Un paio di mesi fa, l’insegnante di mio figlio Riccardo mi ha chiesto se poteva inviarmi un questionario riguardo la vita da expat che conduciamo. E’ rimasta infatti affascinata dal nostro stile di vita, dai numerosi cambiamenti e da alcune affermazioni di mio figlio in classe.
Pare che stia studiando il comportamento dei bambini che conducono una vita da espatriati per cercare di capire fino a che punto un insegnante o la scuola possano supportare la famiglia nell’aiutare i figli ad affrontare il cambiamento rendendolo meno traumatico.
Naturalmente ho accettato con entusiasmo e tanta curiosità!
Le prime domande erano di tipo conoscitivo (età, sesso, cittadinanza, professione dei genitori), seguite dalle classiche domande da espatriati:
– in quali Paesi avete vissuto?
– quante lingue parla il bambino?
– quante scuole ha cambiato il bambino, dove e per quanto tempo?
– per quali ragioni avete deciso di cambiare paese e vivere in giro per il mondo?
– ogni quanto tornate in Italia?
Poi seguivano alcune domande relative al Paese dove attualmente viviamo, l’Arabia Saudita, circa le prime impressioni avute, eventuali cultural shock e difficoltà riscontrate e sulla semplicità o meno per il bambino nel trovare nuovi amici.
Fino a qui tutto bene dato che si trattava di domande piuttosto semplici la cui risposta era immediata, ma piano piano le domande hanno iniziato a farsi più complicate:
“Come vive tuo figlio i vari cambiamenti? Come si sente?”, “Ci sono stati dei cambi di Paese più difficili rispetto ad altri? ”, “Per tuo figlio dov’è casa?”.
Confesso che i miei figli non hanno mai manifestato grandi problemi di adattamento e hanno sempre accettato con felicità, entusiasmo e tranquillità ogni cambiamento di Paese, realtà, scuola ed amici. Sono fortunata, lo so, ma per loro la cosa fondamentale è sempre stata quella di avere entrambi i genitori vicini, insieme e felici.
Il cambiamento più difficile da affrontare per loro è stato infatti lo scorso anno, quando da Kuwait ci siamo trasferiti in Italia, ma solo di passaggio, vivendo per un intero anno da soli lontano dal padre.
Molto difficile è definire il concetto di “casa”. Per Riccardo “casa” è a Kuwait, in fondo lui è arrivato lì a soli due mesi ed è partito che ne aveva poco più di tre. Lui si sente kuwaitiano e la prima volta che si è presentato a scuola ha affermato “I’m from Kuwait!”e non ha detto di essere italiano. Invece Tommaso ha capito che per noi non esiste una sola “casa”e che siamo fortunati perché ne abbiamo tante in giro per il mondo.
Le ultime due domande sono state quelle che mi hanno fatto molto riflettere e alle quali ho fatto veramente fatica a rispondere d’impulso. Ho dovuto fermarmi un attimo, respirare profondamente e prendere tempo.
“Quando partite qual è la cosa che rende più felice e quella che rende più triste tuo figlio?”
Ogni partenza è una sofferenza!
Vivere per più di un anno in un Paese significa aver creato delle relazioni con altre famiglie, avere degli amici, dover salutare delle persone che sono entrate a far parte della nostra vita e sono importanti.
Il luogo che lasci è un luogo nel quale hai vissuto momenti indimenticabili e unici: la prima parola pronunciata da tuo figlio, il primo dentino, il primo bagno in mare, quando tuo figlio ha imparato a camminare o andare in bicicletta. Insomma, tutti ricordi che rimarrano per sempre legati a quel Paese che tu stai salutando.
Però una partenza porta con sé anche l’emozione e l’entusiasmo per una nuova avventura, la voglia di ricominciare da capo: una nuova casa, una nuova scuola con tanti amici da conoscere, un nuova realtà da scoprire. Gli aspetti positivi del cambiamento talvolta non sono immediati, ma arrivano col tempo.
Purtroppo, quando si arriva in un un nuovo paese si tende, inevitabilmente, a fare il confronto con la realtà precedente e quindi ci si ritrova spesso ad affermare cose come: “Ma dove vivevamo prima era più bello!”.
“Pensi che la scuola possa aiutarvi nel cambiamento? In che modo?”
Questa domanda mi ha spiazzata.
Confesso che non ho mai pensato alla scuola come supporto nel cambiamento anzi, ho sempre visto la scuola come una questione esterna dai nostri spostamenti di Paesi e realtà.
La scuola inglese, cambiando ogni anno insegnante e compagni di classe, aiuta i bambini ad essere flessibili e preparati al cambiamento e questo lo ritengo molto importante.
Forse potrebbe fare qualcosa di più… ma cosa?
Ho pensato ai miei bambini, a quello che si ricordano delle vecchie scuole che hanno frequentato, a ciò che li ha resi felici del vivere in quelle scuole, a ciò che li ha aiutati ad affrontare il cambiamento.
Sinceramente l’unica cosa che mi sono venuti a mente sono i ricordi.
Ho notato che i miei figli hanno bisogno di ricordi materiali ai quali rimanere ancorati quando affrontano il cambiamento.
Ho visto i miei figli entusiasti di entrare in una nuova scuola mostrando ai nuovi amichetti le loro vecchie fotografie di classe.
Li ho visti più sicuri nella nuova realtà dopo aver riguardato il dvd di un vecchio show di quando erano nella scuola precedente.
Li ho visti più entusiasti e determinati dopo aver ritrovato i loro vecchi certificati di merito.
Ecco, allora ho chiesto all’insegnante di creare dei momenti speciali in grado di generare ricordi speciali ai quali i miei bambini potranno aggrapparsi il giorno in cui dovremo salutare questo Paese e partire per una nuova avventura.
E voi, come aiutate i vostri figli nel cambiamento?
Come pensate che la scuola possa aiutarli?
Drusilla, Arabia Saudita
Te l’ho già detto, ti ammiro. Anche se, appena sposata, negli anni del terrorismo pensavo seriamente a espatriare, immagino non sia facile. Forse, dico forse, è più per gli adulti che per i bambini la difficoltà all’adattamento. Alla fine i bambini sono a casa là dove sono mamma e papà, il resto è marginale. In ogni caso, l’avere bambini che si adattano facilmente è straordinario e sicuramente è merito vostro. Complimenti alla scuola che si è dimostrata sensibile a questi problemi.
Mi interessa molto. Sono curioso di sapere come continua
Qualche spunto potrebbe essere qui:
http://www.telegraph.co.uk/education/expateducation/12154518/How-to-find-the-right-international-school-for-your-child.html
se notate, è la prima voce fra le domande.
Che bello l’interesse degli insegnanti! Secondo me in una scuola con molti bambini expat sono abituati…quella è la normalità e il bambino non si sente diverso. Nel caso di scuole dove ci sono tanti locali ci si può trovare di fronte alla domanda continua “e non ti manca l’Italia?”. Nel nostro caso, raccontare al nostro bambino la storia di quando io e mio marito siamo espatriati da bambini l’ha aiutato molto a capire che quella è la “normalità “. Salvo poi tornare in Italia e chiedere ai coetanei se hanno mai vissuto a Parigi anche loro!
E’ veramente notevole l’interesse degli insegnanti e la loro volontà di supportare i bambini espatriati, complimenti per l’iniziativa!
Io non ho nessun consiglio ma ho letto con piacere il tuo post, che mi ha fatto riflettere.
I ricordi emozionanti e piacevoli sono veramente importanti, finiscono per essere le nostre radici e ci incoraggiano a volare ancora!