Come la maggior parte di noi Amiche di Fuso (e delle expat in generale), io sono emigrante per amore. Nel mio caso, non ho seguito il mio uomo, ma l’ho raggiunto. Noi siamo una coppia mista, mio marito è australiano e ha sempre vissuto in Australia (a parte alcuni periodi di studio all’estero, incluso quello che ci ha fatto conoscere in Francia), dove io l’ho raggiunto una volta terminati gli studi. Nel nostro caso la decisione di andare a vivere all’estero non è stata una scelta di coppia in cui abbiamo valutato l’interesse della famiglia, i possibili vantaggi contro i probabili sfavori, ecc. No, per noi, la situazione era da un lato più semplice e dall’altro più difficile: io vivevo in Italia, lui in Australia, io mi ero già laureata mentre lui stava ancora studiando. Eravamo poco più che ventenni ed impegnati in una relazione a distanza ormai da anni. Qualcosa doveva cambiare o, probabilmente, ci saremmo lasciati. Considerando la situazione economica dell’Italia e dell’Europa ed il fatto che lui avesse ancora un anno di università davanti, la decisione più logica ci sembrò che io mi trasferissi in Australia. Per essere onesta, lui non me l’ha mai chiesto. Non mi ha mai chiesto di lasciare il mio paese, la mia famiglia ed i miei amici per trasferirmi dall’altro capo del mondo per lui. È una decisione che ho preso io vista la situazione in cui ci trovavamo. Ovviamente con il suo benestare.
Nonostante lui non mi abbia chiesto di prendere quella decisione, si è subito comunque le conseguenze. Positive e negative. Quelle positive mi sembrano ovvie, dato che viviamo felicemente insieme da più di 4 anni ed a maggio siamo convolati a nozze. Quelle negative sono invece più insidiose perché non sono assolutamente ovvie, ed è un qualcosa di cui non si parla poi così tanto. Quando si parla di espatrio infatti, si tende quasi sempre a sottolineare i sacrifici fatti da chi parte, la sofferenza di vivere lontano dai propri cari e la difficoltà di adattarsi in un paese nuovo. Quello di cui non si parla invece, è della pressione, di quella responsabilità che grava sulle spalle della persona per cui chi espatria lascia tutto.
Non deve essere facile vivere con un simile peso: anche se non è stato lui a chiedermelo, anche se io sono estremamente felice della mia scelta, non deve comunque essere facile.
Lui ovviamente non si lamenta né dice niente, ma lo vedo nei suoi occhi quando io ho qualche giornata giù, quando ho nostalgia di casa o quando devo assistere dallo schermo di un computer ad un evento per cui avrei tanto voluto esserci di persona. Vedo che soffre per questa mia sofferenza. Perché la nostra non è una relazione equa da questo punto di vista: non affrontiamo gli stessi problemi e le stesse tristezze, non viviamo allo stesso modo i rapporti con le nostre famiglie di origine, e la parola “casa” ha per ognuno di noi un significato diverso.
È ovvio che io, come tante altre expat, ho fatto questa scelta per e con amore e sono felice di essere espatriata per seguire il mio sogno di una vita a due. Ci sono stati però momenti, all’inizio della nostra relazione di coppia stabile in Australia, in cui questa pressione su di lui ha pesato tanto. Quando mi sentivo sola o non riuscivo a fare nuove amicizie, quando sentivo tremendamente la mancanza della mia famiglia. Quando tornavo a casa ogni giorno umiliata da un lavoro che odiavo. Lui si è spesso sentito in colpa. Allo stesso modo di molti mariti e compagni (ma anche mogli e fidanzate) che scelgono di accettare un lavoro all’estero e di spostare l’intera famiglia per una vita migliore o maggiori possibilità lavorative.
I nostri uomini forse ci chiedono molto, per loro facciamo molti sacrifici e spesso questo è tutto quello che riusciamo a vedere. Ma nella realtà il nostro Lui, l’uomo per cui abbiamo lasciato tutto e tutti e per cui ci trasferiamo a 20.000 chilometri da quella che era la nostra vita, spesso è proprio lui a soffrire di più per questa nostra sofferenza. Ma questo peso, questa responsabilità che lui porta sulle spalle, molto spesso viene nascosta, ignorata o semplicemente offuscata dal nostro sacrificio, che noi percepiamo come maggiore.
