Pensavo di essermi immunizzata. Voglio dire: dopo 10 anni di traslochi, cambiamenti ed esperienza, credevo di averci fatto il callo. E invece l’expat blues quando arriva, arriva. La vita da expat non fa per me! – finisco per dirmi. Di buono c’è che con l’esperienza ormai sai che è una fase: come arriva, poi se ne va. Quello che non ti aspettavi, che non mi aspettavo, in realtà, è che riuscisse a destabilizzarmi. Nel profondo. Togliendomi il sonno, le energie, ma soprattutto lucidità. E allora lasciatemi scrivere un post di sfogo, di quelli in cui batto i piedi e dico: ‘No, non voglio!’
Ecco i miei 5 motivi per cui la vita da expat oggi non fa per me:
1. Perché quello che intorno ai 30 anni ti sembrava un’avventura, una sfida, una delle infinite possibilità tra cui scegliere, ora ti pare un po’ un peso, una gabbia, un bivio che se è quello sbagliato dove vai? Che sì, bella la scoperta (ma dipende dove vai), nuovi amici (ma anche averne di fidati con cui confidarsi, incontrarsi, veder crescere i rispettivi figli proprio schifo non fa!), le sfide, ma anche un po’ di stabilità, di quiete, di approfondimento dei legami e delle radici, a questo punto, non sarebbe male. O un bar dove entrare , sorridere, salutare e ti chiedono: il solito? E poi mi manca una casa MIA, fisicamente anche. Certo la mia casa è dove sono i miei affetti, ma è da un po’ che ho realizzato che vorrei proprio un posto fisico, un rifugio, un nido, in cui tornare, in cui accatastare i ricordi e gli oggetti a cui tengo (che non son poi molti) per sentirmi, davvero, a casa. Oltretutto sogno un bagno mio e solo mio, realizzato secondo i miei desideri, ma questo lo so è soltanto una cosa accessoria…
2. I figli. Ci piace pensare che stiamo dando una grande opportunità ai nostri figli. E di certo in parte è così. Ma ci son dei giorni, e pure delle notti, in cui mi chiedo: ma davvero è così? Certo la possibilità di crescere bilingui, conoscere realtà diverse, la flessibilità e le esperienze sono un dono. Ma anche l’allontanarli dagli amici e dai legami familiari. Lo stress e le sfide a cui li sottoponiamo. Che poi non tutti frequentano scuole internazionali, e essere sempre gli stranieri, i nuovi, i diversi non è una sfida da poco. E loro – santi in questo- che rispondono con tanto entusiasmo e adattabilità. Ma quando ci diranno ‘Adesso basta!’ ? O magari non lo faranno mai, ma covando un disagio sottile che prima o poi esploderà… e magati appena potranno si fermeranno in un posto che non vorranno più lasciare . E poi anche per me, ogni volta, far da cuscinetto ai loro malumori, al loro bisogno di adattamento, agli inserimenti ecc diventa un lavoro a tempo pieno, e forse per questo non sono tagliata, sento il bisogno di ritagliarmi uno spazio (ma anche una stanza) di vita e progetti tutti miei. Credo che non sia egoismo, credo che sia anche un insegnamento anche per i nostri figli. L’importanza di prendersi cura (anche) di sé. Ho letto di recente un articolo che dice che dopo una certa età, grazie ai cambiamenti ormonali, la donna impara a amarsi di più, provare più piacere nella cura di sé che in quella degli altri e nel sacrificio, questo fa delle donne mature, persone più soddisfatte, equilibrate e serene. Amen.
