Non sarebbe più facile dire “mi manchi”?
Risponderei “A me manchi di più”.
Ci state pensando ormai da tanto tempo e forse non avete mai riflettuto tanto su una scelta prima d’ora.
Ed è anche giusto, qui si sta parlando di lasciare un Paese, l’Italia e di andare all’estero.
Per viverci.
Siete spaventati.
Siete euforici.
La prima volta che ne avete parlato, gli amici non vi hanno creduto.
Vi han guardato come se fosse un’idea passeggera, una di quelle cose che si dicono quando al lavoro non va troppo bene e la birra scioglie la lingua, scioccamente.
Ma non è così, ormai è una decisione.
Contate i giorni.
Acquistate il biglietto e leggete e rileggete mille volte il vostro nome, controllate i dati del vostro passaporto e la destinazione.
E’ fatta.
Sta succedendo?!
Il più delle volte pagato il biglietto si parte.
Vorreste parlare di quello che sentite, del dolore che provate pensando a tutto quello che lasciate, della paura ma anche della felicità che avete nella pancia quando iniziate a sentire che mai scelta nella vostra vita è stata più giusta.
Mai scelta nella vita è arrivata nel momento più giusto.
A questo punto potreste trovarvi a fare i conti con diverse reazioni, reazioni che la vostra scelta scatena negli altri.
La mia amica C. comunicò la sua idea di partire per l’Australia alla nonna che le disse “traditrice” ma pronunciò quelle parole sorridendo, sorniona, e poi aggiunse un “fai bene”, dritto nelle sue orecchie perchè la mia amica potesse sentirlo, l’amore.
E di storie così ne conosco tante, di parenti e amici che fanno il tifo, che ascoltano e supportano emotivamente laddove il cambiamento spaventa anche i più convinti.
Forse invece riceverete parole che fanno male e vi deluderanno.
Parole che non pensavate qualcuno vi avrebbe mai rivolto contro o peggio silenzi.
Persone che amate e che vi amano tanto, riusciranno a concludere ogni frase sentenziando nefaste previsioni e spolverando di amarezza.
Vi diranno che siete stupidi, sì, proprio a voi e proprio in faccia.
Vi diranno che state, e qui servirebbero le virgolette, facendo una cazzata.
Vi urleranno contro.
Staranno zitti, a lungo.
Ed urleranno ancora con livore.
Sparleranno.
Faranno male, tanto.
Si permetteranno ed autorizzeranno a dire ogni cosa passi loro per la testa, sperando di farvi desistere, trattandovi come miseria.
Ci saranno reazioni agghiaccianti e persone bellissime.
Le reazioni agghiaccianti verranno proprio da loro, le vostre persone bellissime.
Ho detto tante volte “ma io qui non sono felice” e ricevuto in cambio un gesto della mano che vuol dire “questo c’è ed il resto sono sciocchezze”.
Ecco, le sciocchezze sono la mia vita ed io non voglio viverla in Italia.
Ho provato ma non è per me e non voglio vergognarmi o giustificarmi per quello che provo.
Sono più forte oggi di quando sono partita e vorrei dire a coloro che si sentono cassare ogni slancio di emozione che… non siete soli.
Vi presento M. che ha lasciato un lavoro sicuro in Italia ed è il primo della classe nell’Università francese, dove è tornato a studiare.
Chiama casa per comunicare l’ennesimo buon risultato e dall’altra parte tagliano corto.
Due anni dopo ancora dicono “sai che non approviamo ma la vita è tua“.
Sì, la vita è sua ma intanto dall’altro capo del telefono la frase è stata pronunciata e le porte della comunicazione chiuse.
Della felicità per i risultati conseguiti, per M., non rimane che un nodo nella gola.
E’ capitato qualcosa di simile a P. che in terra straniera tiene seminari.
Quando l’hanno inviata in Italia per partecipare ad una conferenza ha fatto i salti mortali per passare per casa e portare anche la sua bimba di 4 anni a rivedere i nonni.
L’organizzazione non è stata facile ma P. era orgogliosa di dimostrare il proprio successo ai suoi genitori, che però si sono rivelati per nulla incuriositi.
In un placido pomeriggio Italiano P. ha ricevuto una telefonata di lavoro e loro sono scoppiati con un “dovresti occuparti di tua figlia piuttosto, che mamma sei?“.
Ruolo, quello della mamma, che P. svolge h24, da sola in un paese straniero senza nonni.
Segno che la realizzazione personale non va sbandierata, pena la gogna.
Gogna anche per N. che all’estero guadagna uno stipendio a 6 zeri ma i suoi genitori si augurano che perda presto il lavoro, così che possa tornare dove per lui c’è poco e niente.
Simile la storia di A. che nel suo paese di adozione si è innamorata.
Ha comprato casa, si è sposata ed ha trovato lavoro, uno di quei lavori che in tanti sognano.
In Italia la mamma dice “Mia figlia? E’ all’estero per fare un’esperienza” e non si accorge che per A. l’estero è diventata casa.
Ogni piccolo successo in terra straniera potrebbe essere una cosa vostra, vostra e di pochi altri.
Il fatto che il tutto accada lontano, contribuirà a rendere quei particolari che fanno la vostra vita meno importanti agli occhi di chi è rimasto.
Saranno da loro visti come l’esplicitazione del tradimento perpetuato ai propri danni e per questo i vostri successi, i vostri momenti felici, saranno difficili da riconoscere ed accettare.
Come difficile sarà per alcuni tra i vostri affetti accettare la vostra decisione, anzi accettare il fatto che possiate averla pensata voi!
Metteranno in dubbio la vostra salute mentale e se, come nel caso di J., partirete assieme al vostro compagno, allora sì, siete state soggiogate da lui, che diventerà il nemico da combattere.
Non importa quante volte proverete a spiegare che voi in Italia non ci volevate proprio stare.
“Quando torni?“, una frase che viene buttata e ripetuta in mezzo alle conversazioni, uccidendole di fatto.
E via carrellate di notizie nefaste, che coinvolgono ogni vostro affetto rimasto in Italia, deperito proprio a partire dalla vostra partenza e quella supplica, più o meno implicita: torna.