E allora con questo post voglio rendere omaggio al mio ed a tutti i nostri uomini, mariti e compagni. A voi che ci avete portato dall’altro capo del mondo (o anche semplicemente oltre confine), a voi che ci avete costretto a imparare una lingua nuova, che ci avete chiesto di separarci dalla nostra famiglia e dai nostri amici. A voi che ci avete permesso di girare il mondo, che ci avete dato l’enorme possibilità di crescere e maturare, e che ci avete fatto il regalo di sentirci cittadine del mondo. Grazie per questa possibilità di vita!
Claudia, Australia
Claudia ha collaborato con Amiche di Fuso da dicembre 2014 a novembre 2019.
Potete leggere Claudia qui
Un post stupendo e VERO, Claudia!
Grazie mille 🙂
Bel post !
Tra 12 gioni mi trasferisco in UK con mio marito egiziano ed io italiana. Dopo 1 anno e 7 mesi di vita in Italia senza uno straccio di lavoro ci siamo trovati costretti a questa scelta, molto pensata ed un po’ sofferta da parte mia ,ma contenti di intraprenderla!
In bocca al lupo e facci sapere come va!!!
Crepi!!
Sicuri
Il mio ragazzo non sarebbe mai venuto in Italia (e a me non manca proprio il paesello da dove vengo) e quindi ho dovuto scegliere di rimanere in Austria. Noto, però, quando io ho degli attacchi di nostalgia, anche lui ci sta male. E’ il rovescio della medaglia, purtroppo. Ne abbiamo parlato apertamente ma cerco di non fargli pesare questo fardello ancora di più.
Esattamente, è l’altra faccia delle stessa esperienza. Tanto di cappello a voi per averne parlato. Noi non l’abbiamo mai fatto e penso che questo sia un po’ alla base del problema. Claudia
Parole verissime, concordo pienamente. Io e mio marito G abbiamo vissuto questa situazione varie volte: prima nei vari spostamenti in Italia ero io che lo seguivo e dovevo ogni volta rimettermi in gioco come moglie ed arrabattarmi come libera professionista. Certo, farlo in Italia è più facile, ma alcune dinamiche rimangono comunque le stesse.
Ora, con il grande salto down under, sono stata io la locomotiva che ha spronato tutta la banda in cerca di nuove soddisfazioni professionali ed i momenti di fatica non sono mancati.
Credo che la chiave possa essere il dialogo, la sincerità e fare sempre squadra, per supportarsi e volare lontano!
Sicuramente parlarne può alleviare quel senso di responsabilità ed evitare recriminazioni in futuro. Sono sicura che il marito è ben contento della nuova vita a Perth, no?
Tutto sommato direi di si…sta anche imparando a fare kite 😉
E allora! 🙂
È un post molto vero, quando uno dei due si sposta “per” l’altro, si possono innescare dinamiche di colpevolizzazione da entrambe le parti. Come dice Mammarch, la forza per affrontare questi momenti si deve trovare nel dialogo e nell’affiatamento della coppia…tenersi tutto dentro non aiuta e anzi può essere espresso nel modo sbagliato in un momento di down, creando solo rancore. 🙂
E’ vero, bisogna avere la maturità di riconoscere che entrambi nella coppia subiscono le conseguenze di quest’espatrio, chi in un modo e chi nell’altro!
Post molto bello e molto giusto!
Io questa situazione l’ho vissuta e io e Moroso abbiamo finito per scegliere la distanza. Che e’ pesante, ma non avrei potuto sopportare che lui fosse infelice per causa mia, e che io fossi infelice per causa sua (nel mio caso era diverso, era lo stare in Italia dove non avevo possibilita’ a randermi infelice, quindi espatriare e’ stato il mezzo per realizzarmi professionalmente e come persona).
La cosa che il mio io femminista mi impone di notare e’ che, leggendo tanti blog, vedo come sono sempre le donne a seguire gli uomini. Il che in tanti casi, come il tuo, e’ frutto di una scelta logica che alla fine ha portato entrambi ad avere una bella carriera. Ma, come dicevo in un mio post qualche anno fa, sarebbe bello sentire un uomo che dice “amore, se il tuo super-lavoro ti porta all’estero, io mi licenzio, ti seguo e sto a casa con i bimbi”.