3. Parliamo delle location. Certo che mi dici mi trasferisco a Barcellona, Londra, San Francisco, NY, Berlino (si nota che amo le grandi città?), l’entusiasmo di scoprire realtà così affascinanti e piene di vita controbilancia molti aspetti negativi e fa sembrare le inevitabili difficoltà quotidiane un piccolo prezzo da pagare, ma se finisci sempre in province smortine, magari realtà un po’ chiuse e manco tanto affascinanti, ma ‘ndo sta l’effettivo miglioramento della qualità della vita? Voglio dire: io ho tendenze pollyannesche (ve la ricordate pollyanna, quella che trovava sempre un lato positivo in tutto?), mi dicono che arredo pure i tunnel, quindi trovo o mi sforzo di trovare del positivo in ogni situazione e soprattutto esperienza, ma sono anche fermamente convinta che ciascuno di noi abbia dei posti che lo fanno sentire intimamente bene, e altri che trova più difficilii, comunque non corrispondenti a sé. Credo anche che la vita è una ed è nostro dovere cercare ciò che ci corrisponde…
4. Ecco: la qualità della vita. Ognuno ovviamente ha un suo personale rating di valori e preferenze. Io non credo che ci siano una qualità della vita standardizzata che si addica a chiunque. Per esempio nelle varie classifiche sulla qualità della vita che periodicamente vengono pubblicate le città che stanno ai primi posti spesso mi sembrano noiosissime. Ma il punto è: cosa rende la vostra vita qualitativamente migliore? Poter lavorare? Poter NON lavorare? Un luogo sicuro? Un luogo verde? Un luogo culturalmente vivace? Un luogo in cui potete stabilire legami sociali e integrarvi? Avere un aiuto domestico? Avere vicino amici e parenti? Viaggiare molto? Nel mio caso devo dire che spesso nei trasferimenti io ho dovuto sacrificarmi parecchio: lasciando più di un lavoro, ad esempio. Dovendomi far carico di tante incombenze pratiche per la famiglia, come quasi sempre accade alle donne che fanno questo tipo di scelta, non escluso la cura della casa, che tolgono spazio al lavoro, oltre che alle relazioni sociali e agli spazi personali. E’ vero che all’estero si guadagna di più, ma è anche vero che il costo della vita è ben superiore, quindi alla fine la bilancia a fine mese non è così diversa da quella di prima a essere onesti. La qualità della mia vita è davvero migliorata? Mh…. a ben pensarci credo di no, credo di essermi fatta carico di troppe cose io, accollandomi un sacco di rinunce che alla fin fine non servono davvero a nessuno, semplicemente perché sono cresciuta in un clima culturale e familiare in cui il sacrificio è visto come cosa positiva a prescindere, soprattutto al femminile. E ci son cascata. Detto questo non credo che la rinuncia sia obbligatoria per chi espatria, io sto imparando pian piano a mettere dei paletti, per la mia sanità mentale e dunque per il benessere di tutta la famiglia. Quindi, se volete un consiglio, stabilite quali sono i vostri limiti e paletti prima di prender la decisione: io sto cercando ora di farlo, ma indubbiamente se l’avessi fatto prima sarebbe stato meglio.
5. Expat wife. Se c’è una cosa che davvero non sopporto è questa espressione, figurarsi essere etichettata così. Anche perché, diciamocelo, chi te lo dice (e non chi lo dice di sé eh, che son due cose diverse) usa spesso un tono fastidioso, tra il canzonatorio e il finto invidioso, del genere: “oh, ma quanto vorrei essere pure io una expat wife!” Sottotitolo per non udenti: trastullarmi tra palestra, manicure, sciami di amiche e aperitivi come se non ci fosse un domani, il tutto gentilmente offerto dal marito che pare non lavorare all’estero, ma aver improvvisamente vinto al superenalotto. Carissimi, ma avete mai messo un piede al di fuori dell’Italia ? No, non intendo in un resort o in un club med, ma nel mondo reale, tra figli da curare, una famiglia da gestire, la casa, i traslochi, la mancanza delle amiche – tra parentesi all’estero spesso non sanno manco cos’è l’aperitivo-, la mancanza di nonni che diano una mano, molto spesso, quanto meno in Europa, la mancanza di aiuti domestici, perché non ovunque son così diffusi e a buon mercato come in Italia! Senza contare che, magari il lavoro che una faceva non è che le faceva schifo e non vedeva l’ora di perdere la sua indipendenza eh, anzi… Già non amo essere definita moglie (e non per mancanza di rispetto per mio marito o per il matrimonio in sé), ma semplicemnete perché la mia identità è ben più complessa e indipendente dallo stato anagrafico, figuriamoci expat wife, eddai!
(Disclaimer: ovviamente in questo post ho sottolineato i lati negativi, so che ce ne sono altri positivi, che per me in primis è tener la famiglia unita, ma anche la mia curiosità e veder posti sempre diversi. A parte ciò il post coincide con la nostra scelta di famiglia di trasferirci (di nuovo) in Svizzera, a Basel per l’esattezza. Quindi passatemi il momento di negatività, speriamo di trovar presto casa (di nuovo) e se qualcuno fosse in zona Basilea non esiti a farsi avanti!
Ciao Valentina,
Sono “solo” al terzo anno di Expat life, a Luanda (capitale dell’Angola, Africa) ma mi rivedo perfettamente in ciascuno dei punti! Il nostro primo figlio é in arrivo ma condivido le stesse tue preoccupazioni. La mia unica fortuna é rappresentata dal mio lavoro, che sono riuscita a mantenere e che mi ha permesso di togliermi qualche sassolino dalla scarpa ogni qualvolta mi dicevano la famosa frase “bella la vita da Expat wife!”.