Finirete forse, e di certo non ve lo auguro, con il sentirvi una cartolina piena di colori che nessuno vuole neanche sforzarsi di leggere oltre i saluti e la firma ed inizierete a raccontare poco e niente perché dai, frase infelice dopo frase infelice, che senso ha mostrarsi per ciò che si è ed aprirsi?
Per quanto si possa esser capaci nel descrivere un piacere sarà un’ardua impresa farlo apprezzare a chi mai lo ha conosciuto e anzi ne è terrorizzato o schifato.
Alcuni sminuiranno o ridicolizzeranno tutto quello che (di bello!) vi capiterà all’estero.
Mi viene in mente l’amica P. che ha pubblicato un libro nel suo paese d’adozione, raccontando la sua storia di expat.
Ne ha spedita una copia a casa per fare una sorpresa ma purtroppo la sorpresa l’ha avuta lei: non le hanno neanche detto di averlo ricevuto e quando ha tirato fuori l’argomento è stata presa in giro per i soldi spesi per l’invio del pacco ed aver definito romanzo un libro di un centinaio di pagine.
E penso ad F., a lui rinfacciano ogni giorno di non veder crescere il proprio nipote.
Come se la lontananza, per quanto scelta, non fosse già di per sé un dolore.
Installare Skype risulta troppo complicato per sua sorella e quando lui prova ad insistere gli viene detto “guarda che sei tu quello che se ne è andato, mica io”.
F. acquista allora carte internazionali per poter parlare almeno qualche minuto con quel bambino che intanto cresce.
Bambino a cui viene suggerito di chiedergli “quando torni in Italia?” e per F. rispondere a quella domanda senza poterlo tenere in braccio è una coltellata.
E quanti soldi mettiamo da parte e poi spendiamo solo per tornare?
Solo per spedire un pacco con doni, per far sentire che ancora esistiamo a Natale o quando è il compleanno di qualcuno.
Vorrei dirvi che riceverete sempre qualcosa indietro ma non è così e sarà triste, e sarà brutto.
Vi direte che sono solo soldi e va bene così anche di fronte all’ennesimo rifiuto di venirvi a trovare, anche solo ipoteticamente, per farvi sognare un po’.
Sì, te ne sei andanto tu e tu devi tornare secondo l’ottica di molti.
Oppure potrei raccontarvi di S., una ragazza di una bellezza incredibile, di quelle con gli occhi che sorridono luminosi.
Tornata da una esperienza all’estero le capitava di piangere perchè in Italia proprio non voleva starci e per non far capire il suo dolore diceva “piango perché sono felice di stare qui con voi“.
Vi immaginate il dolore che si deve provare nel non poter parlare di cosa l’esperienza all’estero abbia significato per paura di ferire chi non ne ha fatto parte?
“Volevo urlare quello che sentivo,
ma sono rimasto zitto per paura di non essere capito.”
Charles Bukowski
Mi viene in mente la mia amica A. che nel paese straniero è andata ed ha conquistato un lavoro che in Italia le avrebbero, e forse le hanno, invidiato.
E’ tornata nella penisola recentemente, portando con sè il frutto di un’esperienza che le ha permesso di ridere, crescere ed imparare tanto.
A. che lanciava sorrisi e abbronzatura dal suo Instagram è tornata in Italia.
Proprio lì, uno dei suoi affetti ha sentenziato “questo anno a cosa ti è servito? Proprio un anno buttato“.
Vi amano.
Ci amano.
Ma per alcune persone la felicità come la intendiamo noi, non conta niente, conta il rimanere dove si è e fare così come fan tutti.
Sarà doloroso constatare che per qualcuno la felicità o la mera ricerca della stessa contino poco e niente.
I più bravi di noi impareranno a comunicare meglio, a farsi valere e sentire.
Questo auguro a chiunque stia vivendo una situazione non facile con i propri affetti più cari.
Ed è proprio a loro, agli affetti, che voglio rivolgermi.
Cari genitori.
Cari nonni.
Cari fratelli.
Cari zii.
E cari amici di sempre.
Dietro a tutte le vostre parole c’è tanta rabbia e dietro la rabbia c’è sempre dolore.
Vorrei scusarmi per tutte le volte che siamo incapaci di raccontarci, di spiegarci e di farvi sentire cosa c’è dietro la nostra scelta.
Vorrei mostrarvi la forza del nostro amore e farvi ascoltare il suono del nostro cuore che continua a battere per voi, sia quando all’estero siamo soli, e noi soli lo siamo veramente, sia quando raggiungiamo un successo circondati da nuovi amici ed affetti.
Le parole gettate come sassi non ci faranno tornare, o almeno non sempre.
Ci renderanno forse invece più distanti.
Vorrei farvi capire che quando le cose vanno o andranno male, ma male veramente non sapremo proprio da chi tornare.
Certi di trovare solo macerie in quella che voi vi ostinate a chiamare casa nostra.
Sappiamo di avervi fatto un torto andando via, di avervi ferito e di aver scelto di farlo, seppure con le migliori intenzioni.
Ma non ci meritiamo questo.
Né di vivere la distanza aggiungendocene un paio di cucchiaiate in più dopo ogni telefonata.
Vittime di una distanza che diventa incolmabile.
E finire con il perderci mentre siamo impegnati a vivere.
Evitiamocelo.
Serena, Scozia
Serena ha collaborato con Amiche di Fuso dal 2014 al 2018 e continua a scrivere per facciocomemipare.com
Photo by Patryk Sobczak on Unsplash
Hai colto molto nel segno! Spesso è proprio difficile capire il motivo di tanta amarezza e cattiveria. Dal nostro punto di vista i nostri cari dovrebbero solo essere felici della nostra felicità, ma evidentemente non è così. Se qualcuno là fuori vuole esprimere il suo punto di vista, siamo tutte orecchie!
Si, non sai quanto ci ho pensato: sarebbe giusto sentir l’altra campana… chissa’ che qualcuno non prenda al volo l’occasione! 🙂
Ciao mi chiamo Angela è sono una mamma
Nella primavera del 2014 mi figlia rientra da un viaggio in Giappone e ci dice che si sposerà con Kento e che …..andrà a vivere lì. ….vivere lì? Lì dove…..in Giappone…..mio Dio……non puoi fare questo….no tu non lo farai….se proprio volete sposarvi vivete qui in qualche modo ci aggiusteremo. ….
