#expatimbruttito

Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi… e Thanksgiving?!

Written by Amiche di fuso

Crescendo a cartoni animati giapponesi e telefilm americani la sottoscritta si è sempre fatta dei super film mentali sulla cultura culinaria mostrata nei suddetti.
Un posto speciale nelle mie fantasie gastronomiche era occupato dai piatti delle feste, in primis quelli di Thanksgiving.
Ancora non potevo immaginare che sarei finita a vivere proprio nel luogo d’origine di questa ricorrenza, così continuavo a sognare e sognare sapori e riti tipici del Giorno del Ringraziamento che poi ho scoperto, come spesso succede, non essere proprio uguali alla realtà.

Accantonando per un istante l’aspetto culinario della festa, voglio raccontarvi le mie esperienze di “orphan”, come chiamano qui quelli che non hanno una famiglia con cui passare le feste. E si sa “beggers can’t be choosers…”.
Il primo Thanksgiving fu una specie di disastro psico-culinario. Fui invitata a cena (?) dal mio capo di allora, quello che mi schiavizzava e di cui ho parlato nel post sul lavoro. Con noi lavoravano anche due dei suoi figli e quindi pareva quasi logico che pure noi (le due italiane che aveva assunto) facessimo parte di questo tanto annunciato banchetto.

Sentendo storie, ma che dico “storie”, LEGGENDE!, narrate senza sosta su quanto questo o quello faccia il tacchino migliore del mondo, in cuor mio speravo che lo psicodramma della cena sarebbe stato perlomeno allietato dal sapore del volatile arrosto.
Ricordo come fosse ieri quando mi venne mostrato il pennuto, ormai nudo, ancora in forno. Un trionfo di petto e cosce. Non vedevo l’ora di affondarci i denti!
Dopo un’estenuante attesa ci sedemmo finalmente a tavola. L’aspetto conviviale, psicodrammi a parte, era buono, ognuno passava all’altro i piatti (sorvolo sulla parte in cui tutti dicevamo per cosa essere grati… l’ho detto che era uno psicodramma, vi risparmio). Io mi accapparai un bel pezzo di tacchino, un paio di fette di prosciutto arrosto (dietro cui sbavavo dall’epoca dei cartoni Disney anni ’80), un po’ d’insalata verde (tanto per far finta di essere salutista) ed una cucchiaiata di mashed potatoes (che più di una cucchiaiata a testa non c’era…chissà perchè erano avari di patate!). Infine, per condire il tutto, ci sbrodolai sopra un bel po’ di homemade gravy, il quale, nella mia testa, doveva essere la cosa più buona dell’universo.

Come sempre la realtà differisce dal sogno.
Imparai così che: 1) il gravy può non sapere di una cippa oppure fare addirittura schifo 2) il prosciutto arrosto può essersi rotolato in una teglia di miele ed essere diventato…immangiabile 3) il tacchino è l’uccello arrosto più asciutto del mondo.

Alla fine della cena (alla quale avevo contribuito portando ben due piatti che in tavola non arrivarono mai perchè se li erano mangiati mentre aspettavamo di sederci), mi domandai se il tacchino ed il gravy immangiabili fossero dovuti a chi li aveva fatti. Nutrivo, insomma, ancora speranze di poter assaggiarne, un giorno, di ottimi come quelli che vivevano nei miei sogni.

L’anno dopo, sempre da orphan, andai nello Utah con la mia coniquilina per passare thanksgiving con la sua famiglia. La parte conviviale della festa subì un miglioramento del 150% rispetto a quella dell’anno precendente, niente psicodrammi e la cena era servita da un ristorante svedese nel mezzo di un canyon da favola ricoperto di neve. Insomma un thanksgiving bellissimo, non fosse stato che pure il loro tacchino…

Al terzo thanksgiving mi sono detta “the third is a charm”. Sempre orphan, ma con ora  ben due inviti distinti (e da qui imparai che gli orphans, a volte, sono persino contesi). Da una parte il pot luck del pub dove andavo sempre, dall’altro l’invito della mia padrona di casa che mi abitava di fronte. Avevo deciso di andare ad entrambi (mi stavo già americanizzando), il secondo non potevo lasciarmelo sfuggire perchè si narrava che ci sarebbe stato un deep fried smoked turkey, preparazione che mi dicevano essere il meglio del meglio del meglio per quanto riguardava il tacchino.
Purtroppo, bella gonfia come una zampogna per aver pasteggiato a ben due cene, rimasi comunque profondamente delusa anche da questo ennesimo tacchino.

