Vivere all'estero

Immigrata? Emigrata? No, Expat!

expat - Amiche di fuso
Written by Amiche di fuso

Da tempo “nel mondo expat“ c’é in corso un dibattito su chi realmente si possa definire expat e chi no. L’idea che si é fatta la sottoscritta é, in generale, che se una volta quando gli “expat“ erano meno (o erano solo meno social?) facesse figo distinguersi dagli altri, ora per uscire dal gruppo fa figo dire “io non mi definisco expat”. La diatriba si basa poi su una questione puramente di forma; chi é contrario si rifà all’uso nel linguaggio inglese che inquadra gli expat in una ben specifica categoria di lavoratori che vanno a lavorare oltre confine, mentre molti si rifanno alla radice latina originale della parola che indica chi vive lontano dalla propria patria. Personalmente mi riconosco in questa definizione, ma voglio spiegarvi perché non riesco invece a riconoscermi né in quella di immigrato né in quella di emigrato. Sicuramente il mio é un punto di vista molto soggettivo e magari anche un poco presuntuoso visto che non tiene conto delle definizioni, ma solo del mio sentire e delle mie percezioni.

 

Immigrato ed emigrato, anche se indicano la stessa persona ovviamente, a mio modo di vedere sono le due facce di una stessa medaglia, ma come succede appunto sulle monete anche se ogni faccia ci permette di identificare precisamente a quale moneta si fa riferimento, sono molto diverse fra loro.

Prima di venire qui in USA non avevo mai pensato a questa cosa e anche quando leggevo notizie di cronaca sui giornali italiani, che spesso parlano sia di immigrati che di emigranti, non mi sono mai soffermata sulla cosa. Poi quando meno te lo aspetti qualcuno ti fa notare la cosa. Qualche settimana dopo aver iniziato il college chiacchieravo con una professoressa che mi chiedeva com’era immigrare in un paese e io senza neanche pensarci le ho detto che non mi sentivo per nulla immigrata e lei ridendo mi ha detto é vero tu ti senti emigrata. Lí per lí le ho detto di sì che io ero emigrata, ma poi ho iniziato a riflettere e non mi sono sentita di riconoscermi neppure in quella definizione.

Partiamo dalle origini e dal perché non mi sento emigrante (anche se il significato é pressoché identico alla parola expat) per arrivare al perché non mi sento un’immigrata. Lo ammetto, sicuramente é colpa anche di un retaggio culturale, ma sono sempre stata abituata a vedere gli emigrati come persone che lasciavano la propria terra, non necessariamente la propria nazione perché sappiamo bene che anche all’interno della Penisola abbiamo avuto questi fenomeni, per necessitá e non per scelta. Spesso lasciandosi tutto alle spalle e partendo con una valigia di cartone e quattro cose dentro, non come gli expat di oggi che spesso viaggiano leggeri per scelta di vita o per contenere i costi, ma perché erano veramente  pochi gli  abiti e i ricordi posseduti. Oggi sono pochi quelli che emigrano per necessitá, quando parlo di necessitá non mi riferisco alla sacrosanta voglia di veder magari riconosciuti i propri meriti e competenze professionali, ma parlo del fatto che l’alternativa era la fame, ma quella di cui si muore veramente. Una volta partire voleva dire spesso non sapere se e quando si sarebbe tornati a casa. Certo non tutti gli exapt/emigrati anche oggi hanno la possibilitá di rientrare spesso, a volte passano mesi e anche anni, ma rispetto a una volta ci si puó vedere volendo ogni giorno, si condividono emozioni “in diretta“ mandando una foto sul cellulare. Certo non é come essere vicini , ma vuoi mettere la differenza tra fare invio e ricevere dopo due secondi uno 🙂 in risposta rispetto ad infilare una foto in una busta e vederla recapitare dopo un mese e aspettare la risposta che ci metteva altrettanto. Per fortuna degli expat di oggi un programma come “Carramba che sorpresa“ non avrebbe lo stesso appeal (magari I Carramba boys, sí peró “:D )

Questo solo riguardo a quello che ci si lasciava alle spalle, ma anche la nuova vita mica era tanto facile. Noi spesso bofonchiamo sulle difficoltá che incontriamo, ma non oso immaginare quanto difficile fosse doverlo fare anni fa quando pochi, ,parlavano inglese. Spesso erano persone di poca cultura che non erano mai state poco piú lontane dal loro paese, né avevano avuto strumenti reali per informarsi sul nuovo paese che li “accoglieva“. E le virgolette sono volute perché una volta non é che sempre fossero felici di accogliere gli italiani in giro per il mondo (e aggiungo qui che forse, in patria, questa cosa dovremmo ricordarla piú spesso).

Questo porta anche al motivo per cui non mi sento un’immigrata. Chi immigrava per i motivi che dicevo sopra era portato spesso per volontá o necessitá a tagliare i rapporti se non affettivi, ma culturali con il proprio paese per potersi mescolare quanto prima con la popolazione locale. Poco alla volta si passava dalla propria lingua nativa a quella nuova, non si ricevevano piú, o sicuramente erano piú frammentarie che non ora, notizie dalla propria patria sia di cronaca, che politiche o sociali. Le tradizioni di una vita si mescolavano a quelle nuove creandone a volte alcune che non appartenevano né alla propria tradizione né a quella acquisita.