I mesi avvenire sono stati mesi di lacrime e dolore…..di intontimento. …di domande e risposte…..ma perché non l’abbiamo mandata in Inghilterra quando lo chiedeva…sarebbe stata più vicina……perché ha fatto il turistico……ecco perché tutti quei kanji appesi nella sua camera….erano ovunque. ..da più di 2 anni in figlia studiava da autodidatta Giapponese. …Kento studiava a Los Angeles. ….si sono prima conosciuti on line. …poi hanno iniziato a viaggiare per incontrarsi e trascorrere un po di tempo insieme …un po’ in Italia e un po’ in Giappone. …intanto iniziavo ad abituarmi ed a essere Orgogliosa di mia figlia….Orgogliosa della sua mente aperta a nuove idee,a nuovi modi di pensare….d’altronde è quello che le abbiamo sempre insegnato…..Si sono sposati il 14 dicembre del 2014….vivono in Giappone in un paesino di pescatori….fanno una vita tranquilla è non stanno con le mani in mano….finalmente questa estate siamo andati a trovarli….È stato meraviglioso riabbracciarli. ..ci sentiamo spesso con Skype. …CERTO IL MIO CUORE PIANGE…..MA ORA SO’ CHE È FELICE …….
Cara Angela, il tuo racconto e’ cosi’ umano e tanto vero.
Sono molto contenta che tua figlia sia serena in Giappone e che tu lo sia per lei… nonostante la distanza sia cosi’ dolorosa.
Un abbraccio.
Bellissimo post.. Devo dire che in 3 mesi di expat io ho già ricevuto 3 pacchi dai miei genitori e che cercano di farmi sentire il loro appoggio.. Eppure la domanda “quando torni ” è sempre sospesa.. E quante volte altri parenti o amici strettissimi mi hanno chiesto perché mai partivamo o hanno.cercato di scoraggiarci.. E anche ora quante volte non riesco a raccontare le nuove esperienze o le nuove possibilità lavorative perché dall altra parte sento solo la delusione dettata dal fatto che significa che l “esperienza ” all estero non finirà presto.. I mi manchi dall Italia non mancano, ma a volte sento che sono fin troppi e che più che godermi la.nuova vita spendo troppo tempo a sentirmi in colpa per chi è rimasto a casa.. Grazie del post
Sono tanto felice per i tuoi genitori, porti un esempio molto bello.
Diffidiamo invece da chi vuole scoraggiarci… 🙂
Bellissimo post! Grazie per le tue parole, fanno bene, guariscono…. Anche perché riesci a rimanere lucida e sorridente, mai arrabbiata o amara…
Posso mettere un link a questo post dal mio blog? Cinaaprimavista
Un abbraccio forte dalla Cina!
Valentina
Grazie Valentina, sei molto gentile.
Son cose a cui ho pensato per tanto tempo mentre ero in Australia, ora ho deciso di vedere le cose da un’altra prospettiva, con meno angoscia e anche meno pretesa… prendo quello che capita di bello e proviamo cosi’. 🙂
P.S.
Certo che puoi!
Immagino come ci si debba sentire in queste situazioni… per la famiglia del mio fidanzato è già un tradimento una settimana di vacanza con me lontano da loro… e noi viviamo a soli 300 chilometri… l’importante e che siate contente voi e che non vacilliate… la vita è la vostra, ricordatelo sempre… Parlo al plurale perché tu che hai scritto così bene rappresenti tantissime ragazze in gamba che si stanno realizzando pienamente 🙂
Vero, la vita e’ nostra, sempre. 🙂
Verissimo e vi posso dire che questo capita anche se come nel mio caso si tratta di due citta’ in Italia ( GENOVA vs ROMA). Sebbene siano piu’ vicine e piu’ facile da raggiungere siamo sempre noi a dover andare e se qualcuno passa da Roma lo fa solo perche’ viene comodo e non fa nulla per nasconderlo. Adesso che e’ Natale come ogni anno tocca a noi dover andare su e adattarci. Oramai quando torni a vivere a Genova non me lo chiedono piu’ ma spesso mi sento dire ” sei li sola come un cane”. E adesso che nascera’ una bambina gli spostamenti saranno ancora meno.
Nel mio caso e’ stata fatta una crociata per farla nascere su solo per egoismo, infatti saranno costretti a venire a trovarmi, mentre se io partorissi a genova per loro sarebbe piu’ comodo. Ma nessuno pensa che forse a casa mia sto meglio anche se sono sola ” come un cane?”
Scusate lo sfogo…
Io penso che dietro il “sola come un cane” ci sia tanta preoccupazione ma questo non autorizza certi comportamenti… e basta parole, ogni tanto ci vogliono anche i fatti. 🙂
Fai bene a spingerli a salire. 🙂
Che emozione questo post!! gli occhi lucidi, mi hai fatto venire…=( pensavo di essere l’unica, o una delle poche, ad avere una famiglia cosi… io ho fatto un anno di master online e la mia famiglia neanche lo sa…ho provato a dirglielo, ma guardavano la TV… l’unica che lo sapeva è mia sorella; mai una volta la domanda: “come va il tuo corso?” Io sono diventata due persone: una é la vera me, quella che sta qui ed è felice nella sua vita e della sua vita; l’altra è la me che torna in Italia, quella che gioca il ruolo che gli altri le hanno attribuito… mi vesto pure diversamente quando vado là…che tristezza…
Che tristezza Giovanna, pensare che avremmo cosi’ tanto da dire invece…
Ci amano. Vi amano.
Mi permetto di sollevare qualche dubbio sul punto. Che tipo di amore sarebbe quello dei sensi di colpa, dell’ignorare scelte di vita a loro poco gradite, del sottovalutare i piccoli e grandi successi o conquiste?
A me pare piuttosto l’esercizio di un diritto di possesso o il disappunto per non avere più il controllo delle nostre vite.
Il senso di mancanza, il dispiacere, la delusione possono anche essere espressi in modo diverso, se tanto ci/vi amano. Io non credo nel tipo di amore descritto nel post, per me è qualcosa di diverso, qualcosa da cui proteggermi.
