La scorsa estate sono stata prima a Parigi e poi a Capri. In 10 giorni sono passata dai Guns’n’Roses che infiammavano lo Stade de France alle atmosfere retrò di uno spettacolo al Moulin Rouge, alla dolce vita sulla mia isola preferita.
“Certo che ci vanno i nervi ben saldi per passare da uno dei luoghi… ehm, meno appealing del mondo a due tra i più belli” – mi ha detto in chat Valentina Inghilterra. Lì per lì ci ho riso su, ma ora che ho ripreso la mia vita in Angola non posso che constatare quanto sia vero.
Provo sempre sgomento quando rientro in Europa. Quando, dopo mesi d’Africa, mi trovo a comprimere in 15 giorni quello che potrebbe essere un normale vissuto di mesi. Perché non si tratta soltanto di fare la spola tra parenti e amici e assolvere tutte le normali incombenze di un expat in Italia per le vacanze. Per me, significa recuperare anche le cose più banali: prendere un gelato fragola e pistacchio, entrare in una libreria (le librerie!!!), andare a vedere una mostra, fare un giro da Zara. Significa anche solo passeggiare in una città pulita.
‘Dentro Shakespeare and Company avevi gli occhi che ti brillavano’ – mi ha detto mio marito e, anche se mi sono sentita un po’ scema di fronte questa affermazione, so che era vero. Del resto, l’anno scorso a Londra, mi ero quasi commossa quando, al Globe, mi sono tornate alla mente le tante e tante lines del Macbeth studiate all’università. Ma non mi sono commossa per Shakespeare, no. I nervi hanno vacillato perché era da troppo tempo che non riassaporavo il mio passato e, per esteso, le mie passioni, la mia identità. È questo che in Africa mi manca di più: fare le cose che mi definiscono.
Che poi, capiamoci: non è che in Europa passassi i weekend nei musei o a teatro. La quotidianità non è fatta di uscite né di ristoranti per nessuno (Ferragni esclusa). Ma erano pur sempre opzioni aperte, cose che, se mi andava, avevo la possibilità di fare quando volevo. Erano lì, a portata di mano. Ora non più. Ora mi trovo a dover concentrare tutto in una manciata di giorni perché altrimenti passeranno mesi – o addirittura anni – prima che l’opportunità ricapiti. È come nuotare: nuoti nuoti nuoti poi emergi per pochi secondi, fai scorta di tutto l’ossigeno che puoi, rituffi la testa e…
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…sei di nuovo in Angola. E allora penso che sì, ci vogliono i nervi saldi. Ad esempio sono indispensabili quando passi accanto a quelle scarpate trasformate in discariche a cielo aperto. Scarpate straripanti di sporcizia atavica, in cima alle quali c’è gente che vi abita; ci sono le baracche, i bairros. C’è il solito bimbo scalzo che gioca.
Ci vogliono i nervi saldi perché a volte sei vittima di equivoci spiacevoli, come questo: in Congo, mentre davo al mio cane il ‘premio’ della giornata, sento il ragazzo che ci curava il giardino esclamare “Namastè, certo che ti vuole proprio bene la tua padrona: ti dà persino i cioccolatini!”. Io ci resto di sale. Gli spiego che no, non si tratta assolutamente di cioccolato: è cibo per cani. Ma mentre parlo mi viene un groppone in gola, perché se non gli fosse sfuggita quella frase… cosa avrebbe pensato di me? ‘Guarda questa che butta il cioccolato al cane e a me non offre nulla?’. Vi giuro – giuro – che l’idea che una persona possa aver pensato questo anche solo per un istante mi fa stare male. Ma male davvero.
Ci vogliono i nervi saldi quando il tuo autista ti chiede 5000 kwanza per far mangiare la sua famiglia che è da ieri che non tocca cibo perché l’agenzia che lo retribuisce è in ritardo con i pagamenti. E tu hai appena comprato una mozzarella -una- che ne costa 3000, di kwanza. Quando una ragazza del compound ci domanda di portarle vestiti smessi, cibo o altro, perché alla sua empregada è andata a fuoco la casa con tutto il suo contenuto.
E soprattutto ci vogliono i nervi saldi per non pensare a quanto ho scritto nella prima parte di questo post senza sentirmi una brutta persona.
Perché nel passaggio da primo al terzo mondo rinunci a tante cose e ti scontri con altre più grandi di te. Allo stile di vita perso, però, dopo un po’ ci fai il callo che, sì, ogni tanto fa male, ma è pur sempre un callo. La tua nuova realtà, invece, talvolta brucia come una ferita aperta. Ed è in questo caso che servono nervi veramente d’acciaio.
Cristina, Angola
Cristina ha collaborato con Amiche di Fuso da marzo 2016 a novembre 2019
Potete leggere Cristina qui
Ciao Cristina1
Sei una persona molto attenta, molto riflessiva e veramente solida. Una gran persona. Mi piaci!
Ciao. Gin
Grazie Gin 🙂 Lo stesso penso io di te e della tua forza!
Bellissimo post Cristina. Davvero duro e crudo, ma così vero.
Grazie cara!
iO CON 23 ANNI DI nIGERIA ALLE SPALLE HO AVVERTITO MOLTISSIME contraddizioni. il trauma piu grave all’inizio era la sporcizia e i poveri per la strada, i piu che mi facevano effetto erano i lebbrosi, poi ci si abitua, con gli occhi, ma non col cuore. Non puoi aiutare tutti. Il rientro in Italia era uno schok al contrario. Ormai che sono fissa in Italia (Vista l’eta;) non riesco a non pensare a tanti brutti spettacoli visti in Africa, ma….non riesco molt a parlarne. Ciao
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Persino i lebbrosi… Hai proprio ragione, sotto agli occhi passa di tutto, sopra al cuore no.
Un abbraccio Rita!
Una dura verità in un bellissimo post. Grazie per averlo condiviso con noi.