Forse per chi si trasferisce perché sposa una persona del posto é un poco diverso perché come sempre avviene le tradizioni famigliari si fondono. Per chi invece come noi si trasferisce senza avere legami dove arriva, oggi é immensamente piú facile mantenere viva la propria cultura e tradizione, dal tenersi informato su quanto avviene “a casa“, sia essa l’ultima crisi del governo piuttosto che la finale di Sanremo, al reperire gli ingredienti per replicare un piatto per il pranzo della domenica. Ovviamente é importante cercare di integrarsi il piú possibile con la nuova cultura con cui si é a contatto quotidianamente, ma questo non impone piú delle scelte esclusive.

 Questa situazione mi sembra quindi che sia ben descritta dalla parola expat intendendo chi si reca lontano dalla propria patria per una sua scelta e non per una necessitá come per l’emigrato. Non è però solo un problema di sottigliezze linguistiche, anche perché la lingua non é morta e adegua quindi anche i significati agli usi che ne vengono fatti. E’ proprio una condizione che ritrovo ben descritta nel racconto diretto o letto tramite i blog di molti connazionali all’estero sia che essi si definiscano expat o meno.

Valentina, Texas.

Valentina ha collaborato con Amiche di Fuso da febbraio 2014 a settembre 2015, potete continuare a seguirla sul suo blog Parole Sparse dove racconta le sue avventure in Texas. 

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Amiche di fuso

Amiche di fuso è un progetto editoriale nato per dare voce alle storie di diverse donne, e non solo, alle prese con la vita all'estero. Vengono messi in luce gli aspetti pratici, reali ed emotivi che questa esperienza comporta e nei quali è facile identificarsi. I comuni denominatori sono la curiosità, l'amicizia e l'appoggio reciproco.

11 Comments

  • Assolutamente d’accordo! Anche io non riesco a vedermi come un’immigrata/emigrata. Benché tecnicamente corretti, è difficile dare una connotazione positiva a questi termini nel contesto storico attuale. L’espatrio per me è stata una scelta motivata da curiosità e interesse, non dalla necessità per sopravvivere. E purtroppo questo è quello che la parola “immigrato” oggigiorno suggerisce…

    • Esatto come dici tu sono sicuramente tecnicamente corretti, ma hanno una connotazione storica nella quale non mi riconosco

  • tema interessante! solo una cosa non ho capito: quand’è che la lingua italiana è cambiata? e perchè nessuno mi ha avvisata? =D cioè, il termine “emigrante” significava -e io pensavo significasse ancora- una persona che va a vivere in un altro Paese. Percio’ chi è emigrante è per forza anche immigrante per le persone di quel Paese!! Sono due facce della stessa medaglia viste da due punti di vista differenti. Quindi io -da vocabolario italiano- per gli Svizzeri sono e saro’ sempre un’immigrante. Non è che le definizioni si possono scegliere a nostro piacimento.
    Il termine expat, preso dalla cultura inglese, non significa né emigrant né immigrant, ma sta a indicare chi per lavoro viene mandato dalla propria azienda in un altro Paese e continua a lavorare per le stessa azienda con un contratto particolare. Quindi tecnicamente io NON sono una expat.
    Poi ognuno si sceglie la definizione che vuole sul web e quasi tutti amano expat perché fa piu’ figo di emigrante (che ricorda un po’ i nostri nonni), ma tante gente che c’è in giro per il mondo oggi è semplicemente emigrante.
    Ciao Gio

    • Ciao se hai letto attentamente abbiamo detto la stessa cosa usando l’immagine pressoché identica di moneta e medaglia. Per il resto non ho inventato nessuna definizione semplicemente intendo la parola expat dalla sua origine latina e non da quella dell’uso che se ne fa nella lingua inglese. Preferisco expat proprio perché ;a parole emigrante é associata a un fenomeno sociale di emigrazione che ha basi sociali, culturali ed economiche nelle quali non riconosco la mia situazione.

  • scusa, intendevo solo dire che non puoi scegliere se sentirti un’immigrata o no perché per gli americani di fatto lo sei. Poi, per il resto, che tu scelga di essere emigrante o expat, fa lo stesso immagino 😉

    • Legalmente e tecnicamente certo, ma spesso emotivamente sei una via di mezzo, dove il tuo amore per per il paese di origine rimane immutato e aumenta ogni giorno quello per il tuo nuovo paese, per cui diventa difficile dire cosa sei a titolo personale

  • Sono tornata a rileggere questo post ed avevo letto altre discussioni online sul tema. Io dovrei definirmi una “professionista internazionale” o qualcosa di simile che ora non ricordo perfettamente. Sostanzialmente è vero che sono emigrata per scelta e non per obbligo e che per gli Australiani sono comunque un’immigrata anche se con Permanent Resident Visa. Dopo questo mese di vita downunder mi sono resa conto che mi definisco semplicemente “un’italiana in Australia” e per ora mi va benissimo così (ed è la cosa più importante)…poi chissà!

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