Dimmi cosa indossi e ti dirò chi sei. Sono molti che ritengono che il contenuto dell’armadio di una persona possa dirci molto di lei. L’altro giorno mentre mettevo banalmente via il bucato ho realizzato improvvisamente che così a colpo d’occhio i vestiti hanno cambiato la loro proporzione numerica: quelli comprati qui credo che ora superino quelli portati dall’Italia.
Premettiamo che in pratica quando sono venuta, visto che ancora non abbiamo fatto una spedizione di massa di vestiti e varie ed eventuali con il container, ho avuto modo di portarmi solo due valige, dentro alle quali ovviamente avevano dovuto trovare posto non solo abiti, ma anche libri, piccoli oggetti utili e qualche ricordo. In più, non sapendo quando rientrerò la prossima volta, non posso per ora contare su “me lo porto dal prossimo rientro in Italia”.
Certo noi non siamo le magliette che indossiamo e sicuramente gioca anche il fattore “I love shopping” però, nel nuovo assetto del mio guardaroba, ci vedo anche un poco del cambiamento in me e della mia vita di questi ultimi due anni. Perché lo shock per tutto ciò che è diverso quando si arriva è evidente così come l’incontro/scontro con culture e modi di pensare. Non parlo solo delle idee, ma anche proprio di come vengono esposte. Ricordate per esempio cosa vi avevo raccontato a riguardo in questo post? Ci sono tanti piccoli cambiamenti nella vita quotidiana a cui ti devi abituare all’inizio con fatica, ma poi poco alla volta diventano così naturali che neanche te ne accorgi più. Altre volte invece ti crei un sistema tuo che non è né quello vecchio né quello nuovo.
Come vi dicevo, la mia riflessione era partita dall’armadio che devo dire sta iniziando a brulicare di colori: le t-shirt e le maglie blu e nere iniziano a stare in un cantuccio invece di creare un “buco nero” che fagocita tutto. Certo, alcuni pezzi non possono mancare. Per chi come la sottoscritta vive 363 giorni l’anno in jeans-tshirt-sneakers, una polo nera che va con tutto è un must have così come il tubino nero di Audrey Hepburn, peró largo spazio a colori e fantasie che prima non avrei mai osato. Ma quando ti senti più allegra non ti viene voglia di mostrarlo solo con il sorriso sulle labbra, ma anche con quello che indossi.
Ma questo è un cambiamento forse più interiore che si riflette su come ci poniamo e ci presentiamo agli altri. Spesso invece, intervengono cambiamenti in piccole abitudini quotidiane a cui si fa più o meno fatica ad adattarsi e che un giorno finisci per adottare senza nemmeno rendertene più conto.
Ad esempio una cosa che mi ha mandata in crisi sono le misure: rivoglio il mio sistema metrico-decimale!!!! Per queste cose sono di mente pigrissima e dover fare conversioni per ogni cosa è un dramma. Di questo ne godono i camerieri perché, a meno che non siano veramente tremendi, con me prenderanno sempre il massimo delle mance. Con il 20%, aggiungi 2$ ogni 10 e la risolvi.
In macchina il limite lo rispetto perché, insomma, basta che con il tachimetro non superi mai la velocità indicata (ovviamente un’idea dell’ordine di grandezza ce l’ho, ma non chiedetemi se 40mph corrispondono a 62 o 65 kmh), il che però vuol dire anche che non capisco mai quanto è distante un posto e così di solito non ragiono più per distanze, ma per tempi di percorrenza.
A casa l’aria condizionata sta a 75F inverno e estate, la temperatura di compromesso che a quanto pare fa stare confortevole sia il marito freddoloso sia me che non sopporto l’aria calda del riscaldamento. Credo siano 22C, ma non ho mai indagato perché quando ci regolavamo facendo le conversioni si discuteva sempre dato che uno aveva caldo o l’altro freddo: 75F pare essere un numero magico che mette d’accordo tutta la famiglia!