Penso che per noi donne stia proprio qui la chiave di volta: il lavoro, un progetto che sia solo nostro, da far crescere e che ci dia soddisfazioni. Non scoraggiarti: dalle difficoltà possono nascere le migliori opportunità 😉
Adelina, Luanda
Ciao. Oggi mi sento esattamente così. All’ennesimo “quando inizierai a lavorare” detto da mia suocera (ci siamo trasferiti da soli 3 mesi, e siamo al terzo trasloco internazionale e io al secondo lavoro a tempo indeterminato che mollo per fare la expat wife… per dire) e vorrei tanto dirle: “no, nemmeno lo cerco questa volta un impiego, con due bambini piccoli e una casa da reggere e senza aiuti di alcuna sorta, nemmeno lo voglio cercare se dopo averlo ottenuto devo lasciarlo e ripartire da zero, in un altro Paese con un’altra lingua. Come dici tu, poi passa, ma oggi è così.
che bello spunto di riflessione Valentina! ne faccio tesoro per un eventuale futuro perchè ad oggi la mia situazione è diversa: io sono expat per scelta e lavoro, ed ero single quando sono arrivata qui, percio’ tante delle cose che racconti non le ho vissute; ma è sempre interessante sentire un altro punto di vista che non si conosce. So che Basel proprio non l’adori, pero’..bentornati 😉
Ciao Valentina, ho scoperto da poco questo blog, sto cominciando a conoscerlo da poco.
Il tuo punto di vista è quello che ha segnato il termine della mia esperienza da Expat e soprattutto è ciò che rispondo a coloro che mi chiedono: “Torneresti in Cina (o più in generale all’estero)?”. Ecco, la qualità della vita spesso si confonde con l’idea che andare all’estero significhi guadagnare un sacco di soldi, da cui qualità della vita altissima. Luogo comune e per di più sbagliato, sia perchè ormai credo che siano molto pochi gli Expats che fanno la vita da nababbi, secondo perchè molti confondono qualità di vita con tenore di vita. Si può avere un tenore di vita molto alto, ma con una qualità di vita modesta (sono d’accordo quando dici che spesso le città identificate come città con alta qualità della vita siano noiose).
Sicuramente prenderò in considerazione queste tue riflessioni per un post nella mia rubrica del blog.
A rileggerci presto!
Ciao Valentina! Io sono una fan delle amiche di fuso ma il tuo blog non l’ho mai letto e al momento sono in cerca di blog di gente che sta in Germania… forse sono impedita io, ma dove trovo il link per il tuo blog? Grazie!
[…] “5 motivi per cui la vita da expat non fa per me” del blog “Amiche di fuso” dal […]
Ciao Valentina, ho letto il tuo ultimo post sui dubbi di continuare
a essere “expat wife”. Chiaramente io ti parlo dal punto di vista del “marito” e
quindi del
“motivo” o meglio “iniziatore” della sfida di espatriare.
Dopo molti anni trascorsi in giro per il mondo a lavorare con moglie e figlio
piccolo stabili a casa in Italia, ci siamo accorti che non poteva molto funzionare
per una famiglia e abbiamo deciso di sfruttare una possibilita´ “stabile” all´estero e
forse questa e´la differenza che non ci accomuna. Ovvero che tu e la tua famiglia
siate amanti come noi dell´estero e delle possibilita´che qeusto offre rispetto
all´Italia, ma non siete o meglio non avete deciso di stabilirvi in un posto ben
preciso bensi´siete “Migranti”.
Io dal mio punto di vista posso dirti che da 2 anni siamo finalmente stabili qui a
Monaco e tutto quello che menzioni
(cerchio di amicizie “vere”, nido e posto tuo, qualita´della vita, etc..)
stiamo cercando di costruirlo. Certo non e´facile. Costa molta fatica.
La prima regola che ci siamo dati e´quella di imparare bene la lingua del posto
(per quanto possibile, visto che il bavarese e´un´altra lingua ancora,
anche se x ora ci limitiamo al Hochdeutsch)
e di non scegliere una scuola bilingue ma una tedesca per nostro figlio in modo
che anche lui potesse sentirsi completamente integrato o comunque percorrere
una strada unica nel senso dell´integrazione linguistica e anche culturale.
altra scelta e´stata quella di non abitare in citta´ma ad una ventina di km sulla
linea della metropolitana. qui riesco veramente a vedere la qualita´della vita che piace a noi (nostro figlio 5 anni puo´andare da solo o quasi all´asilo
o a giocare dal suo amico vicino a casa senza preoccupazioni, il contatto tra le persone esiste ancora e le stesse persone le si possono incontrare
durante le varie manifestazioni del paese. La possibilitä invece di essere tuttavia vicino a Monaco ci offre di poter
presenziare alle varie attivita´culturali che la citta´offre. Un giardino a casa non ci fa schifo e il fatto di poter prendere la bici per fare tutto
e per andare nel bosco ci piace.