Questa comunque è solo la mia modesta opinione e magari mi sbaglio.
concordo con te Elena, al 100%! Anche per me non è amore ma qualcosa di piu’ vicino al possesso e al disappunto per scelte che non si condividono o non si capiscono. L’amore dovrebbe andare al di là della comprensione o della condivisione.
Sai, non sei la prima e non sarai l’ultima a sollevare questo dubbio che io credo infatti essere leggittimo.
Uno che si vuol bene sa che non deve mai accontentarsi delle briciole e men che meno di far da pungiball… pero’ come li cambi?
E davvero non e’ amore?
Non e’ amore ideale, non e’ partecipazione, non e’ sostegno, non e’ quello che vuoi ed hai ragione… ma non siamo tutti uguali e ancora, non ci possiamo fare quasi niente.
Le persone son tante cose e tante sfumature.
Io credo nell’amore che chiede e domanda, sviscera, supporta e c’e’.
Ma so anche di esser amata e ugualmente ed inutilmente ferita… ed in qualche modo, ci son venuta a patti.
Un abbraccio!
È certamente vero che siamo tutti diversi e che tendiamo a esprimere in modo diverso i nostri piu intimi sentimenti. Capita a tutti certamente di ferire le persone amate o viceversa. Per me però amare significa sforzarmi di andare oltre i miei sentimenti egoistici e gioire della felicità di chi amo, anche se la sua felicità per me è solitudine. Purtroppo non riesco a vedere amore in chi avvilisce gli altri, li fa sentire in colpa o inadeguato. È qualcosa di diverso, probabilmente ha a che fare con l’affetto, il voler bene, ma è annacquato dai personalismi, dall’egoismo. Ovviamente non mi permetto di giudicare la tua esperienza personale, questo post molto bello mi ha fatto pensare all’amore, a come dobbiamo essere con gli altri, come dobbiamo accompagnare i nostri figli nel mondo. Io sono imperfetta, ma le tue riflessioni aiutano la mia personale riflessione e io voglio essere diversa dalle persone che hai descritto.
Anche io, tanto.
Grazie.
Cara Serena, che dire? Di episodi da raccontare ce ne sarebbero a bizzeffe, frutto soprattutto di gelosie. Per esempio a me viene rinfacciato di non occuparmi dei famigliari con un ‘beata te che vivi lontano, tocca a noi correre nel momento del bisogno….’ Serena, hai fatto centro anche questa volta!
Mia cara, son frasi che fanno male, me ne rendo conto… come se fosse facile esser lontani e aver il terrore di dover prendere l’aereo quando suona il telefono nel cuore della notte.
Le hai azzeccate tutte.
Ormai ho imparato a rispondere a chi ancora mi chiede “quando tornate?” con un bel e sorridente ” SPERO MAI!” e alcuni stanno imparando a cambiare domanda 😉
Serena, sei una grande!
Anche io rispondo cosi’ ma davvero, non arrivo.
Mi sembra giusto mettermi in discussione e rifletterci sopra… per migliorare un po’! 🙂
Grazie per il tuo commento molto carino!
Ho letto con molto interesse questo post. Io non sono un’expat e a parte una cara amica, non ho nessun affetto lontano. Sono consapevole di essere a casa tua Serena e quindi ti dirò quello che penso in punta di piedi, con grande rispetto. Sia il post, sia tutti gli interventi successivi tengono conto di un solo ed unico punto di vista: quello di chi va via; parlate di dolore, ma del vostro, l’altra parte prova rabbia, parlate di invidia, parlate di solitudine, e credo a tutto, assolutamente, però, c’è un però. Avete lasciato persone che vi amano e che dovrebbero amarvi incondizionatamente qualunque scelta voi facciate, la domanda è: perchè? Perchè voi non avete rinunciato ai vostri sogni, speranze, voglia di cambiamento, voglia di avventura, voglia di seguire l’amore della vita, voglia di qualunque cosa giustifichi la vostra partenza e invece chi resta non deve rinfacciarvi la vostra scelta di abbandono? perchè per voi vale e per chi resta no? So che qualche persona parla per invidia o ignoranza, ma molti invece si sentono traditi, abbandonati, feriti dal vostro rifiuto di restare, è un pò come se vostro marito o fidanzato vi dicesse: vado a realizzare la mia vita altrove perchè così sarò felice e tu devi amarmi e incoraggiarmi ed essere felice con me della mia scelta, però tu resti qui … Ecco io capisco il vostro dolore e solitudine, e immagino capiate anche quella di chi avete lasciato, ma dovreste comprendere che la tristezza di venire abbandonati è pari alla tristezza di non venire “approvati” nella vostra scelta. Non voglio offendere nè criticare nessuno, questo dev’essere chiaro, era solo un pensiero. Grazie per lo spazio che mi hai dato. Buona fortuna.
Non sai quanto ho pensato prima di rendere pubblico questo post che mi sembrava un feroce attacco.
Per settimane l’ho letto e riletto e mi son detta che non parlavo di me o dei miei affetti ma di qualcosa che ritorna nelle storie di tante di noi e volevo dar voce a questo aspetto.
Mi sono voluta perdonare per aver osato scrivere di altri, cosa che non mi piace fare e non trovo sano, anziche’ di me e della mia storia.
Personalmente io sono una ragazza molto presente, che si segna le cose, che domanda e chiede, che spedisce, scrive e chiama.
Non ti voglio raccontare della controparte perche’ non lo reputo giusto e per questo ho raccontato piccoli episodi di vita non proprio mia… non era questo il luogo per affrontare certi temi personali.
Pero’ appunto, credo di esserci.
Non ho parlato di invidia perche’ non e’ il caso di nessuno nel post che ho scritto, ti parlo di ferite che si possono evitare.
Come?
Non lo so questo, personalmente ci sto lavorando… sicuramente comunicando meglio i propri sentimenti.
Nel frattempo mi ritrovo a rappresentare questa parte: quella che e’ andata via e questo non posso cambiarlo.
E ci tengo a dirti che quel “rinfacciare” che citi come in qualche modo… perdonabile o giustificabile… e’ umano.
Ma non puo’ durare in eterno o essere fine a se stesso.