Ebbene si, sono un’ingrata. Però i sogni non si distruggono così: io volevo solo un tacchino succulento con un gravy da leccarsi i baffi! E magari un po’ più di una cucchiaiata di mashed potatoes…

Un anno successe che fossimo in 4 colleghe ad essere orphan. Scattò così l’incoscienza e qualcuno propose di farci un thanksgiving nostro. Una vegana, una bugiarda patologica, una francese ed un’italiana. Pareva una barzelletta. Stendemmo un menù ed iniziammo a decidere chi avrebbe portato cosa. Io ero la candidata per mashed potatoes (sia vegan che non) e peperoni arrosto. La collega affetta da bugiarderia patologica aveva detto che avrebbe comprato e fatto lei il tacchino (vantando di avere anni di esperienza con tacchini arrosto), lo stuffing ed un dolce. Finì invece che il tacchino lo comprai io, lei non venne mai a prenderlo e mi ritrovai a due giorni da thanksgiving a dover cucinare, oltre ai 3 piatti sopra elencati anche corn on the cob, rolls e pure il famigerato volatile.
A questo punto scattò in me la modalità Matrix ed iniziai a guardare tutti i video possibili ed immaginabili su come preparare un tacchino saporito e morbido: il tacchino che abitava i miei sogni! Imparai che Alton Brown e Martha Stewart sarebbero diventati i miei migliori amici nella preparazione del volatile. Iniziai così con il brine (procedimento di cui non avevo mai sentito parlare prima di allora e, probabilmente, a giudicare dalla secchezza dei tacchini precedentemente narrati, non ero l’unica…), per poi passare ad un super massaggio con burro alle erbe e con cottura in 4 stadi. Tutto questo mentre cucinavo il resto, tra cui le ormai famose mashed potatoes con erbe di cui hanno parlato per anni e che ancora mi chiedono di fare.

Il tacchino uscì una meraviglia, così buono che persino la collega vegan ne assaggiò un pezzo. Il gravy sapeva finalmente del gravy delle mie fantasie, c’erano mashed potatoes in abbondanza ed avevamo anche rispettato quasi tutti i cibi della tradizione. La compagnia era ottima e non avrei potuto chiedere di meglio. Peccato che poi finimmo tutti in a food coma (colpa del triptofano che c’è nel tacchino, mi dicono) e non riuscimmo ad uscire come volevamo.Insomma, ne sono orgogliosa ma trovo che sia un po’ buffo dire che il tacchino migliore che abbia mai mangiato in vita mia lo abbia fatto un’italiana al primo tentativo! 🙂

Non essendo una festività con cui sono cresciuta, non ho mai sentito la mancanza della mia famiglia per il giorno del ringraziamento, ciò nonostante ho capito l’importanza della scelta dei compagni di banchetto. Il mio consiglio per il thanksgiving ideale è quello di passarlo con persone che sono felici di festeggiarlo, anche se sono la compagnia più improbabile che vi abbia invitati… e se siete gli unici italiani: offritevi di cucinare il tacchino! :))

Alessia, Louisiana.

Alessia ha collaborato con Amiche di Fuso da luglio 2014 a gennaio 2020.

Trovate Alessia qui

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Amiche di fuso

Amiche di fuso è un progetto editoriale nato per dare voce alle storie di diverse donne, e non solo, alle prese con la vita all'estero. Vengono messi in luce gli aspetti pratici, reali ed emotivi che questa esperienza comporta e nei quali è facile identificarsi. I comuni denominatori sono la curiosità, l'amicizia e l'appoggio reciproco.

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