Mi sono trasferita a San Francisco nell’aprile del 2012 ma l’avevo vista per la prima volta qualche anno prima durante una vacanza estiva che mi aveva lasciato un ottimo ricordo di tutta la California. Incontrai quindi San Francisco un po’ per caso e la guardai per la prima volta con gli occhi della turista curiosa alla scoperta degli States. Ancora niente mi faceva pensare che tre anni dopo avrei messo tutta la mia vita in due valigie per andare a vivere proprio lì, in quella città che da subito mi era sembrata così colorata e ospitale.
Ho seguito il cuore nel mio espatrio e, con esso, il sogno di mio marito di lavorare come scienziato in un laboratorio universitario di fama internazionale. Ma per me non è stata una scelta facile… forse perchè credere profondamente nel sogno di qualcun altro, per quanto tu possa amare questa persona, non è cosa facile.
Lavorativamente parlando ero comunque in un momento di transizione. All’epoca lavoravo all’università come storica dell’arte, facevo ricerca. Cosa studiavo? Scoprivo e ricostruivo il passato internazionale della città di Padova, traendo le informazioni da un gruppo di cinquanta manoscritti medievali miniati, prodotti in Francia e poi arrivati in Italia grazie ai viaggi, attraverso l’Europa, di studenti, ambasciatori, vescovi e frati pronti ad espatriare per i loro interessi. In pratica, mi occupavo degli expat del Medioevo!
Il mio contratto però era in scadenza e non c’era possibilità di rinnovo a causa della carenza di fondi per la ricerca in ambito umanistico in Italia. Lasciavo quindi un lavoro in chiusura senza sapere esattamente che cosa sarei andata a fare a San Francisco, lontana dai manoscritti e dalle biblioteche nelle quali avevo lavorato per anni. In cuor mio, speravo in una borsa di studio da una delle istituzioni californiane che ancora finanziano le ricerche sui loro manoscritti.
In questa decisione, di abbandonare l’Italia, non ho avuto purtroppo il sostegno della mia famiglia, annichilita e sconvolta al tempo stesso per la notizia dell’allontanamento della loro unica figlia. Per me è stato difficile sentirsi quasi colpevole nello scegliere di mettere davanti a tutto, e a tutti, quello che credevo fosse giusto per me, per noi come coppia e come famiglia… Sono partita con le lacrime agli occhi e il più grande aiuto credo di averlo trovato nel cuore che mi urlava di avere coraggio, di non rinunciare a quel viaggio così importante per me, che sentivo mi avrebbe resa felice permettendomi di cominciare a vivere una vita davvero tutta mia.
I primi mesi a San Francisco sono passati veloci, alla ricerca di una casa. Abbiamo girovagato per la città per due mesi interi prima di riuscire a trovare un appartamento che ci costasse meno di 3000$ al mese e che venisse incontro alle nostre poche ma essenziali esigenze (tipo avere luce che entrava dalle finestre e niente moquette!). Nel frattempo, passavamo da una sistemazione provvisoria ad un’altra con le valigie sempre dietro e il senso di spaesamento e di frustrazione che aumentavano giorno dopo giorno. Proprio in uno di quegli appartamenti che nemmeno aveva un tavolo (si mangiava su tavole da surf appoggiate alle valigie!), è nato il mio blog dedicato al mio shock culturale. Così, le mie paure hanno trovato uno sfogo e il desiderio di raccontare all’Italia quello che stava succedendo nel Nuovo Mondo è diventato il motore della mia scoperta e la benzina della mia curiosità .
A giugno la ruota finalmente riprese a girare e conoscemmo i proprietari della nostra attuale casa: una coppia omosessuale di cinquantenni con al seguito un figlio, e un cane, naturalmente! Incontro più tipicamente sanfranciscano non lo potevamo fare!
Mi innamorai dell’appartamento che aveva due enormi finestre ad arco (le classiche bow windows!), e grazie al nostro sincero entusiasmo riuscimmo a convincerli che non era poi così importante la nostra scarsa storia del credito americana se ci saremmo presi cura della loro casa come se fosse stata nostra. Conquistati!
Ricordo la mia prima estate a San Francisco come l’estate più lunga e fredda che io abbia mai vissuto. Eh sì, cominciavo a realizzare… Io, abituata a vivere per trent’anni nella stessa città , nello stesso quartiere, nella stessa casa… ero finita dall’altra parte del mondo, sola per gran parte della giornata. Non c’erano familiari o amici, che in Italia ero abituata a incontrare di frequente. I rapporti a distanza erano resi più difficoltosi dal fuso orario di 9 ore. Tutto mi sembrava ostile e difficile.
Arrivato l’autunno presentai varie domande per ottenere una borsa di studio che mi permettesse di riprendere a lavorare, ma destino volle – ora la penso così – che i miei progetti non andassero a buon fine. Fui sorpresa e scoraggiata nello scoprire che le istituzioni californiane su cui contavo per ottenere dei finanziamenti per portare avanti nuove ricerche avevano ricevuto migliaia di richieste. Mi trovai ad affrontare una realtà inattesa: la situazione economica è difficile anche qui e, a causa della crisi, i fondi per gli studi umanistici scarseggiano. Niente di diverso dall’Italia quindi!
Ciò che riuscii a conquistarmi fu l’iscrizione all’università di Berkeley come Visiting Postdoctoral Scholar, con libero accesso al campus universitario e quindi anche ai manoscritti conservati nelle diverse biblioteche.
Qualche mese dopo, quello che sentivo come un fallimento fiorì in una scoperta: aspettavo un bimbo, il mio primo figlio. Fui investita da un turbine che attraversò ogni cosa, ogni aspetto di me, e vacillai a lungo, probabilmente per 9 mesi e più. La nostra vita, come individui, come coppia, fu totalmente sconvolta, e ancora adesso, siamo alle prese con tutto ciò che comporta una vera e propria rivoluzione dell’essere.
Nostro figlio è nato lo scorso novembre qui a San Francisco: born in the USA, come si suol dire, e per noi, il primo cittadino americano della famiglia! Adesso navighiamo a vista, scoprendo pian piano che cosa significa essere genitori, lontani dal proprio Paese di origine. Un’avventura difficile, che abbiamo intrapreso in tre e che quotidianamente ci mette alla prova perchè crescere un bambino senza aiuti esterni è impegnativo, sebbene si ricevano in cambio delle grandi soddisfazioni. Per quel che mi riguarda, sento che quel 5 novembre, insieme al mio bambino, è nata anche una mamma che ora sta riscoprendo e ricostruendo se stessa. In questo, posso tranquillamente dirlo, San Francisco è stata – ed è ancora – fondamentale: ogni giorno mi fa sentire libera di essere ciò che voglio essere e di diventare ciò che voglio diventare. Una grande opportunità , non trovate?
Ha collaborato con Amiche di Fuso da Luglio 2014 a Settembre 2016
[…] è stata la prima città americana che ho visto, da turista e poi da expat, come vi raccontavo qui. E sinceramente, credevo che ciò che ho trovato di distintivo a San Francisco, della città e dei […]
[…] suo primo post “La mia seconda vita a San Francisco” ci racconta come è finita […]
Sabina sono incantata dal tuo modo di scrivere, di raccontarti in un breve video…davvero complimenti, ti leggerei all’infinito! In bocca al lupo per tutto