Non costruisce nulla, e’ solo sabbia che rallenta e viene il dubbio che anche rimanendo sarebbe stato lo stesso… alla prima scelta “differente”.
Un abbraccio Graziella, hai dato voce ai miei pensieri e l’ho apprezzato.
Ultima cosa, che fa un po’ ridere.
A parte noi expat… ho visto genitori crocefiggere per… aver preso casa a 30 km di distanza anziche’ nello stesso quartiere. 🙂 🙂
Il tutto vissuto con sdegno, tradimento e… boh… fa un pochino ridere. 🙂 🙂
Eccomi, quella sono io!!!! Sono andata a vivere troppo lontano (30 km) e NESSUNO viene mai a trovarmi, tocca sempre me.
Eh, anche te… ahahahah. 🙂
Gabriella, mi permetto di dire che nella maggior parte dei casi non si espatria per spirito di avventura, per seguire sogni o amore, ma molto semplicemente per trovare un lavoro che ci permetta di essere indipendenti. Poi magari arrivano pure amore e avventura, perché non dovrebbe accadere?
Io comprendo anche il dolore dei nostri cari, ma credo che ci siano modi e modi per esprimerlo e leggendo il post ho avuto l’impressione che questo fosse il punto centrale della riflessione dell’autrice. E magari dopo anni dai nostri cari ci aspettiamo che gioiscano dei nostri traguardi o che prendano un aereo, non è che tutti gli espatriati si sono radunati in Australia (capisco che un viaggio simile possa spaventare genitori magari settantenni). Oppure come dice Emily qui sotto ci vorrebbero ancora nella nostra cameretta di bambina?
Gioire per gli altri e’ cosi’ bello secondo me.
Graziella, mi permetto di risponderti solo per fare un appunto. E’ comprensibile che una persona voglia tenersi vicino i propri affetti, quindi quando scegliamo di vivere lontano (anche fosse in un’altra citta’ italiana) sappiamo che stiamo dando un dolore a chi ci ama. E’ comprensibile che i nostri cari non siano felici della nostra scelta, ma dovrebbero essere felici della nostra felicita’. Possono non approvare, ma non dovrebbero mai sminuire la nostra vita o quello che otteniamo all’estero, cosi’ come non dovrebbero farlo con i cari rimasti a casa.
Vero anche questo, ci sono parole e… parole. 🙂
La tristezza puo’ far parte di entrambi i percorsi ma a calar troppo l’ascia non ci si guadagna proprio nulla.
Ciao Graziella, è bello che tu abbia espresso il punto di vista di chi sta dall’altra parte, ma credo che qui torni in ballo la domanda di Elena: ma è amore di genitori, fratelli, amici quello che ti vuole trattenere? quello che ti vuole vedere rinunciare ai tuoi sogni perchè “cosi io non soffro”? Io da giovane ho raggiunto un fidanzato all’estero (in Europa, neanche in capo al mondo) e oltre a farne una tragedia la mia famiglia mi ha detto: “ma come? ti abbiamo dato una casa qui, con sacrifici blabla…” Quindi…mi hai messo al mondo perchè io facessi quello che volevi tu? o mi hai messo al mondo per vedermi felice? Devo soddisfare le aspettative che avevi per me, cosi tu sei felice..e io?
Una volta una (ex)amica mi ha detto: “tu non sai cosa sto passando e se non ho voglia di raccontartelo avro’ i miei buoni motivi”… quindi siamo amici solo quando ci siamo per l’uscita del sabato sera?
Io penso che tutti ci aspettiamo dagli altri che ci facciano felici, invece di apprezzarli e amarli per quello che sono, vicini e lontani…
(scusate lo sfogo, tasto dolente 😉 )
Cara Giovanna, spero di conoscerti presto per sbaciarti tutta e bere caffe’ con te. :*
Io ad Aberdeen non ci vengo, dopo che ho visto che clima tira! 😀
forse è meglio che vieni tu a Zurigo 😉
In Giappone tutta la vita. 😀
Vedo questo post con due anni di ritardo, gironzolando per il sito.
Graziella…
” è un pò come se vostro marito o fidanzato vi dicesse: vado a realizzare la mia vita altrove perchè così sarò felice e tu devi amarmi e incoraggiarmi ed essere felice con me della mia scelta, però tu resti qui …”
Sono io che sono partita, lui è rimasto in Francia, io sto in Giappone, per due anni, e poi non so. Perché la posizione che mi era stata offerta qui era una gran bella occasione per la mia carriera. E lì dove sta lui, ha una bella occasione per la sua di carriera.
E forse certe situazioni sono difficili da immaginare fin che non ci si ritrova dentro, però è possibile che l’altro ti ami, ti incoraggi e sia felice per te. Senza il suo appoggio non so se avrei avuto il coraggio di fare il salto.
Svegliarmi presto per passare un po’ di tempo assieme su Skype ogni giorno non è una passeggiata, per nessuno dei due. Esserci per l’altro e mantenere viva la relazione con così tanta distanza è un lavoro che richiede organizzazione e determinazione, la spontaneità non basta. Abituarsi a cucinare per uno, ad andare a dormire da soli, e dovercisi riabituare dopo ogni visita è straziante sia per me che per lui, e non sapere quando e dove riusciremo a ritornare sotto lo stesso tempo è una fonte di ansia senza fondo. Ma sentirlo fiero di me mi riempie d’orgoglio, e non aver rinunciato ad una possibilità per paura mi fa sentire in pace con il lui e la me del futuro, che non avranno ragione di dirsi “per te ho rinunciato a… e ora non so come sarebbe stato se…”.
Non escludo che in uno spostamento futuro mi ritrovi a fare una scelta diversa, o che a un certo punto la faccia lui, d’altro canto abbiamo carriere comparabili. Però secondo me, se si ama qualcuno in tutta la sua persona, si fa in modo di non portargli rancore. Lo stesso vale pure per i miei genitori, che certo, sentono fortemente la mancanza della loro unica figlia, e non me lo nascondono, nei momenti difficili mi ricordano che da loro c’è un porto sicuro, però mi hanno sempre incoraggiata a seguire la mia strada. A volte quando ritorno sento quasi-sconosciuti chiedere a mia madre varianti del (secondo me poco delicato) “Ma non vorresti tenertela qui?” e lei che risponde “Io spero che in Italia ci torni solo in vacanza” con gli occhi lucidi.