Anche la cucina è un dramma: se la prendi da un ricettario americano vai di cup, se la prendi da quello italiano usi la bilancia impostata sui kg. La tragedia avviene quando un’amica americana ti chiede una ricetta italiana o viceversa. Per la spesa ormai carne, affettati e formaggi freschi si comprano solo a dosi che prevedano il pound o al massimo l’aggiunta di un 1/4 o 1/2 pound. Ovviamente all’inizio ci sono state volte in cui ci siamo ritrovati con quantità di macinato che hanno di fatto dato luogo a 3 polpette in due o a dover mangiare prosciutto crudo in due per 3 giorni di fila.
Le giornate hanno ritmi diversi, i primi tempi passi di fronte ai ristoranti che hanno l’ora di punta tra le 17.30 e le 18.30 e ti chiedi come facciano. Ti abitui a mangiare nei locali semideserti alle 20 e poi ti accorgi che un giorno, sapendolo sulla strada dall’ufficio a casa, chiami tuo marito alle 18 e gli dici: “Ho giá l’acqua che bolle, butto?”
E poi infine il piacere di andare al cinema o guardare la televisione senza fatica. All’inizio andare al cinema era quasi un impegno, perché non é mica come guardarsi un film in lingua originale comodamente a casa dove se ti distrai un attimo o non capisci la battuta puoi tornare indietro e risentirla, aggiungere i sottotitoli o dare di gomito al marito addormentato che guarda a fianco a te e chiedere “ma che hanno detto?”. Poco alla volta invece è tornato ad essere un piacere, più che un esercizio linguistico. Per la televisione è simile, ma onestamente io sono pigra ed i sottotitoli ancora non li ho tolti. Ma a dire il vero non capisco se è, come dicevo, pigrizia o più una sorta di salvagente da cui non riesco a staccarmi. Perché ogni tanto mi accorgo che magari faccio altro e riesco comunque a seguire anche senza vedere. Ricordo ancora quando parlando con Claudia mi diceva che sarebbe arrivato il giorno in cui ad un certo punto avrei realizzato, come una magia, che riuscivo a comprendere la tv o i dialoghi e le canzoni anche solo sentendo senza ascoltare. Quando me lo diceva mi sentivo così imbranata che dubitavo mi sarebbe mai successo e invece….mai perdere la speranza!
E voi con quali piccole realtá vi siete dovute scontrare o siete scese a patti?
Valentina, Texas
Valentina ha collaborato con Amiche di Fuso da febbraio 2014 a settembre 2015, potete continuare a seguirla sul suo blog Parole Sparse dove racconta le sue avventure in Texas.
Grazie del resoconto, tutte cose verissime, specialmente in tema di orari, quando ti accorgi che alle 12 ed alle 18 un certo languorino ti sta arrivando!
Per quanto riguarda le unità di misure, per fortuna qui in Australia si usa il sistema metrico italiano, altrimenti io architetto ed il marito ingegnere ce la saremmo vista ancora più brutta. Già così fatico a capire il mio capo che mi parla in millimetri e per dire 2,4 metri, non dice 2400 mm ovvero 2 thousand – 4 hundred, ma dice 24 hundred ed il mio cervello va in trip!!!
Noi però noi aggiungiamo la difficoltà della guida a sinistra…insomma una bella sfida di adattamento 😉
Ah, ovviamente se io invece gli dico two point four meters…non mi capisce, sob!
Ps: il sistema metrico è quello internazionale, non italiano, ops
certo che deve essere difficile all’inizio ma credo che ora che sei li da un po’ sia anche incredibilmente interessante, ed e’ un’esperienza bellissima!
Cavoli, non avevo neanche pensato a queste piccole grandi difficoltà. Sei stat davvero in gamba!!!
Si anch’io ho un rifiuto innato per le misure inglesi: inch, pounds, miles ecc mi fanno letteralmente impazzire anche dopo sei anni di permanenza in suolo britannico. Uso ancora i sottotitoli e non me ne vergogno… 🙂
Mi piace tanto come stai prendendo con calma il cambiamento. Un po’ per volta, come viene.