Fare la ragazza alla pari è un’esperienza importante e particolare: in questa sua prima testimonianza Elena ci racconta la sua storia, la ospiteremo ancora per avere informazioni più dettagliate e pratiche sull’intraprendere questa avventura.
Partire come ragazza alla pari è stata una decisione più di pancia che di ragionamento.
Ero in un periodo della mia vita buio. L’Italia mi stava tremendamente stretta, l’università mi stava privando della mia solita gioia di vivere, uscivo da una relazione che, dopo due anni, avevo deciso di terminare. Avevo bisogno di cambiare.
Quando avevo iniziato il procedimento per diventare ragazza alla pari nel marzo 2015 non ero in questa situazione: ero felice, ottimista, fidanzata.
Poi pian piano le cose sono peggiorate, non riuscivo a respirare. Ero circondata da familiari e amici fantastici ma non riuscivo più a vivere la vita che stavo conducendo.
E ad agosto 2015 ho fatto match con la mia attuale host family: non sapevo dov’era Madison, non sapevo cosa aspettarmi dal Wisconsin, non avevo alte aspettative, sapevo solo che volevo andarmene dall’Italia. Così, nonostante un esame in sospeso e la tesi già pronta, ho deciso di congelare i miei studi e partire comunque. Dopo un anno e un mese sono al 100% sicura di aver preso la decisione migliore della mia vita.
Sono partita il 4 gennaio 2016 dall’aeroporto di Malpensa: i miei genitori, mio fratello, una delle mie più care amiche e il suo ragazzo sono venuti a dirmi “arrivederci”.
Nonostante fosse un passo che non vedevo l’ora di compiere, salutare quelle persone che per 24 anni hanno fatto parte della mia vita è stato difficile. Le lacrime sono state inevitabili. Vedere mia madre piangere era prevedibile, vedere mio padre piangere mi ha sconvolta. Quelle lacrime mi hanno fatto capire che quella decisione che avevo preso non colpiva solo me, ma tutte quelle persone che mi volevano bene e avrebbero preferito rimanessi vicina. Ho abbracciato tutti e mi sono voltata verso i controlli di sicurezza insieme ad altre ragazze che, come me, avevano preso la decisione di cambiare la loro vita.
Quando sono arrivata a Madison, WI, non sapevo davvero cosa aspettarmi. La città, dalle fotografie che avevo trovato su internet, sembrava carina. Tutti mi descrivevano un tempo gelido e tanta neve. Sono arrivata a Madison e non mi aspettavo di trovare un’altra famiglia, un altro luogo che posso tranquillamente chiamare casa.
A Madison ho trovato la pace.
Ho ricominciato ad apprezzare le piccole cose.
Mi sono innamorata della città, sia in inverno che in estate.
I primi mesi ho cominciato ad instaurare amicizie che pian piano sono diventate fondamentali.
Le amicizie che si costruiscono da au pair sono importanti. Loro sono le persone che sanno esattamente cosa stai vivendo perché sono nella tua stessa situazione. Sanno quanto sia difficile stare lontano da casa, e sanno quanto sia meraviglioso tuffarsi a capofitto in una nuova avventura. Sono persone coraggiose, che per un motivo diverso dal tuo hanno preso la decisione di partire, lasciare il conosciuto per qualcosa di sconosciuto. Ma le amicizie da au pair sono anche difficili. Sai per certo che hai un determinato periodo di tempo per avere quella persona al tuo fianco. Sai che ad un certo punto tu te ne andrai o loro se ne andranno. Eppure le amicizie si instaurano. Ognuna procederà sul suo cammino ma il legame che si è creato rimarrà per sempre. Anche se si è ad un oceano di distanza e il fuso orario gioca brutti scherzi.
Sfortunatamente un’esperienza come la mia non è sempre la norma. Per quante ottime famiglie ospitino au pair, altrettante sfruttano le ragazze ben oltre le mansioni che il governo americano sancisce. Ho sentito di storie tristi. Ragazze sull’orlo di una crisi di nervi che decidono di ritornare a casa. Bambini terribili. Genitori senza cuore. Raccontando la mia esperienza, fortunatamente positiva, può sembrare che sia sempre così ma non è vero. Il mondo è bello perché è vario, giusto? Da un lato sì, dall’altro no. Ci sono alcune famiglie che decidono di assumere un au pair solo perché economicamente costano di meno di una babysitter americana. Oppure famiglie che non rispettano l’orario settimanale, che fanno lavorare le ragazze ben più del monte ore, senza retribuire le ore extra. Però ci sono anche ragazze che non sono adatte a questa esperienza, che pensano che sia una passeggiata, che non si rendono conto che per 10 ore al giorno, 45 ore settimanali massimo, devono lavorare. Non è una passeggiata. Seppure i bambini possano essere fantastici a fine giornata si è stanchi, provati, soprattutto d’estate quando le scuole sono chiuse. Tutto questo per dire che non è sempre rosa e fiori, che io sono stata fortunata e ringrazio di aver trovato la mia host family ogni giorno.
Mancano 11 mesi alla fine della mia esperienza e non so esattamente cosa aspettarmi.
Il 2016 è stato un anno fantastico, il 2017 spero lo sia altrettanto.
L’anno alla pari ha fatto scoprire parti di me che non pensavo di avere. Mi sono riscoperta molto più artistica. Ho scoperto quanto rilassante sia creare qualcosa con le tue mani piuttosto che spendere soldi e comprarlo. Ho scoperto quanto sia emozionante sentirsi a casa in un posto che pensavi estraneo. Ho scoperto quanto io sia coraggiosa. Ricostruirsi una vita dall’altro capo dell’oceano non è facile, eppure io ci sono riuscita.
Non dico di aver trovato il mio posto nel mondo, dico di essere così fortunata da aver trovato un altro posto da chiamare casa.
Elena, Madison.
Ciao,
io ho fatto la mia super esperienza come AU PAIR IN AMERICA ormai nel lontano 2011.
Sono rimasta lì un anno e mezzo, avevo deciso di estendere, perchè per un anno was not enough! 🙂
Ho tanti bei ricordi: la host family tanto carina, i mille viaggi x gli States e non solo, il Canada è a un passo (più o meno, date le distanze immense..lol!) e inoltre si trovano cheap flights per i Caraibi..wow!
Fare amicizia con persone provenienti da tutto il mondo, imparare bene una lingua straniera, conoscere nuovi usi e costumi.
HAI FATTO BENONE!!!!!! Io lo rifarei over and over again!
xoxo