Cara Celeste, ti ho mandato un messaggio su FB, lo trovi in ALTRI. 🙂
Cara Serena,
Ogni santa volta che torno in Italia devo sentire gli stessi commenti. Non dalla mia famiglia o da quella del mio compagno, ma da amici, conoscenti, parenti più lontani.
“Quando tornate? non vorrete mica restare lì per sempre, come faranno i tuoi genitori?”.
Premetto che i miei genitori hanno solo 60 anni, sono in salute e non hanno alcun problema, è ovvio che io mi senta in colpa perché non sono lì con loro, ma mi limito a sentirli via skype o via telefono per buona parte dell’anno.
Sembra che io debba buttare tutti i lunghi anni di studio, licenziarmi da un posto di lavoro buono, che non avrei ottenuto in Italia, rinunciare alla possibilità di vivere con il mio compagno (perché in Italia non avremmo avuto lavoro/soldi sufficienti per affittare un appartamento) e tornarmene a vivere nella mia cameretta di bambina.
A quel punto, non dubitare, tutti i simpaticoni si sentirebbero in diritto di dirmi “ma ti sembra il caso di vivere ancora con i tuoi? ah questi bamboccioni”.
Quando torno in Italia sono contenta di vedere le persone care, sono felice del clima, decisamente più temperato di quello inglese, di ritrovare alcuni sapori speciali e locali…ma se guardo alla mia piccola cittadina, vedo soprattutto persone meschine, piccoli giochi di potere, strade sporche, piene di immondizia e graffiti, cacche di cane ovunque, truffe, arroganza da parte di chiunque abbia un minimo di potere. E non vedo l’ora di tornarmene alla perfida Albione, dove posso vivere civilmente e lavorando senza essere “figlia di”, e con uno stipendio dignitoso per il mio lavoro.
Scusa per il posto chilometrico.
Emily x
post non posto LOL
Ti capisco, io in Italia non ci vivrei mai.
Ieri ho fotografato una macchina con un atto vandalico perche’ era la prima dopo quasi due anni… son cambiata, son piu’ rilassata ed i soli pensieri che ho sono per questioni legate all’Italia.
Non ho paura del futuro ed e’ bellissimo, non ho paura di non arrivare a fine mese o di non esser tutelata e questo non ha prezzo per me.
Mi dispiace che non tutti capiscano cosa stai vivendo, mi sembra invece una storia molto bella e stai costruendo qualcosa di importante di cui devi andar fiera.
P.S.
Se posso permettermi, certe domande che io reputo piuttosto sciocche (come premere su una ferita e chiedere se fa male) me le hanno rivolte solo i conoscenti e mai gli amici.
Sono tornata a leggerti e ho trovato la tua risposta 🙂
Purtroppo certi “amici” si sono molto allontanati dopo che ho deciso di partire, c’è chi dopo 10 anni di uscite e chiacchierate non mi ha neanche fatto sapere che si sposava, ho dovuto scoprirlo da un’altra persona.
Ma credo che questa mia “amica” si è comportata così, forse amica non lo era mai stata, o meglio, lo è stata finché ha potuto sentirsi quella di successo tra noi due.
Post di questo genere ne ho letti ancora ed ho sempre commentato scrivendo le stesse cose. Quindi se qualcuno ha già letto un mio commento mi scuso per la ripetizione dei concetti.
Io sono la controparte, sono la mamma di un espatriato a nove ore di fuso orario di differenza e la nonna del suo figliolino da poco. Vedo mio figlio ben ambientato in quel modo di vivere, in quella cultura, realizzato nel lavoro, tutto ciò più di quando era in Italia dove aveva un ottimo lavoro presso un colosso multinazionale che gli avrebbe permesso una splendida carriera ma non quella che piaceva a lui. Ora ha uno importante lavoro ma in un posto dove non c’è l’assunzione a tempo indeterminato. E io? Sono felice che sia là, spero che non ritorni in Italia perché, secondo me, lui è più adatto a vivere là, anche se io non avrei fatto la sua scelta perché io sono diversa ed ho differente carattere e diverse priorità.
Mi sembra sbagliato dire che partendo ci hanno rifiutato, non hanno rifiutato noi ma un certo modo di vivere, che è tutta un’altra cosa.
Mi si sono rizzati i capelli in testa a leggere quanto dolore si può far passare a chi ha scelto una vita diversa dalla nostra ed ha tutto il diritto di averla scelta; anche noi scegliemmo la nostra vita. Capisco che ognuno ha il suo carattere, la sua sensibilità e reagisce in modo diverso alle situazioni, capisco che ci sia chi non ce la fa a superare certi distacchi che sono sempre traumatici. Quindi non giudico nessuno. Però ci si deve sforzare di mettersi il più possibile nei panni degli altri e capirli e, di conseguenza, aiutarli. Perché è un trauma per noi vedere partire ma è un trauma anche partire. E per chi parte è un trauma sentire che gli affetti si logorano a causa della propria scelta che, ripeto, è del tutto legittima e non è un rifiuto dei propri cari, non c’entra niente con questo.
Quando mio figlio mi disse che voleva andare via gli ho fatto anch’io obiezioni, volevo che riflettesse anche su ciò che di buono lasciava, ma conoscevo troppo bene mio figlio per non capire in fretta che la cosa migliore per lui era andarsene. Allora quando è partito, pur con il dolore del distacco, pur essendo le sue scelte diverse da quelle che avrei fatto io, ero anche felice della sua felicità. Poi alla lontananza ci si abitua, si adottano strategie compensative che funzionano bene se si ha buona volontà e molto impegno da entrambe le parti, così ora sono serena e, ripeto, felice della sua felicità. Non vorrei che ritornasse qui perché qui sarebbe meno realizzato e io non potrei sopportare saperlo meno contento, quello sì sarebbe un dolore troppo grande.
Chiedo scusa per il romanzo scritto ma questa è una faccenda che mi tocca in profondità
Che bella storia che racconti cara Mila.
Credo che tu faccia bene a parlare di strategie possibili e come per tutti gli aspetti della vita, alcuni di noi ne mettono in atto meno ed altri vi riescono invece con piu’ facilita’.
