivia a mete più “semplici” come gli Stati Uniti, l’Australia o la Francia. Lo scopo del programma non è imparare una “lingua utile”, ma mettersi alla prova, scoprire l’ignoto e immergersi in un mondo il più diverso possibile da quello italiano.
Io sono stata un po’ codarda in questo. Ho scelto gli Stati Uniti perché era un mondo che pensavo di conoscere attraverso la televisione e l’esperienza di mio fratello in California un paio d’anni prima. Ma per quanto fossi preparata all’esperienza, dopo anni di sit-com e programmi ambientati nei licei americani, lo shock culturale mi ha presa comunque alla sprovvista.
È proprio quando di un paese pensi di sapere tutto, che scopri di non conoscere nulla. Ma secondo me è proprio questo a rendere l’esperienza molto più bella, perché ogni giorno porta con sé nuove scoperte, nuove difficoltà, ma anche nuovi successi. E tra alti e bassi (inevitabili nel corso di un anno), la mia esperienza negli Stati Uniti è stata semplicemente formidabile!
Immaginatevi la scena: una cittadina che sembra uscita da un libro di fiabe, abbarbicata tra oceano e montagne (o meglio vulcani spenti) innevate. Una casetta vittoriana da film, la mia stanza sopra il garage, con tanto di orsetti lavatori e cerbiatti nel giardino sul retro. Una tipica famiglia americana, con i tipici interessi americani, che mi ha accolta come una figlia e una sorella, e ancora oggi mi fa sentire tale. Una squadra di pallavolo come seconda famiglia, con cui affrontare le trasferte sul tipico school bus giallo, tra cheerleaders ed inni nazionali. L’ultimo anno alla High School locale, con i vari balli, fra cui il Prom (il ballo di fine anno riservato agli studenti dell’ultimo anno), gli armadietti, le pep assemblies e la cerimonia dei diplomi con tanto di cap & gown.
Quello che più mi fa sorridere adesso è ricordare come negli Stati Uniti fossi famosa per il semplice fatto di essere italiana. C’erano altre ragazze in scambio nella mia scuola, da Finlandia, Francia, Corea e Slovacchia, ma per qualche motivo nessuno se le filava. Agli occhi dell’adolescente americano medio, essere italiana faceva figo! Ed io ho bellamente cavalcato l’onda di questa mia popolarità temporanea. Ma il rovescio della medaglia è che, per la prima volta, mi sono dovuta confrontare con la mia italianità e il bagaglio culturale che mi portavo dietro. Per la prima volta mi hanno chiesto se in Italia si va a scuola con l’asino oppure con la Ferrari (non l’adolescente italiano medio, direi), se abbiamo l’elettricità o l’acqua calda (giusto da qualche anno), se rubiamo i portafogli (non abitualmente) e se siamo sempre tutti vestiti eleganti (in confronto all’americano medio, direi di sì).
Battute a parte (anche se tutte queste e molte altre domande mi sono state poste realmente da coetanei ed adulti), è proprio durante questo mio anno di scambio che ho cominciato a capire cosa voglia veramente dire sentirsi uno straniero: confrontarsi con mentalità e valori diversi da quelli con cui si è cresciuti e accettare la cultura del paese ospitante senza per questo perdere la propria.
Ho scoperto cose di me stessa, della mia educazione e della mia cultura delle quali fino a quel momento non mi ero resa conto perché, fino ad allora, erano state tutte cose “normali” per me. E durante quel mio anno in America ho cominciato a capire che quel che era normale per me non lo era necessariamente per gli altri e, col tempo, il concetto di “normale” è cambiato. Esposta ad una cultura diversa, la mia mentalità, le mie abitudini e il mio modo di reagire al diverso sono necessariamente cambiati. Ed è un viaggio a senso unico che dura tuttora.
L’impatto che questa esperienza ha avuto sulla mia vita è stato devastante: da aspirante medico che ero prima di partire, sono finita poi ad iscrivermi alla facoltà di Scienze Politiche, corso di laurea in “Scienze Internazionali e Istituzioni Europee”.
Seppur ribelle ed avventurosa fin da bambina, è stato proprio grazie a quest’esperienza che è nata in me la voglia di vivere all’estero per un tempo maggiore che quello di una semplice vacanza. Per scoprire e conoscere altri paesi e nuovi aspetti di me stessa. Quest’esperienza, fatta da sola a 16/17 anni dall’altro lato del globo, mi ha davvero spalancato le porte del mondo, mi ha dato ali per volare e mi ha insegnato a non avere paura di spiccare quel volo.
Ovviamente è un’esperienza che vorrei che ogni ragazzo potesse fare, perché credo fermamente che il mondo sarebbe un posto decisamente migliore se ogni giovane avesse la possibilità di trascorrere un periodo più o meno lungo all’estero.
Quindi a voi ragazzi che vorreste partire, consiglio con tutto il cuore di farlo. Sarà un’esperienza che, nel bene o nel male, vi cambierà la vita. E a voi genitori che siete titubanti sul lasciare andare o meno i vostri pargoli all’estero, voglio assicurare che andrà tutto bene: il semestre o l’anno di vita fuori casa sarà loro molto più utile dell’equivalente di scuola italiana che perderanno! Riusciranno lo stesso a diplomarsi nonostante l’assenza e nella vita andranno lontano!
Quindi che state aspettando? Il mondo vi aspetta!
Claudia, Australia
Claudia ha collaborato con Amiche di Fuso da dicembre 2014 a novembre 2019.
Potete leggere Claudia qui
Ciao, Claudia.
Sono gin. Credo che se la sclerosi multipla non mi avesse bloccato, forse anche io oggi sarei una expat. Non so se posseggo il wonderlust gene, ma di sicuro ero sulla buona strada. Voglia di viaggiare, curiosità su…tutto, interesse al dialogo con le persone, genitori che mi invogliavano a viaggiare, conoscere, inserirmi e così via dicendo.
Poi, come te, sono stata un anno via, anche io con Intercultura, ma in Canada, e poi alcune altre esperienze…e in fondo la sclerosi.
Si, avrei potuto essere una expat, secondo me.
Grazie per avermi ricordato il io felice anno canadese. Ciao
Gin
Ciao Gin.
Lo credo proprio anche io! Purtroppo la tua vita ha preso un percorso diverso, costringendoti a viaggiare con la mente e con gli occhi degli altri, ma penso proprio che dentro tu sia un’expat vera. Spero che le Amiche di Fuso ti aiuteranno a vedere quanto piu’ possibile di questo mondo, seppure attraverso lo schermo di un computer!
Un abbraccio!
[…] nello stesso modo Gin, una bella rossa piemontese dal cuore siciliano, ma alla volta del Canada. Un anno all’estero a 16 anni è una svolta per qualsiasi adolescente, un’esperienza che tutti noi che […]
Del tuo post, a parte l’esperienza bellissima che hai fatto, mi hanno colpito le domande che ti ponevano…E’ successo anche a me (del tipo, ma ti depili? Le donne italiane non vanno in giro con i peli lunghi sulle gambe???) e ho capito come all’estero si rappresenti il proprio Paese con tutti i pro e i contro
In effetti con l’innocenza e l’inesperienza di quell’età rimanevo spesso sbalordita e confusa dalle loro domande…. e mi sono resa conto quanta ignoranza ci sia in giro!
Devi avere avuto proprio una bella esperienza per parlarne cosi bene! Che bello!
Non hai idea di quanto!