Pe quanto riguarda amicizie o comunque persone su cui fare affidamento, noi non avendo nonni
su cui contare, abbiamo stretto amicizia per prima cosa coi vicini di casa cercando di partecipare
al pomeriggio anche ad attivita´durante le quali per esempio con le altre mamme (tedesche o no),
mia moglie possa avere la possibilita´di interagirsi e creare legami.Ora ti posso dire
che a distanza di due anni, mia moglie che non sapeva una parola di tedesco e che ora parlicchia
andra´ad una festa di carnevale insieme ad altre due mamme-amiche tedesche con le quali e´riuscita
ad allacciare un rapporto.
Certo il fatto che tuo marito abbia un lavoro che non gli permette di mettere radici
in nessun luogo del mondo non facilita assolutamente anzi ribalta totalmente le carte in tavola…
anche per me che ho viaggiato molto mi risulta molto difficile ora stazionare in un ufficio routinante,
ma ho cercato di trovare un lavoro che mi affascinasse e di far valere anche il mio plus
di conoscenza della lingua italiana.anche mia moglie a breve cerchera´di trovare qualcosa forse anche nell´ambito del volontariato
avendo dovuto lasciare il suo lavoro di psicologa in Italia dopo 13 anni.E la capisco, come capisco te, avete voglia di fare qualcosa di bello e interessante
e vi ammiro perche´gia´il lavoro di casa e´veramente molto se sommato anche a quello di mamma!
a presto m.
Post molto interessante.
Effettivamente, a leggere tutte queste storie di vite da expat si tende a farsi l’idea che siano mondi di opportunità, per i figli (linguistiche, scolastiche, relazionali, di apertura mentale, etc.), per i mariti (che fanno lavori interessantissimi e super pagati), per le donne (che realizzano un progetto familiare, che crescono una famiglia internazionale, che vivono esperienze arricchenti, etc) ma poi, forse, a guardare bene dentro alle cose, non è così.
Sono realtà in cui molto si guadagna ma altrettanto si spende, fosse solo perché ogni tanto in Italia si ritorna, e non è mai gratis.
In cui i bambini sono anche piccole meteore senza radici, in cui il livello scolastico non è necessariamente così elevato (perché se in una normale scuola pubblica italiana in una classe di 25 bambini la metà sono stranieri – leggasi immigrati – allora è un problema perché i programmi e le lezioni vengono rallentati da questi bimbi che non conoscono la lingua, le tradizioni, etc… mentre quando la stessa cosa avviene in una lussuossima scuola internazionale nessuno si preoccupa più di programmi, rallentamenti nell’apprendimento, ritmo delle lezioni, ma è tutto un fiorire di apprezzamenti per i diversi colori della pelle, multiculturalismo, lingue che si incontrano e si apprendono, feste delle nazionalità, etc? Un bimbo bilingue è tale sia nella versione italiano- inglese sia nella versione italiano-rumeno).
In cui le donne spesso fanno solo le casalinghe, ed è un lavoro bello e buono, a dover seguire la famiglia in mezzo alle difficoltà di doversi destreggiare in burocrazie, sistemi scolastici, sanitari, alimentari, etc. diversi da quello a cui si era abituati. Però finisce lì, al massimo qualche blog da curare o playdate da organizzare.
Questo è il motivo per cui, per valutare un cambio di tal portata, vorrei avere qualcosa di più in cambio (e al momento, purtroppo, non l’ho ancora trovato, se no farei la scelta perché comunque il bello di visitare e vivere una località non da turista è innegabile).
Ritornata a Austin (TX) da tre giorni e mi sento proprio come te 🙁
Ciao Valentina, sono approdata al tuo blog in un momento di crisi… expat da 5 anni a San Francisco, passo voluto da entrambi me e mio marito con la speranza di offrire a lui una carriera migliore e ai nostri figli nuove opportunità. Ecco già dopo il secondo anno (passata la fase di adattamento ed entusiasmo) ho iniziato a sentire un vuoto devastante. Ho un lavoretto e qualche amica, ma le giornate sono lunghe, solitarie e silenziose. Mio marito sembra non voler capire fino in fondo come mi sento ed è doloroso… mi dicono tutti di tenere duro, che tra poco avremo finalmente questa cittadinanza e potremo avvicinarci all’Italia, ma io non credo di resistere più nemmeno sei mesi e poi penso che dovrò ricominciare tutto da capo, probabilmente in Germania, più vicino a casa, vero, ma comunque in un altro paese… io che ora vorrei solo stare vicino ai miei e alle mie amiche di sempre, mi sento demoralizzata e devastata… ho scelto anche io di partire ma vedo che la mia vita e i miei bisogni di socializzazione e realizzazione personale sono ormai messi da parte. Mi sento molto stanca e paradossalmente senza prospettive…