Faccio il tifo per tuo figlio ed il suo successo e vi sono vicina.
p.s.
Se poi vuoi raccontarti, con un post guest, su queste pagine non hai che da scriverci. 🙂
brava Mila!
Alla fine anche mia mamma e mia sorella si sono arrese. Quando vivevo in Canada, hanno sperato in tutti i modi che non mi rinnovassero il visto (cosa poi avveratasi), così tornavo a casa. Però si sono accorte della differenza. La Katia in Canada era felice allegra, rilassata. La Katia italiana era triste ed arrabbiata. Quando ho deciso di ripartire (UK questa volta, Chester), non hanno fatto tante storie. Hanno capito che non sono felice in Italia, non è il posto per me! Ho scelto una meta “comoda”, con solo un’ora di fuso così possiamo chiacchierare su skype quanto vogliamo. Devo dire che l’Inghilterra era la mia seconda scelta, quindi questo compromesso va bene a tutte. Certo, non è avanti come il Canada (ho lasciato il cuore a Toronto), ma mi ci trovo bene.
Serena hai ragione. I miei si sono comportati così quando ero in Canada e ci sono stata davvero male. Meno male poi si sono avveduti.
Toronto deve essere meravigliosa.
Sono contenta che le cose per te si siano sistemate!! 🙂
Credo sia umano reagire male ma se vedi tuo figlio infelice in Italia e’ chiaro che due domande e’ meglio che tu te le faccia…
Grazie Mila per le belle parole che vengono dalla “controparte”, vorrei noleggiarti per spiegare a mia mamma tutto quello di cui hai scritto 🙂
Serena, le tue parole mi hanno emozionato e commosso, come spesso accade. Grazie.
Grazie a te Agnese, ti sono vicina e so che tu capisci quello che provo. :*
Grazie Serena, sì, per il post scritto proprio con sentimento. Mi sono commossa anche io, che vivo fuori dall’Italia da quasi vent’anni! Mi hai fatto sentire parte di una famiglia grande, senza confini, gli Expat che ti assicuro è una grande consolazione.
E grazie anche a Mila, che bello leggere che ci sono anche mamme così. Un abbraccio kiwi 😉 Francesca
Forse e’ vero, siamo una grande famiglia senza confini, con le stesse radici… nuove. 🙂
Ti aspettiamo per un guest post da kiwilandia, quando vuoi!! 🙂
Io uso l’ironia, l’umorismo, perché sono potenti oltre misura per rompere ogni trappola linguistica nella quale vogliono farci cadere, ed ogni ripetizione della stessa. Richard Bandler asseriva, se siamo seri siamo bloccati se possiamo ridere di una cosa possiamo cambiarla.
Usate l’irona, l’umorismo, il paradosso. All’inizio vi diranno che siete cattivi, ma lo o la o gli avrete fatti ridere, poi vi diranno che siete antipatici (perché gli abbiamo scombinato il piano lagnoso), ma continueranno a ridere. Questa è la strategia che uso con mia madre quando si lagna e vuole buttarla sul piangere, rispondo in modo paradossale, assurdo, ironico e la faccio ridere. E aggiungo l’ironia e l’umorismo sono come muscoli, bisogna allenarli. L’umorismo tra l’altro allena l’intuizione, l’uso del cervello destro e l’uso creativo del pensiero laterale.
Vero, una ottima strategia. 🙂
Ti posso solo ringraziare per aver pubblicato questo post e farmi accorgere che non sono poi così sola in quello che provo.
Un grazie di cuore
Decisamente non sei sola.
Completamente in accordo fino a questa frase::
“Sappiamo di avervi fatto un torto andando via, di avervi ferito e di aver scelto di farlo, seppure con le migliori intenzioni.”
Io avrei fatto un torto ad andarmene? (Vivo in California da più di venti anni) Quale sarebbe questo torto? Noi dobbiamo vivere la “nostra” vita, mica quella degli altri! Io ho amici e parenti cari, ma loro non sono la “mia” vita, la mia vita è il mio lavoro, mia moglie, la mia famiglia, la mia casa, ha forse importanza se è mille miglia lontano da casa? E quale sarebbe la distanza giusta? Duecento chilometri? Duecento metri? Lo stesso quartiere? Lo stesso palazzo forse lo stesso pianerottolo?
Parenti e amici possono essere veramente bravi nel farti sentire in colpa. Segui il mio consiglio: vivi la tua vita. Se loro non lo accettano sono fatti loro, non tuoi. Tu non hai fatto nulla di male e non hai fatto un torto a nessuno. Se non avessi seguito la tua strada avresti fatto un torto solo a te stessa.
Felice anno nuovo a tutti, ovunque voi siate.
Auguri a te, hai sollevato una questione interessante.
Non c’e’ limite alle cose che potrebbero o meno rimproverarci… quindi tanto vale vivere. 🙂
Italiani, come noarti non c’e’ ninguno. Purtroppo il bel paese sembra andare indietro piuttosto che avanti, protagonista di un involuzione che farebbe venire sette infarti a Darwin, uno dietro l’altro (certo se, come dire.. fosse ancora vivo). Uno dei motivi per cui ho lasciato l’italia sta proprio nel modo di pensare dell’italiano, questo desiderio atavico (come parlo bene) di sminuire gli altri. Che siano piu bravi buoni o belli, sminuire a tutti i costi. Non per vantaggio persona ma credo maggiormente, farlo per pura e semplice invidia. Non ho la minima voglia di tornare ogni cinque minuti, i primi quattro anni di regno me li son fatti parlando italiano solo con me stesso, e mi son trovato benissimo. Da due settimane mi son spostato a Londra e mi ritrovo circondato da italiani e mi sento quasi come se avessi fatto un passo indietro, socialmente non professionalmente. Tornero’ a casa in italia per vedere i miei genitori, ma una volta l’anno (anche meno..) e’ piu’ che suff. Skype funziona che e’ una meraviglia e l’italia nonostante sia attaccata al vecchio continente, sembra a me che vada sempre piu’ alla deriva. Le opportunita’ che ho avuto qui in 4 anni non le ho avute in 20 a casa dove sono nato. Viva il desiderio di rincorrere i propro sogni e desideri, e la forza di superare le paure (strafregandosene di chi vuol solo vederti fallire!).
