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Donne expat in arte Madri – Il Progetto fotografico di Marina Cavazza e Egle Kackute

Written by Amiche di fuso

La prima volta che ho incontrato Marina, a cena a casa mia perché i nostri mariti erano colleghi di lavoro a Ginevra, ho pensato che fosse una donna molto interessante, ma anche molto ombrosa, dal tono di voce secco e dalle parole lapidarie.

Era una sera di sei anni fa, non ero ancora diventata madre e non avevo la minima idea di trovarmi davanti una donna che quella sera alle nove mi stava facendo la cortesia di essersi sistemata e di aver attraversato la città per venire a mangiare a casa di una sconosciuta, dopo che aveva appena  trascorso le ultime  quattordici ore della sua vita ad occuparsi di una bambina di tre anni, due gemelli di nemmeno uno, casa e tutti gli annessi con un marito che viaggiava quanto il mio e perciò utile a ricevere deleghe di lavoro in casa quanto il mio.

Altro che ombrosa e lapidaria: era una donna piena di interessi soprattutto artistici. Prestata a far da generalessa, pedagoga, vicepediatra e una decina di altri mestieri mammeschi, senza ore sonno di scorta e senza tempo da perdere. C’é gente che per molto meno avrebbe detto al marito un sonoro vacci te! Mi viene da ridere a ripensare ora che impressione posso averle fatto, vedendomi svolazzare per la cucina senza occhiaie, priva di macchie biologiche nanesche sui miei vestiti,  scusandomi per un disordine privo di giocattoli esplosi su tre dimensioni, mentre le raccontavo di quanto mi sentivo sola a Ginevra e che per ovviare all’inconveniente viaggiavo low cost in lungo e in largo tra Italia e Europa con uno zainetto leggero leggero.

E siccome la vita va a fasi, mi trovo a scrivere oggi di lei e del suo lavoro dopo che la settimana scorsa ci siamo riviste a casa sua, dove adesso i giocattoli sono in bell’ordine, i bambini vanno a nanna relativamente presto e senza troppe storie perché il giorno dopo c’è scuola e lei ha nuovamente il tempo per dedicarsi alla sua passione della quale fa tenacemente un mestiere, mentre io sono arrivata zozza e sudicia da ore di aereo e treno con le mie bimbe, le quali nel suo salotto hanno scaraventato tutto in giro senza tregua, pestato sul pianoforte alle undici e mezzo nel momento in cui mi sono assentata un attimo in bagno, per poi crollare a mezzanotte. Altro che lapidaria, mi sono espressa a monosillabi per tutto il tempo e non mi sarei stata per nulla simpatica, se mi fossi incontrata per la prima volta.

Mentre mi preparavo ad archiviare la mia vita ginevrina per cominciare quella varsaviese, Marina mi parlò del suo progetto insieme ad un’altra mamma expat lituana, Egle, di fotografare una serie di genitori espatriati per seguire il partner nel suo lavoro. Principalmente madri, ma anche qualche padre. L’occasione di creare una galleria di ritratti attraverso la quale mostrare questa realtà è stata anche significativa per creare uno scambio di confidenze, dubbi e soluzioni tra tutti i partecipanti, creando un momento di aggregazione che mi sento di dire è particolamente difficile per le donne expat in un posto socialmente ed economicamente peculiare come Ginevra.

Ogni ritratto fotografico è collegato ad una piccola spiegazione di come sia vissuta dal soggetto la condizione di essere a tempo pieno il main care giver in un ambiente straniero, abbandonando quindi la propria professione per vivere in un contesto dove l’assenza della rete di famiglia e amici di una vita si somma alle differenze culturali, alle barriere linguistiche e alla condizione di temporaneità: è  difficile sia reinventarsi lavorativamente sia reinventarsi nuove radici, anche con la consapevolezza che un successivo spostamento significherà con ogni probabilità ricominciare ancora una volta da capo in uno od in entrambi gli ambiti.

Il lavoro è stato in mostra  sia a Ginevra che a Cambridge. Vi invito a visitare la galleria online di questi ritratti, mentre vi propongo qui l’autoscatto di Marina, dal cui testo in calce ho liberamente tradotto:

“Non credo che essere una madre sia un lavoro, è qualcosa che ha a che vedere con l’essere una persona e condividere la propria vita con altre persone. Ho scelto di vivere in coppia, di avere bambini e sapevo che questo avrebbe significato passare molto del mio tempo con queste persone. Nel mio lavoro fotografico parlo molto del concetto di Identità: dopo che ho scelto che queste cose mi succedessero, mi sento come se avessi perso la mia vecchia me stessa e ho avuto bisogno di crearne una nuova per la mia nuova vita. Non posso più sempre scegliere liberamente cosa voglio fare, dove o quando. Devo essere disponibile, fisicamente e psicologicamente a loro disposizione. Sanno che normalmente ho orari di lavoro flessibili, a volte si chiedono se lavoro perché non vado in ufficio, allora dico loro che in alcuni casi le persone possono e vogliono lavorare da casa. Credo che gli piaccia abbastanza quello che faccio: quando vedono le foto in giro sono contenti di dire “questa è la foto di mamma’. Spero che ereditino un approccio artistico alla vita”

Sarebbe bello che lavori fotografici di questo tipo trovassero spazio sui magazine italiani, per far vedere come dietro alle parole espatriare ci siano persone vere, famiglie vere, sfide vere. Nel frattempo mi auguro che il lavoro di Marina e Egle possa trovare spazio di condivisione sui vostri social.

Valentina, Polonia

Ha collaborato con Amiche di Fuso da luglio 2014 a giugno 2018

 

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Amiche di fuso

Amiche di fuso è un progetto editoriale nato per dare voce alle storie di diverse donne, e non solo, alle prese con la vita all'estero. Vengono messi in luce gli aspetti pratici, reali ed emotivi che questa esperienza comporta e nei quali è facile identificarsi. I comuni denominatori sono la curiosità, l'amicizia e l'appoggio reciproco.

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