Se ne sentite uno fategli scrivere un post che sarebbe bello 🙂
Dopo tanti anni di distanza so bene di quello che parli! Sicuramente non è facile, ma se le necessità lo richiedono, è un sacrificio che può tenere in piedi la coppia!
Molto spesso sono gli uomini che partono e si portano dietro la famiglia, e al momento non conosco di casi opposti (se non quello di Mammarch), ma sarebbe sicuramente bello sentire anche il punto di vista di questi uomini!
Potrei convincere il mio Pescatore a scrivere un articolo, ma dubito che accetterebbe (per la voglia, più che altro). A quanto pare, infatti, sono tante le donne che seguono (o raggiungono) i compagni; nel mio caso, invece, è stato il Pescatore a seguire me. Non che io avessi un super lavoro, ma quello è stato uno dei motivi che mi hanno portato un po’ in giro per il mondo, quasi sempre con lui al seguito. In ogni espatrio è stato lui a rinunciare a più cose e io mi sono sempre sentita in colpa. Almeno l’ultimo espatrio a Minorca è stato cercato e voluto da entrambi, ma i momenti difficili ci sono eccome. E se un giorno lo vedo triste e so che sente la mancanza della sua famiglia e amici, sto male anche io. E’ inevitabile.
Giupy, comunque io ne ho trovato uno, infatti ha sempre detto: “se tu lavori tutto l’anno e lo stipendio basta, non ti preoccupare, sto io a casa con i bimbi”. Vediamo se le cose staranno davvero così da qui a qualche anno. 😉
Bellissimo questo post! e’ un punto di vista a cui non avevo pensato molto ma credo che tu abbia pienamente ragione!!!
Ciao Claudia, ho letto con molto interesse il tuo articolo e mi sono rivista tantissimo nelle tue descrizioni.
In realtà sono in un momento un po’ difficile della mia vita e sto consultando tutti i forum possibili e immaginabili per cercare di trovare una risposta. Avere l’illuminazione su cosa fare!!
Io abito da 8 anni in Giappone, inizialmente come studentessa di giapponese e da 5 anni come insegnante di italiano. Da 4 anni sto con un ragazzo giapponese, ma ci conosciamo da 8 (la stessa durata dei miei sentimenti per lui). 2 anni fa ho cominciato a sentirmi insofferente a causa della lontananza dalla mia famiglia, perciò ho espresso il desiderio di convivere in modo da sentirmi meno sola. Lui però non si sentiva ancora pronto e usando la scusa di non voler lasciare sua madre da sola, è stato molto critico e negativo sulla scelta della convivenza. Dopo questa vera e propria crisi nel nostro rapporto, dentro di me c’è stato come un crack silenzioso che si è fatto più profondo man mano passava il tempo. I dubbi hanno cominciato ad assalirmi e ho cominciato a pensare seriamente di tornare in Italia una volta per tutte. Perché in fondo io amo il Giappone, amo la lingua, la cultura, ho anche un lavoro (anche se non mi soddisfa più di tanto), però a parte il mio ragazzo, io non ho nessuno qui. E farsi degli amici in Giappone è estremamente difficile.
Comunque sia, il mio ragazzo, vista la spia d’allarme del mio possibile rimpatrio, per non perdermi ha trovato il coraggio e la voglia di convivere. È diventato più positivo e si è aperto molto di più, cercandomi anche più spesso nell’ultimo periodo. Io però a questo punto sono molto combattuta, perché sono innamorata di lui e so che se non proviamo ora a vivere insieme probabilmente non lo faremo mai; dall’altra parte però ormai ero dell’idea di tornare in Italia e riprendere una una vita sociale con amici e parenti e abbandonare quest’idea mi fa star male. Il mio ideale di vita sarebbe che lui mi seguisse in Italia, ma non può perché ha la madre anziana e non potrebbe lasciarla qui da sola, oltre al fatto che ha già un buon lavoro.
Poi ho letto il tuo articolo e mi sono resa conto che effettivamente anche per lui deve essere straziante questa situazione, più di quanto non lo dia a vedere… E questo circolo vizioso di sensi di colpa e indecisione crea un’atmosfera in cui sembra impossibile fare una scelta razionale.
Tu che hai più esperienza di me, avresti qualche consiglio da darmi? Sono davvero disperata…
E scusa per il pippone!!!