Vero, le opportunita’ che possiamo cogliere in certi paesi sono pazzesce rispetto a quelle che abbiam sudato nello stivale.
Io son contenta di esser venuta via, ho una vita piena e non ho paura del futuro.
In bocca al lupo!
Mia figlia ha compiuto 21 anni a giugno e a giugno è partita a Londra. Certamente mi manca da morire ma mi sento orgogliosa e fiera di lei per le esperienze che fa e per il coraggio dimostrato. Mia madre, sua nonna, le spappola le palle perché vuole che ritorni. Io voglio che venga a trovarmi ogni tanto ma voglio vederla volare dovunque ci sia un cielo abbastanza ampio per le sue ali. E purtroppo questo cielo non è in Italia.
Con una mamma cosi’ non si ha paura di volare. 🙂
Complimenti per l’articolo.
Persone che la pensano in questo modo, pugnalando alle spalle i propri cari che hanno compiuto una scelta così difficile mi dimostrano qual’è uno dei mali che affligge il nostro paese: si viaggia poco, e si viaggia male. Siamo abituati a rinchiuderci nel nostro recinto minuscolo di sicurezze che ci siamo creati senza scoprire cosa il mondo ha da offrire. Ho visto gruppi di ragazzi australiani di 16 anni (!) alla stazione della mia città (Napoli), chiedere informazioni per andare in Costiera Sorrentina, completamente soli, con lo zaino e il sacco a pelo, dall’altra parte del mondo. Viaggiare poco è anche il motivo che ci rende razzisti e diffidenti verso culture e persone diversi da noi, molti del sud odiano il nord e molti del nord odiano il sud etc… Viaggiamo poco, è un dato di fatto, tanto all’estero quanto nel nostro paese, non veniamo educati all’uscire dalla nostra zona di comfort, e questo porta a questi “amabili” commenti dei nostri parenti (che ci amano si, ma non hanno capito nulla di come si campa). Io mi auguro che un giorno si possa viaggiare non per necessità, non perchè il sistema capitalistico internazionale ha deciso che paesi come la Grecia, la Spagna, il Portogallo e l’Italia devono pagare oltre misura la crisi rispetto ai paesi “virtuosi” del nord Europa, ma perchè si abbia solo voglia di viaggiare e scoprire il mondo. Se fossi il ministro dell’istruzione o il presidente del consiglio del mio stato ideale investirei fiumi di soldi nei viaggi scolastici, tutti gli anni, più di una volta all’anno, i ragazzi del nord Italia devono venire al sud e viceversa. Aumenterei i fondi per la borsa di studio Erasmus e la renderei obbligatoria per qualunque studente universitario di qualunque facoltà, perché stare all’estero per qualche mese, lontano dalla propria famiglia, imparare a fare la spesa, rendicontare il denaro, cucinare, stirare e fare una lavatrice, avere i tuoi spazi senza la presenza incombente dei tuoi genitori, ti insegna a vivere e ad essere una persona adulta. Solo viaggiando ci rendiamo conto che su questo pianeta siamo tutti uguali, tutti viviamo per raggiungere una nostra felicità familiare (Tolstoj insegna), cambia solo il modo in cui decidiamo di raggiungerla.
Vero, molti ragazzi, di cultura – chiamiamola – british, prendono e partono per un anno sabatico prima dell’Universita’ e nessuno ha paura che possano perdersi.
C’e’ molta liberta’ o almeno cosi’ mi sembra.
In Italia ti vogliono vicino ed e’ bello ma muoversi e toccare con mano il mondo ha il suo valore ed e’ immenso.
Buongiorno, scopro ora questo articolo, e voglio raccontarvi una cosa. Un venerdì, dal parrucchiere unisex, faccio la conoscenza di una signora anziana, sui settanta, che ci racconta:
– Mia nipote è andata a vivere ad Amsterdam, e io mi sono imparata a cercare i voli low cost per andarla a trovare. Ho il biglietto per Amsterdam domani, e oggi mi faccio i capelli perché voglio essere in ordine quando mi vedono. –
Mi pare lo spirito giusto.
Mi sembra una nonna stupenda!! 🙂
Sono da poco stata in Italia per una breve visita d’obbligo in cui ho dovuto vedere 1500 persone in cinque giorni. Sono quasi sette anni che vivo all’estero e nessuno si e’ degnato di venirmi a trovare perche’ “quella che e’ andata via sei tu”. Poi hanno pure la faccia di lamentarsi perche’ torno di rado e per poco tempo.
L’ultima volta mi sono anche dovuta sentir dire da una mia amica “sentiti in colpa, quel gruppo che ci piaceva tanto ha suonato a Viterbo e io non avevo nessuno come andare perche’ sia tu che V. vivete all’estero”. Voglio dire, scusa se ho la mia vita!!
A Viterbo? scusi signora, ma e’ sicura che la sua amica non scherzasse?
In caso contrario, ha ragione a preoccuparsi!
Ma ricordi cosa diceva Baudelaire: -la miglior vendetta e’ viver bene-
In Italia, all’estero e ovunque lei ritenga.
I migliori saluti e auguri per la sua famiglia e attivita’
Le schiocchezze le diciamo tutti, io non son da meno… ma certe frasi un po’ inutili. Una frase cosi’ l’ho ricevuta da un amica che non vedevo mai neanche prima… cioe’ a lei proprio non vedo cosa cambi se son qui o li’.
Che bel post che hai scritto, con il cuore in mano. Uno dei piu’ belli che ho letto ultimamente. Io sono abbastanza fortunata, mia mamma mi ha sempre spronato a fare meglio e a esplorare e lei e’ orgogliosa della sua figlia in USA 🙂 Ora anche del “nipotino americano”, come lo chiama. Ma altri parenti e conoscenti non si fanno mancare la lingua affilata. Poi uno si chiede perche’ non torna in Italia tanto volentieri. Vabbe’.
Ora che si avvicina il Natale… meglio che non apro la parentesi. 🙂
Grazie Cinzia!!
Bellissima la tua mamma.
Agghiacciante! le famiglie italiane sono agghiaccianti, certe volte meglio interrompere i rapporti, non riesco a dire altro! 🙁